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lunedì, Maggio 6, 2024
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A scuola si educa, senza inflazionarla di compiti

Vito Pirruccio ci parla oggi della scuola e del suo ruolo (spesso mancante) di educatrice sociale e morale.

Vito Pirruccio

Dopo l’ennesima violenza la scuola si ritrova, nello stesso tempo, sia sul banco degli imputati che assisa sul trono dell’educazione. Per alcuni, divide la responsabilità con la famiglia; per altri, è monca nei contenuti e, quindi, deve essere potenziata e diventare dispensatrice di nuovi saperi: educare all’affettività, educare ai sentimenti, educare alla sessualità, in pratica educare in tutte le salse possibili dello scibile umano. Solo educare non basta, occorre il seguito da aggiornare man mano che la società presenta con più evidenza i suoi lati oscuri e i suoi conti.

Considerato che l’imbarbarimento della società è, ahinoi, in rapida involuzione, sulla scuola si proietta l’onda lunga dei saperi con una rapidità che non conosce tregua. Tanto è vero che il Ministro dell’Istruzione e del Merito, trovando trafficato lo spazio del variegato curricolo dei saperi tradizionali dentro la scuola, ha aggiornato la lista e fatto ricorso (Sentite, sentite!) alle 30 ore fuori orario e su base volontaria … per far prendere coscienza agli studenti dei propri atteggiamenti e delle proprie rappresentazioni relativamente a un determinato argomento, nonché della possibilità di modificarli grazie all’interazione con altri” (Corriere della Sera del 23 novembre 2023 p. 13).

Certo, se si tratta di emergenza educativa, come in effetti si manifesta, la trovata ministeriale di un insegnamento “generico” (il virgolettato è mio) e su “base volontaria” non siamo dinanzi a una grande intuizione. Chi si misura su questi temi, non da oggi, sa che non si tratta di aggiungere ai “vecchi” i “nuovi” saperi, semmai si tratta di riposizionare e dare forza ai principi che fanno parte geneticamente del fare scuola. La letteratura in materia è vasta ed autorevole. Il problema è il mondo odierno che ha perso la bussola.

 

“Fatevi amare e non temete, correggete con pazienza e carità i loro (dei ragazzi n.d.r.) difetti … Siate autorevoli che vuol dire essere riconosciuti nel proprio ruolo come figura stabile e affidabile … Non bisogna possedere tutte le risposte, ma abbandonare il proprio porto sicuro ed intraprendere il viaggio con il giovane alla ricerca delle sue risposte”. Sono le parole di don Bosco che troviamo nel “Metodo preventivo”, la pedagogia di fondo sulla quale poggia la formazione salesiana. Il decalogo in allegato è contenuto nel testo scritto da Don Bosco e pubblicato nel 1887. Un testo “antico” e di grande insegnamento che mi permetto di consigliare a quanti si avvicinano alla professione docente:

https://www.donboscosoverato.com/wp-content/uploads/pdf/Sistema_preventivo_Don_Bosco.pdf.

Don Bosco non ha avuto bisogno di inventarsi nulla di nuovo né ha scomodato l’orario extrascolastico per costruire intorno al giovane l’impianto della crescita umana e culturale, per dotarlo di strumenti necessari a vivere dentro la civiltà degli uomini liberi e responsabili. L’extra-scuola salesiano è fatto semplicemente di gioco, di studio e, per chi crede, di preghiera. Ha usato parole semplici e ha circoscritto un ruolo, un comportamento, uno stile. Sta in tutto questo bagaglio di valori la riuscita del “Metodo preventivo”.

Ho richiamato il Santo dei Giovani a me caro, ma non è da meno un altro Santo Laico che ci ha lasciato un corpo d’insegnamento che vale oggi e varrà domani, anche se scritto nell’800. È il capitolo del testo “I doveri dell’Uomo” di Giuseppe Mazzini: “La vostra libertà, i vostri diritti, la vostra emancipazione da condizioni sociali ingiuste, la missione che ciascun di voi deve compiere qui sulla terra dipendono dal grado di educazione che vi è dato raggiungere. Senza educazione voi non potete scegliere giustamente fra il bene e il male; non potete acquistare coscienza dei vostri diritti, non potete ottenere quella partecipazione nella vita politica senza la quale non riuscirete ad emanciparvi: non potete definire a voi stessi la vostra missione. L’Educazione è il pane delle anime vostre. Senz’essa, le vostre facoltà dormono assiderate, infeconde, come la potenza di vita che cova nel germe dorme sterilita, s’esso è cacciato in terreno non dissodato, senza benefizio d’irrigazione e cure d’assiduo coltivatore”.

I maestri dell’educazione, laici o cattolici, che fanno parte del nostro retroterra culturale non ci parlano di nuovi saperi educativi, ci parlano di Educazione. La scuola dispensa saperi e, nello stesso tempo, attraverso essi educa. Sommarne altri non aiuta certo a irrobustire il corredo valoriale, ma si rischia di inflazionare l’area di lavoro. Specie se questa è insidiata ai fianchi da media devastanti e da genitori impauriti e debordanti.

Naturalmente i professionisti dell’Educazione devono essere tali, altrimenti il treno scuola deraglia. Così come va fuori binario se i genitori ne insidiano il percorso con le loro scomposte incursioni.

Nel mentre mi accingo a scrivere questi pensieri sparsi, mi raggiunge il puntuale messaggio di Michele, socio di “I Care!”, con la sua segnalazione dei fatti della giornata: “Scuola di Cosenza, non vogliono il compagno di classe e si assentano”. In questo caso, il mancato rispetto dell’altrui persona in un contesto educativo pubblico da parte di adulti di quale intervento necessiterebbe? Far tornare i genitori sui banchi di scuola e somministrare loro un altro sapere di democrazia e civiltà o, piuttosto, farli accomodare educatamente alla porta facendo loro capire che nell’istituzione scuola siamo tutti ospiti, lavoratori e genitori, e che gli unici padroni sono i ragazzi in formazione. Specie quelli più difficili. Loro possono e, spesso, devono sbagliare per imparare dai loro stessi errori, ma l’alternativa non è concessa a noi adulti.

Notizie come quella della scuola cosentina sono diffuse più di quanto si possa immaginare. Anni fa capitò, pure, a me la rivolta dei genitori di una classe, i quali tentarono un diktat nei miei confronti: o i loro figli o Adam, un ragazzo magrebino con una storia difficile alle spalle oggi ospite di una struttura lontana dalla Calabria. Non ebbi esitazione e scelsi Adam. Anzi, diedi la precedenza assoluta a Adam. I genitori del diktat trasferirono i loro figli in massa in un’altra scuola, ma non mi smossero di un centimetro: sapevo di avere le spalle coperte da un corpo docente maturo e convinto della propria funzione. I docenti di cui parlo sono lettori di questo articolo e me ne sono testimoni.

La scuola alla distanza non subì tracollo alcuno di iscrizioni, anzi. Francamente me ne sono sempre infischiato dei numeri. Ho sempre badato alla sostanza. In quella circostanza due docenti presero talmente a cuore la sorte di Adam che, l’anno successivo, in piena pandemia e a proprie spese, percorsero chilometri fuori regione per assicurare la giusta assistenza al ragazzo e alla madre. Questa “piccola” storia immise in quel contesto formativo un tale surplus di valori e di saperi (Educazione con la “E” maiuscola) che non c’è “educazione alla …” che possa tenere il confronto. Si è lavorato in extra-scuola più di quanto si immagini, senza ascoltare le trovate del Ministro di turno e senza surplus di remunerazione.

La scuola ha le sue responsabilità su tutti i drammi che minano dalle fondamenta la nostra vita, ma non è inflazionandola di “educazioni” che la si aiuta a tirare fuori (educere, trarre fuori) il meglio dai ragazzi.

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