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venerdì, Ottobre 11, 2024
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Agata e il suo No alla guerra

Di tanto in tanto le autorità del Paese invitavano Agata a partecipare a qualche manifestazione patriottica. Per convincerla le dicevano che Lei era madre di tre eroi. Non ha mai partecipato. Sapeva che la vita dei figli era una sola, unica ed irripetibile. Per questo li aveva messi al mondo. Qualcuno impedì loro di viverla anche se Agata si limitava a dire con un filo di voce “è stata la guerra”.

Agata viveva in un piccolo paese della Calabria e per lungo tempo è stata una donna  fortunata:  amava suo marito con cui aveva messo al mondo sei figli: quattro maschi robusti e forti e due donne belle e formose.

La terra che possedevano non era molta, ma sufficiente per viverci quasi bene. I figli diventarono grandi e quando i primi due si  sposarono arrivarono i primi nipoti. 

Agata, figlia di Giovambattista, fu la prima delle nipoti femmine.

Quando la piccola aveva appena due anni, in un posto lontano qualcuno uccise un uomo. Era un arciduca e per giunta erede al trono di Vienna.

Agata, ed i suoi figli non ne hanno saputo nulla e comunque non lavevano ucciso loro. Ma un lunedì  mattina di un anno dopo, la piccola Agata era sulla strada e con la sua manina salutava per lultima volta  il suo papà  che partiva in guerra. Fu Giuseppe, il fratello appena più piccolo, ad accompagnarlo alla stazione ferroviaria su un carro trainato da buoi. Tre mesi sullo stesso carro, Giuseppe raggiunse la ferrovia per partire a sua volta verso il fronte.

Partirono senza sapere perché avrebbero dovuto uccidere o essere uccisi. Erano così impegnati a lavorare, vivere, amare da non sentire il mormorio del Piave: Non passa lo straniero”.

Nel mese di dicembre, mentre in paese si viveva il primo Natale di guerra Giovambattista fu colpito da un proiettile di cannone. Aveva ventiquattro anni.  Del suo corpo furono recuperati alcuni brandelli, la giubba militare con la foto della sua bambina, ed una figurina di SantIlario che era il patrono del suo Paese. I suoi resti, ammesso che fossero suoi, giunsero in paese, a guerra finita, ed in una cassa zincata. 

I mesi passavano lenti, mentre la morte lavorava senza posa.

Anche il più piccolo dei fratelli, Domenico, fu chiamato in guerra. Nellestate del 1916 dei quattro figli maschi di Agata uno era morto, due erano al fronte e solo il grande, padre di tre figli, era rimasto a casa inquadrato nella difesa territoriale”

La moglie di Giovambattista, Adelina, e la bambina andarono a vivere con i suoceri.  Un giorno la famiglia” fu chiamata in Municipio. Si commemoravano gli eroi ”caduti per la Patria. Il notaio rivolgendosi ad Agata disse .. Vostro figlio vivrà in eterno e il suo nome sarà scritto a carattere di fuoco nellalbo doro dei caduti per la Patria”. Quindi, alzando il tono della voce aggiunse con solennità  “ Chi per la Patria mor vissuto assai.”

Lanno successivo  si seppe che Giuseppe  era in ospedale.

Non lavevano ferito, ma aveva respirato gas in quantità non letale. Qualche mese dopo,  fece ritorno in Paese. Sputava sangue. Aveva spesso la febbre. Non voleva andare più in campagna, ed in un momento di rabbia ruppe la chitarra. La musica era la passione che condivideva con i fratelli. Passava tutto il tempo con la nipotina, figlia del fratello morto.

Al fronte restava il più piccolo.

Ma un giorno, il Piave mormorò: Indietro va straniero”.  E Domenico , il figlio  di Agata, si trovò a combattere la battaglia del Piave. E quando i nemici” si avvicinarono  lui  sparo’ contro di loro e poi ancora, ed ancora contro quelle sagome che si avvicinavano paurosamente. E quando finirono le pallottole usò la baionetta.

Lo videro cadere pugnalato al petto.

Non morì e mentre i barellieri lo portavano nellospedale da campo, il suo capitano gli comunicò che lo avrebbe proposto per la medaglia dargento e la promozione sul campo.  Ed in effetti fu promosso sergente maggiore, ma ricevette una medaglia di bronzo.

A casa seppero che era nellospedale militare di Bologna  ed il fratello maggiore partì per stargli a fianco. Intanto Adelina, la moglie di Giovambattista, sentiva il risveglio della natura, ed il giovane fabbro che lavorava sotto casa era proprio un bel giovane.

Non voleva essere, a soli venti anni la vedova delleroe e la cognata degli eroi.

Lasciò, senza salutare, la casa dei suoceri dove tutti portavano il nero del lutto per sposarsi col fabbro. Le impedirono, però, di portare con sé la piccola Agata. Ci volle un ordine del giudice e lintervento dei carabinieri per superare le resistenze di Giuseppe che sempre più stava male e sputava sangue. Privato della nipotina, disperato, sofferente Giuseppe morì qualche mese dopo.

Domenico fece ritorno a casa nella primavera del 1919. Era pallido, debole, smagrito, nervoso.  Nel mese di aprile, il padre si avviò verso la campagna, gli alberi erano fioriti e lui scelse quello che aveva più fiori sui rami.

Si sedette su un tronco proprio sotto un albero fiorito.

Gli uccelli cantavano. Le farfalle danzavano. Il mondo continuava indifferente ad andare avanti ammesso che vada in una direzione.

Lui prese il fucile da caccia a due canne e lo puntò al cuore. Il doppio colpo fece cadere una pioggia di fiori sopra il suo corpo.. come fosse un lenzuolo.

Agata non andò mai più a dormire nel letto matrimoniale dove era stata con suo marito ed aveva partorito i suoi figli. La sera si addormentava su un giaciglio accanto alla finestra da cui si vedeva il cimitero in lontananza

Nella nuda terra, come allora si usava, erano state fissate tre Croci di legno e sopra vi piantarono i gerani. Agata sperava soltanto che presto si potesse aggiungere una quarta Croce. 

Di tanto in tanto le autorità del Paese invitavano Agata a partecipare a qualche manifestazione patriottica. Per convincerla  le dicevano che Lei era madre di tre eroi. Non ha mai partecipato. Sapeva che la vita dei figli era una sola, unica ed irripetibile. Per questo li aveva messi al mondo. Qualcuno impedì loro di viverla anche se Agata si limitava a dire con un filo di voce “è stata la guerra”. Una parola terribile, inumana, spaventosa che Lei, madre in un piccolo paese della Calabria, non comprendeva, non voleva e non poteva comprendere, perché non aveva significato alcuno.

Come avrebbe potuto comprendere la morte violento che le aveva portato via due figli. 

Come rassegnarsi al fatto che il suo ragazzo più piccolo pieno di allegria e di vita si fosse chiuso in un mutismo quasi rancoroso, come se si trovasse in una bolla di dolore cosmico. Domenico confidò solo al confessore di non poter vivere, perché aveva sempre dinanzi agli occhi il volto disperato delluomo che lo aveva pugnalato e che Lui aveva sbudellato con la baionetta. Non è facile per un ragazzo, nato in una famiglia quasi povera ma serena, abituato ad amare, a suonare larmonica, a guardare le ragazze diventare un assassino. Ci pensava sempre a quei ragazzi ricoperti da una maschera di sangue e di orrore che si erano uccisi reciprocamente senza neanche conoscersi. 

Qualche tempo dopo, il Consiglio comunale decise di approvare il nuovo regolamento cimiteriale e quelle vecchie croci di legno senza ormai alcun valore, vennero rimosse e bruciate. Fuoco da legno fradicio che si spegne in pochi minuti per consentire al vento di portarsi via le ceneri.

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