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giovedì, Maggio 2, 2024
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“Mal di Locride”

Mario Alberti ci narra di una sua vicenda personale che rientra in ciò che chiama “mal di Locride”, l’amore per una terra che, nel bene e nel male, non si riesce ad abbandonare o dimenticare.

Mario Alberti

Pare esista il mal d’Africa, lo ha più volte narrato, come stabile sottofondo nei suoi scritti, Karen Blixen, ma anche tanti altri. Credo, analogamente, che esista il mal di Locride; una terra che già inizia all’interno del mezzo di trasporto usato per arrivarci: rigorosamente in treno. Filamenti di paesi, uno dietro l’altro, guardati dall’alto dalle loro versioni collinari ordinate e pulite.

Pulito vuol dire lindo, ma anche bello, in calabrese, con tutte le contraddizioni presenti in Calabria, sanità in prima linea, settore la cui efficienza e fruibilità è indispensabile se si vuole sviluppare i luoghi, salvare i borghi, facilitare la vita dei residenti e dei turisti.

E sulla Locride, esattamente a Gioiosa, che prende vita la cooperativa della quale sono ancora, e spero non per molto, visto l’età che avanza, rappresentante legale.

Abbiamo fatto tante cose, alcune belle, altre meno.

Non si rinnega mai l’impegno, né le persone a vario titolo incontrate o con le quali si è condiviso un pezzo di storia; tutto serve a diventare adulti, a qualsiasi età.

Si arriva, ad un certo punto, al break point, così in modo innaturale, si perdono servizi, si fanno scelte sbagliate, si incontrano vie occluse.

Si perde motivazione, si perdono, nella forma e nella sostanza, soci.

Ammetto che nella scorsa tardiva primavera, affacciandomi alla finestra che da’ sui campi, mi sentivo come quel soldato giapponese che proseguiva ostinatamente una guerra già persa.

Ho pensato di mollare, se non fosse stato per il mal di Locride.

Posti, persone, accento, nuvole, cibo, sorrisi, speranze.

Allora accade che, a crederci, le cose avvengono.

Un giorno d’estate, con il canto delle cicale, bussano alla porta dei giovani con un progetto, incastriamo le reciproche volontà al rischio ed al futuro.

Parte intanto il centro estivo, con tanti bambini, dove prima c’era silenzio e se mi affaccio adesso vedo sorrisi, giochi e strilli, insomma, vita. Si chiama vita.

L’amministrazione Comunale di Gioiosa si affianca e dichiara sostegno; ma in tutto ciò cosa c’è di nuovo? Cosa rimane di questa favoletta non ancora a lieto fine, ma in cammino e ben indirizzata?

Rimane la certezza che nulla si può fare al di fuori della coesione sociale con la comunità che ti ospita. La cooperativa è un’ impresa sociale spinta da principi etici e con un occhio, direi due, rivolta al territorio dove opera; in termini di produzione del lavoro, di missione rivolta all’equità sociale e di benessere per chi beneficia delle prestazioni professionali.

A Gioiosa, in questo caldo agosto, accade ciò. Ve lo volevo raccontare.

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