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Calabria un paradiso abitato da diavoli

Qualche anno fa era di moda in Calabria far sfilare gli incatenati per la goduria dei fotografi e delle televisioni. Uno strumento odioso per tutti, ma ancora di più quando vengono stretti ai polsi d’un innocente e Carra non meritava certo quel trattamento così come non l’avrebbero meritato la maggioranza dei briganti che vennero giustizialisti per il loro aspetto misero, piuttosto che per i reati commessi.

Concordo pienamente con Paolo Guzzanti (Il Riformista 2 febbraio) e con tutti coloro che in questi giorni hanno sostenuto che gli schiavettoni stretti ai polsi di Enzo Carra furono un atto di barbarie e di inciviltà.

Invece, non sono affatto d’accordo con Guzzanti, anzi mi indigna il passaggio successiva in cui scrive che gli stessi schiavettoni sarebbero stati adatti “Per i briganti d’ Aspromonte, i celebri mafiosi”.

A parte il fatto che i Briganti sono stati storicamente altra e diversa cosa rispetto ai mafiosi (almeno nella versione attuale), resta il fatto che gli schiavettoni sono uno strumento di inutile mortificazione ed umiliazione per chiunque. Servono non per motivi di sicurezza, ma per mortificare e spezzare la dignità delle persone.

Qualche anno fa era di moda in Calabria far sfilare gli incatenati per la goduria dei fotografi e delle televisioni.

Uno strumento odioso per tutti, ma ancora di più quando vengono stretti ai polsi d’un innocente e Carra non meritava certo quel trattamento così come non l’avrebbero meritato la maggioranza dei briganti che vennero giustizialisti per il loro aspetto misero piuttosto che per i reati commessi. Aggiungo che non li avrebbero meritati neanche i contadini che armati di forconi e tridenti di legno hanno tenuto testa a quello che in quel momento storico era il più potente esercito del mondo, ossia le truppe francesi che dilagavano per tutta l’Europa.

Nel Sud vennero percepiti come occupanti e come tali si comportarono.

La Calabria fu definita da un ufficiale francese, Rivarol, “Un paradiso abitato da diavoli”. Diavoli perché hanno opposto una valorosa resistenza all’invasore, nonostante il generale Manhes si rivolgesse loro con queste parole :”.. Io vi condanno d’ora in avanti a non far più parte della società umana. Voi siete ferocissime bestie… io vi tolgo i conforti e le speranze della legge divina e vi bandisco fuori della legge umana.”

Un delirio di onnipotenza sino al punto di parlare anche in nome di Dio.

Furono sconfitti, ma ritornarono non appena tramontarono le speranze che si erano diffuse in seguito all’unità d’Italia e, ancora una volta, furono sconfitti.

Le loro teste mozzatte dalle *civilissime” truppe regolari con tanto di divisa e disciplina furono fissate sulle picche e collocate nei paesi e lungo le strade.

Ripensando oggi a quella guerra di popolo, i briganti somigliano tanto a guerriglieri anarchici in lotta contro tutti i re, tutte le leggi, tutti gli eserciti. Impegnati a distruggere un modello di società che li condannava a vivere da schiavi.

Furono combattenti indomiti e, a volte, crudeli. Erano nati e cresciuti in una società in cui le classi dominanti usavano la frusta, gli schiavettoni, la forca e la mannaia per tenerli sottomessi. Violenza invoca violenza, tortura provoca tortura. I cuori diventano duri, la pietà muore.

Questi furono i briganti che si sollevarono ad ondate nel Sud e in Calabria. Avrebbero avuto bisogno di pane, di scuole, di giustizia, di medici invece furono sterminati perché, salvo qualche eccezione, rifiutarono la disciplina e la gerarchia degli eserciti che trasforma gli uomini in stupide macchine di morte.

A loro modo furono anarchici.

Oggi, in Calabria il potere vero è quasi tutto dalla stessa parte pur facendo finta di combattersi tra di loro per meglio comandare. Peccato non ci siano i briganti del nuovo millennio. Ci sarebbe stato un grande bisogno di loro, soprattutto dinanzi alla cosiddetta legge sull’autonomia differenziata.

Certamente coloro che sono stati legati e giustiziati meritano il nostro rispetto e la nostra solidarietà al pari di Carra. Sono assolutamente certo che Paolo Guzzanti conosca le vicende storiche del nostro paese e non avrà difficoltà alcuna a rivedere quel suo giudizio sui briganti anche perché oggi più di ieri, (e man mano che assistiamo all’involuzione autoritaria dello Stato), è necessario essere vicini a tutte, (ma proprio a tutte) le vittime della violenza istituzionale. È indubbio però che i cittadini comuni hanno la precedenza verso chi ha un nome noto ed i mezzi per difendersi

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