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venerdì, Aprile 19, 2024
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Di cosa parliamo quando parliamo di cultura?

Meloni, Letta, Calenda, Renzi, Salvini, Tajani e Conte, qual è la vostra idea di cultura? Che posto avete assegnato a questi argomenti nel vostro programma? Siete consapevoli che mai, e dico mai, la politica si è messa al servizio della cultura? Non pensate sia giunto il momento di capire come organizzare davvero, in maniera seria e sistematica, questo comparto, mettendo da parte visioni sporadiche, velleitarie, clientelari e prive di costrutto? Eppure, i dati parlano chiaro ed il crescente successo del “Made in Italy” è sotto gli occhi di tutti.

 Di cosa parliamo quando parliamo di cultura? Parafrasando il grande scrittore minimalista americano Raymond Carver, è questa la domanda che mi sono posto stamattina scartabellando random i programmi dei vari partiti per le prossime elezioni politiche.

Lo spettacolo cui stiamo assistendo, in questo avvio di campagna elettorale, è disarmante. Giochi tattici, scambi di accuse, patti prima sottoscritti e poi traditi, calcoli personalistici condotti sulla base dei sondaggi. Scene da teatro dell’assurdo.

Nei dibattiti solo stanchi e scontati riferimenti a politica estera, emergenze ambientali, tasse, sicurezza, immigrazione. E la cultura? Non pervenuta. Nemmeno una parola.

Lo stesso centrosinistra, che pure potrebbe rivendicare qualche importante risultato raggiunto, sembra colpito da un immotivato sentimento di pudore peloso. Il centrodestra, sia mai, non osa nemmeno cimentarsi su un terreno che geneticamente non considera di sua pertinenza.

Eppure, siamo al cospetto di un settore rilevante per la vita pubblica del Paese sia dal punto di vista sociale che economico. Beninteso stiamo parlando di cultura non come frivolo intrattenimento ma come timone spirituale della società.

La cultura è un campo dinamico di creatività e progettazione, spazio di condivisione e dialogo, un patrimonio di conoscenze da cui attingere a piene mani e su cui riversare nuove sementi.

Ci vantiamo tanto del radioso passato che abbiamo alle spalle, ma di quelle mirabolanti vestigia abbiamo fatto un sarcofago nel quale ci siamo sterilmente rinchiusi.

Più che usare il passato per reinventarci il futuro e utilizzarlo come risorsa per una crescita consapevole, ne abbiamo sperperato l’immenso patrimonio in maniera strumentale per aumentare il consenso elettorale e il prestigio e la fama degli operatori del comparto.

Meloni, Letta, Calenda, Renzi, Salvini, Tajani e Conte, qual è la vostra idea di cultura? Che posto avete assegnato a questi argomenti nel vostro programma?

Siete consapevoli che mai, e dico mai, la politica si è messa al servizio della cultura?

Non pensate sia giunto il momento di capire come organizzare davvero, in maniera seria e sistematica, questo comparto. Mettendo da parte visioni sporadiche, velleitarie, clientelari e prive di costrutto?

Eppure, i dati parlano chiaro ed il crescente successo del “Made in Italy” è sotto gli occhi di tutti: il record di turisti stranieri che visitano il nostro Paese; l’attenzione verso la sostenibilità ambientale, che cresce a livello globale e sta permeando il nostro sistema industriale; la voglia del cibo italiano, della creatività dei nostri produttori, della bellezza dei nostri prodotti, del potere attrattivo dei nostri beni culturali.

Emerge con evidenza che il futuro dell’Italia è strettamente connesso alla capacità di puntare sui talenti che il mondo ci riconosce, di rinnovare le nostre tradizioni col linguaggio dell’innovazione; di guardare all’estero tenendo ben saldi i piedi nei territori, nelle comunità e nei distretti. Solo puntando su bellezza e cultura potremo avere un futuro alla nostra altezza. Sono stanco di ricorrere alla volgare sintesi del “con la cultura si mangia” ma lo capiscono anche i bambini che la cultura e la creatività rafforzano le manifatture e quindi creano sviluppo e progresso.

Con la cultura si costruisce il futuro sostenibile senza ombra di dubbio.

Il valore trainante della cultura contamina anche il resto dell’economia, con un effetto moltiplicatore che fa del turismo il principale beneficiario di questo effetto volano.

Le sole imprese del sistema produttivo culturale (443.208, il 7,9% del totale delle imprese italiane) danno lavoro a 1,5 milioni di persone, il 5,9% del totale degli occupati in Italia (1,5 milioni, il 6,3%, se includiamo pubblico e non profit).

Per non parlare delle ricadute occupazionali, difficilmente misurabili ma indiscutibili, su altri settori, come appunto il turismo. La cultura e la creatività, inoltre, mettono il turbo alle nostre imprese: infatti, chi ha investito in creatività (impiegando professionalità creative o stimolando la creatività del personale aziendale) ha visto il proprio fatturato salire del 4,5% tra il 2013 e il 2019; mentre tra chi non lo ha fatto il fatturato è sceso dell’1,2 %.

Anche, e direi soprattutto, in Calabria su questo si deve lavorare, mettendo al bando le azioni dispersive, i mille rivoli, i provincialismi, le gelosie e le invidie, le clientele, le cialtronate che portano solo all’assenza di una visione e di un’azione di sistema, per traghettare tutto il nostro territorio su un’azione che trasversalmente tenga insieme i vari luoghi, le comunità, le imprese, il non profit, le istituzioni locali. Cioè: passare da iniziative a macchia di leopardo – a volte lodevoli, ma perlopiù individuali – a una vera e propria missione di tutta la politica regionale.

Questo significa fare cultura e certo non conforta constatare che nei programmi di tutti i parti non ci sia traccia alcuna delle linee guida della politica culturale.

Franco Arcidiaco

 

 

 

 

 

 

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