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lunedì, Aprile 29, 2024
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Denise senza retorica

In questo articolo parlo di Denise senza parlarvi di Denise. Non per artificio, perché semplicemente non ce l’ho fatta. Morendo, una giovane, porta sempre dietro e dentro un po’ di tutti noi.

 Mario Alberti

Muore giovane chi è caro agli dèi. Pare sia stato Menandro, a scrivere questo frammento. Ripreso da Leopardi.

Non è così.

Ogni morte giovane è ingiusta. E non possono esserci dei che, esistendo, approvano questi eventi.

Ne dei, né uomini.

È due giorni che accendo il pc e due giorni che non arrivo manco al foglio word.

Ogni parola mi sembra banale, scontata, piena di dietrologia.

Retorica.

E la retorica è tossicità.

Ma la verità è un’altra.

Soltanto a scrivere il nome Denise, una sequenza di sei lettere sulla tastiera, dal pc vengono fuori i volti di Angela, Alessia, Silvia, Sara, Sofia, Chiara, Giovanna, Giulia.

Delle ragazze delle Scuole incontrate in progetti, Pcto, momenti letterari. O per strada, nelle sale d’attesa delle stazioni. Al mattino presto, mentre vanno incontro al giorno, ed ai banchi della scuola.

Tutte belle, le ragazze, nella loro adolescenza che si prende a braccetto con la femminilità che sguscia ogni giorno, che passa tra giorni sospesi tra le stagioni dell’esistenza.

I loro zaini, le Converse, e le magliette corte sul pancino anche a febbraio, e le unghie colorate e lunghe.

Sono i volti di Denise che vedo tutti giorni in treno salire a Locri, a Siderno e scendere a Bovalino, a Bianco.

Qualcuna baciarsi di nascosto nello scompartimento col ragazzo, quasi sempre uno spilungone un po’ imbranato, una volta compreso che il signore bianco, seduto due sedili più in là, e col libro in mano, è innocuo.

Non racconterà a nessuno l’amore visto, anzi, ne coglierà il riverbero.

Mentre scrivo si riversano le immagini delle ragazzine che mi hanno raccontato il sogno della scrittura, mentre lo sognavano già.

Perché i ragazzi sono sempre più veloci dei sogni.

Ma di cosa tratta questo articolo? Me lo chiedo io prima che ve lo chiediate voi.

Della vicenda sul fiume Lao? Forse poco. Non ho neanche accennato a ciò che in questo momento di ripiegato dolore non riesco ad intravedere. Ovvero i fatti, i risvolti giudiziari possibili, il rafting come improbabile attività scolastica, le scelte e le responsabilità.

Mi dispiace, non ci riesco.

Oppure l’articolo tratta dei ragazzi, che sono il nostro futuro, che non sono come noi, direi per fortuna, che sono un mondo a parte.

Il pianeta del turbamento e della speranza.

No, figuriamoci. Ne parlo così tanto che vi annoierei.

L’articolo, in fondo, parla di noi.

Noi che pieghiamo l’esistenza verso il bordo e che vediamo nei giovani una naturale prosecuzione dei nostri sogni, ormai irrealizzabili, delle nostra speranze, ormai disperata.

Parla di noi, che ci proteggiamo dalla fine naturale e biologica proseguendo negli altri, e con gli altri, la nostra irrisolta vita.

Non so se i giovani saranno cari agli dèi. Sicuramente lo sono a me. Penso anche a chi legge.

E vi ho parlato di Denise senza parlarvi di Denise.

Non per artificio, perché semplicemente non ce l’ho fatta.

Morendo, una giovane, porta sempre dietro e dentro un po’ di tutti noi.

 

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