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giovedì, Maggio 2, 2024
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Alta Politica: Salario minimo o taglio del cuneo fiscale?

Giuseppe Serranò commenta e analizza il dibattito estivo in merito a salario minimo e cuneo fiscale che ha infiammato la nostra classe politica la quale, tuttavia, non pare essere in procinto di giungere ad una soluzione seria del problema.

Giuseppe Serranò

L’argomento dibattuto negli ultimi mesi da maggioranza e opposizioni ha appassionato la politica ma ha poco entusiasmato gli elettori molto più interessati, giustamente, ai risultati concreti e agli effetti dei tanti acclamati provvedimenti più che alle questioni di principio.

il tema del salario minimo, che riguarda il livello minimo di retribuzione fissato per legge, è stato il cavallo di battaglia delle opposizioni in quest’estate rovente così come il taglio del cuneo fiscale è la risposta, più volte ribadita, della maggioranza come rimedio per l’aumento in busta paga.

Tanti i pro e i contro sciorinati dai nostri politici esperti  di economia e politiche del lavoro: il salario minimo garantirebbe il superamento delle condizioni di povertà per tanti lavoratori, altri, quelli interessati ad alcuni tipi di contratto (atipici) avrebbero una maggiore tutela, ed ancora, diminuirebbe il lavoro nero e quello precario; chi invece è contro sostiene che basti l’implementazione della contrattazione collettiva (quella condotta dai sindacati, tanto per intenderci) che già soddisfa l’85% dei lavoratori e il più delle volte prevede salari più alti rispetto alla soglia minima che si vorrebbe introdurre; anche il taglio del cuneo fiscale è, secondo la maggioranza, la strada giusta per garantire buste paga più “corpose”.

Credo ci sia molta demagogia nell’affrontare la questione in un paese, come l’Italia, in cui i salari annuali medi hanno avuto nel tempo un andamento negativo. Tanti sono gli stati europei che hanno adottato il sistema del salario minimo, al quale si perviene comunque attraverso una concertazione con le parti sociali, senza subire irreparabili contraccolpi.

Fissare i livelli minimi salariali con una norma o estendere l’applicazione dei contratti collettivi fino a coprire tutti i lavoratori non farebbe alcuna differenza.

Lo stesso discorso vale per il taglio del cuneo fiscale a condizione che non rimanga una misura transitoria ma diventi una vera e propria riforma strutturale. Una riduzione permanente delle tasse cui è tenuto il lavoratore porta all’aumento della retribuzione netta in busta paga.

Ma siccome il salario minimo è di sinistra e il taglio del cuneo fiscale (semplicemente riduzione delle tasse per i lavoratori) è di destra diventa difficile valutare e spiegare gli effetti concreti dei provvedimenti, esattamente ciò che dovrebbe fare la buona politica, e sempre più comodo confondere e strumentalizzare.

Il problema di fondo rimane lo sviluppo da cui dipende l’occupazione: non ci sono salari se non c’è occupazione, non ci saranno imprenditori se non c’è profitto.

Investite nelle infrastrutture, ammodernate il Paese e non perché ve lo chiede l’Europa.

Fate le grandi riforme: di giustizia, fisco, sanità se ne parla sempre meno e quel poco che si tenta di fare non sembra sufficiente a rimettere in moto il Paese.

E sul lavoro e l’occupazione, date retta, riprendete il grande tema della partecipazione agli utili dei lavoratori, senza spingervi troppo nella socializzazione delle imprese per non “disturbare” gli “irriducibili” magari spiegando loro che volete semplicemente attuare l’articolo 46 delle Costituzione.

 

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