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sabato, Aprile 20, 2024
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Don Chisciotte si è fermato a Reggio Calabria

Se Cristo si è fermato a Eboli, Don Chisciotte della Mancia si è fermato qui, a Reggio Calabria, la città dei contrasti, per condurre, in solitaria, la lotta quotidiana al parcheggio selvaggio, alla prevaricazione impunita, al menefreghismo e all’indifferenza.

Domenico Buccafurri

Dicono che combattere per delle cause che crediamo perse a lungo andare faccia perdere il senno, dicono che fare i paladini sia cosa vana o addirittura pericolosa.

Se Cristo si è fermato a Eboli, Don Chisciotte della Mancia si è fermato qui, a Reggio Calabria, la città dei contrasti, per condurre, in solitaria, la lotta quotidiana al parcheggio selvaggio, alla prevaricazione impunita, al menefreghismo e all’indifferenza.

In preda a una crisi febbrile, come nel romanzo di Miguel De Cervantes, ho voluto impersonare il cavaliere errante, gettandomi impavido e anche un po’ incazzato in un’avventura, nella cronaca di una serata come tante, trasfigurando i giganti, bucolici mulini a vento, in signori (se si possono chiamare tali) un po’ altezzosi e un po’ villani.

Perché a me la campagna, come per Alvy Singer (Woody Allen) in Io e Annie, innervosisce: ci sono i grilli, troppo silenzio, non sai dove andare dopo cena.

Tuttavia, mi innervosisce ancor più dover denunciare nuovamente, senza soluzione di continuità, quella condizione di staticità immutabile che affligge Reggio sul tema delle barriere architettoniche e dell’inciviltà, diffusa, tollerata, se non tacitamente condivisa (cfr. L’inclusione a Reggio è utopia).

Un’inciviltà che si concretizza, per esempio, nella formula dei 5 minuti, un espediente teatrale consolidato di un copione patetico, adottato da coloro i quali occupano abusivamente lo stallo di sosta per disabili.

Al sottoscritto meschino che rivendica il diritto di parcheggiare, infatti, gli si risponde, sistematicamente, a metà tra il sorpreso e il seccato, nel modo seguente: “Sono solo 5 minuti, sto aspettando una persona, perché? Devi parcheggiare?”

Mi compiaccio del fatto che l’interlocutore si sia posto questa domanda e che, in fondo, molto in fondo, abbia trovato la risposta, dentro di sé.

Peccato, come direbbe il profeta di Quelo, che la risposta è sbagliata.

Dal momento che la risposta è sbagliata, con l’ostinata cortesia che si addice a una persona civile, intimo al soggetto di allontanarsi immediatamente.

Non mi interessa affatto la ragione che, egli adduce, lo legittima a calpestare un mio diritto, perché sarò un Don Chisciotte, ma per fortuna non sono nato fesso.

Parimenti, non mi importa della coda di macchine dietro, che suonano il clacson urlanti, inveendomi contro, un concerto di fanfare schiumbate, fuori tempo; l’orecchio assoluto, d’altronde, non è da tutti.

I 5 minuti sono passati da un pezzo e con essi la possibilità per il nostro seguace della divinità di guzzantiana memoria di evitare un civile confronto con la forza pubblica; il valore dell’argomentazione ritempra la mente e lo spirito, gli dico, forse meno i punti della patente.

Ed è allora che, vomitando parole di stima e ammirazione, (della cui sincerità non mi permetterei mai di dubitare, ma che non riporto in questa sede per rispetto nei confronti dei lettori) il soggetto si perita di lasciare il posto libero.

L’eroe picaresco per oggi ha vinto; è un trionfo dal sapore amaro.

L’ennesima constatazione di una città che non cambia, perché è la mentalità a non voler cambiare.

Sai che la campagna, alla fine, non è poi così male…

 

 

 

 

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