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lunedì, Maggio 6, 2024
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Calabria, l’Italia estrema

Marcello Furriolo ci parla di interessanti studi e considerazioni sulla nostra regione, mettendo in evidenza come questa sia percepita dal resto d’Italia e dai suoi abitanti stessi

“Calabria, l’Italia estrema” è il titolo di un’interessante “cartolina sull’Italia” pubblicata sull’ultimo numero della prestigiosa rivista di cultura e politica “Il Mulino”, scritta da Domenico Cersosimo, professore di Economia Applicata all’Unical di Cosenza e già Vice presidente e Assessore alla Cultura della Giunta regionale guidata da Agazio Loiero.

Secondo l’apprezzato studioso calabrese la nostra è «una regione non solo molto più povera, ma molto più diseguale» di come viene percepita all’esterno e traspare da tutti gli indicatori macroeconomici e sociali. «La Calabria è estrema per definizione. Un destino da ultima, che appare ossificato e inscalfibile. Una regione geograficamente e cognitivamente  lontana; una sorta di ombra “minacciosa” nello spazio civile italiano. Terra del diverso congenitamente non migliore e non peggiore, ma sempre diversa. Una società locale “ruminante”, adottiva, in grado di digerire e manipolare innovazioni e cambiamenti esogeni nel perimetro della sua alterità. Una società che si occulta verso il basso e verso l’alto».

L’analisi da laboratorio socio economico viene portata avanti da Cersosimo con raffinata strumentazione tecnica e logica, che individua anche un percorso da seguire per il futuro. «La Calabria ha un disperato bisogno di conquistare il profilo di luogo “ordinario” fisiologico. Di uscire dalla morsa passato glorioso/presente orribile». Poi il professore dell’Unical è costretto a leggere nella storia recente le cause delle attuali condizioni della regione, pervenendo alla conclusione che «il grande cambiamento regionale si realizza nel primo quarantennio del secondo dopoguerra, poi tutto si smorza. È in quei decenni che la Calabria converge verso l‘Italia “media”. Nei primi anni Ottanta  i calabresi diventano “italiani” a tutto tondo. Nell’ultimo, ad eccezione del Porto di Gioia Tauro e dell’Università di Catanzaro, non succede più nulla di rilevante. È come se la regione si fosse “normalizzata” sul piano inclinato del declino».

Fin qui l’analisi fredda dello studioso che analizza i dati, aggregati e quelli “micro-diacronici”,  le linee di tendenza sul corpo immobile dell’estrema punta dello stivale disteso sul tavolo autoptico. Ma Domenico Cersosimo, oltre ad essere uno dei più apprezzati studiosi italiani di Economia Applicata, di cui è titolare di cattedra presso l’Università della Calabria di Cosenza, dal 2008 al 2010 è stato autorevole Vice Presidente della Giunta regionale di centrosinistra, guidata da Agazio Loiero e prendendo il posto di un big ex comunista come Nicola Adamo. Per cui ci si aspetta anche una lettura politica della “diversità” calabrese e, soprattutto, della stagnazione economica e sociale verso il declino, che lui stesso evidenzia nel suo studio e che, forse, andrebbe datata dai primi anni Novanta del secolo scorso, a seguito della falsa rivoluzione di Tangentopoli. L’impressione è che manchi a Cersosimo il coraggio di affondare il bisturi e far emergere con chiarezza quello che ormai è acclarato da parte della migliore cultura economica e sociale e dagli storici e politologi più accreditati.

Coraggio e chiarezza che non mancano ad un altro illustre studioso calabrese, anch’egli di Cosenza, il professor Luca Addante, docente di Storia Moderna presso l’Università di Torino, titolare di apprezzati corsi presso la Sorbona di Parigi e autore di saggi di grandissimo successo come una storia di Tommaso Campanella, pubblicata da Laterza, in cui la complessa figura del grande filosofo calabrese, che ha giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione della cultura europea, viene riproposto in una nuova luce rispetto a come fin qui “immaginato, interpretato, falsato”. E ancora un  inquietante “I Cannibali dei Borbone – Antropofagia e politica nell’Europa moderna”, pubblicato sempre da Laterza. Come si vede un altro calabrese illustre che torna in Calabria per le vacanze, ma che dispensa la sua immensa cultura e la sua professionalità, incubati in Calabria, lontano da questa terra “disuguale”.

Il professor Addante, in una illuminante e intelligente conversazione con Paride Leporace, a proposito della situazione sociale e politica calabrese non ha potuto non rilevare come il degrado della regione di questi ultimi decenni è legato strettamente alla qualità della classe politica. «Il ceto politico è cambiato in peggio con la fine della prima repubblica. La Calabria a quel tempo ha avuto buoni esponenti nazionali. Oggi sono scomparsi i partiti. La malapolitica non è solo una malattia calabrese» sostiene senza perifrasi l’illustre storico cosentino, che indica anche un modello a cui la Calabria dovrebbe ispirarsi per le sue politiche di sviluppo. E cioè la Corsica, molto simile per caratteristiche geopolitiche e sociali alla Calabria, ma che ha potuto fare affidamento sulla grande efficienza dell’apparato burocratico e politico della Francia.

L’analisi di Domenico Cersosimo, è ricca di stimoli e di provocazioni interessanti come quelle  sul “regionalismo differenziato” che, secondo l’economista, «non serve alla Calabria perchè allo stato attuale la regione non è in grado di gestire con efficacia né i poteri già in suo possesso né le risorse finanziarie già oggi disponibili. La regione non può fare a meno dell’accompagnamento e del sostegno esterno. Il centro e le politiche nazionali sono determinanti per lo sviluppo regionale-locale».

E a questo proposito sembra dare una risposta più convincente un altro grande intellettuale calabrese, Francesco Bevilacqua, autore del preziosissimo “Lettere meridiane, cento libri per conoscere la Calabria” che sostiene «ogni qualvolta qualcuno ci mette in condizione di prendere nelle mani il nostro destino o ci induce a cavarcela da soli, per me si tratta di un’operazione utile, è l’occasione per emanciparci da quella che a me pare un’eterna “fanciullezza”: abbiamo sempre bisogno di tutori, di qualcuno che ci indichi la strada, pianifichi il nostro sviluppo, ci sostenga, ci dica quel che è giusto o sbagliato per la Calabria».

L’estate è finita e nel mutismo imbarazzante della politica per fortuna fanno discutere le idee di tre grandi intellettuali calabresi. Anche se è evidente il perimetro ideologico entro cui si muovono le coordinate politiche neo stataliste di Cersosimo, espressione prestigiosa, ma timida di una sinistra che ha imbarazzo a misurarsi con una lettura oggettiva degli ultimi 30 anni della nostra storia. Che hanno condizionato e non poco il percorso verso una modernità condivisa anche in Calabria, regione complessa e straordinariamente diversa.

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