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Bandiera bianca. Il Papa dà il colpo di grazia alla martoriata Ucraina

Michele Valensise, già segretario generale del Ministero Affari Esteri, in merito alle parole del Papa sulla guerra in Ucraina. Tratto da “Huffington Post” del 09-03-24.

Dal Papa che viene da lontano è lecito aspettarsi che guardi lontano. Per i credenti vale la potenza del messaggio trascendente del capo della Chiesa, i non credenti ne rispettano la straordinaria autorità morale, consapevoli della capacità di irradiazione della sua parola nel mondo. L’attenzione è garantita, ancor più in una congiuntura di tensioni, incertezze, rischi e disorientamento diffuso. Per molti, oggi è ancora più necessario disporre di un punto di riferimento solido, confortante, portato di saggezza millenaria, tra le tante convulsioni che insieme al pianeta scuotono le coscienze.

Le anticipazioni odierne di quel che Papa Francesco ha dichiarato in un’intervista alla RadioTv svizzera purtroppo sembrano andare in un’altra direzione. Se è doveroso inchinarsi di fronte alla angoscia, ben condivisibile, del Santo Padre per il dilagare di violenze e guerre e all’impegno sofferto per la conquista della pace, colpisce anche il raggio ristretto della sua esortazione a senso unico, che trascura cause ed effetti e allontana, anziché promuovere, le possibilità che le armi vengano davvero deposte.

Il punto non è nuovo, la novità consiste piuttosto nella determinazione del Pontefice nel suo giudizio tagliente, doloroso per gli aggrediti, apparentemente inappellabile, su sviluppi e implicazioni della guerra in Ucraina. Alla domanda su cosa pensa di chi chiede agli ucraini “il coraggio della resa, della bandiera bianca”, Papa Francesco sceglie di rispondere senza giri di parole: “È più forte… chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca… Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quanti morti finirà?”. Scompaiono, in questa aspirazione, le responsabilità di chi ha scatenato una guerra sciagurata, ha causato lutti, sofferenze e distruzioni immani, ha invaso un Paese sovrano di cui aveva garantito il pieno rispetto, ha stracciato il principio della inviolabilità delle frontiere sul quale il nostro continente aveva costruito ottanta anni di convivenza pacifica, anche nelle fasi più dure del confronto tra i blocchi.

Manca una parola di condanna per chi uccide e violenta in nome di una assurda “denazificazione” di un intero Paese. Non c’è un accenno a chi decide di non piegarsi alla tirannia del più forte, uno sforzo di comprensione per quanti vivono e si battono, come i martiri di una volta, nel culto della libertà, loro, dei loro figli e di qualcun altro in Europa. Manca tutto, incredibilmente e purtroppo parole così alte scoraggiano chi resiste proprio per negoziare senza la pistola puntata alla testa e galvanizzano chi protrae un’aggressione spietata, senza precedenti, senza giustificazioni, con il proposito dichiarato dell’annientamento dell’Ucraina.

Non è questo il modo per favorire la pace, non serve puntare il dito contro il complotto dei produttori mondiali di armi, se si dimenticano motivazioni profonde e sofferte e responsabilità di chi è obnubilato da un ottuso nazionalismo di cui pensavamo di esserci liberati per sempre dopo le tragedie del secolo scorso. Meglio assicurare solidarietà alle vittime, confidando nella loro autonoma capacità di discernimento, meglio sollevare la voce moralmente imperiosa della Chiesa di Roma contro chi potrebbe fermare la guerra oggi stesso, se solo lo volesse, e allentare la morsa autoritaria di un regime che quando non li uccide fa morire in carcere i suoi oppositori.

Certo, i moniti del Sommo Pontefice non possono essere letti alla stregua di quelli di un qualsiasi capo di Stato, toccano sfere diverse e più alte. In questo mondo rischiano tuttavia, se non ben calibrati, di essere strumentalizzate senza scrupoli da quanti confondono, spesso per inconfessabili interessi, la ricerca di una pace giusta con l’appello a una resa improponibile. Toccherà ora forse alle gerarchie vaticane, nei limiti loro consentiti, interpretare con precisione i propositi del Papa, rassicurando auspicabilmente sull’equilibrio del suo messaggio, meritevole di approfondimento anche nel punto in cui sembra equiparare sbrigativamente le responsabilità di Hamas a quelle di Israele.

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