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È solo osteoporosi dell’anima

“Una corsa contro la fame”: il Rotary area grecanica premia l’istituto Familiari di Melito per l’iniziativa e l’evento diventa spunto di sogno e letteratura sulle note emozionali di un “giovane studente per caso e per necessità”.

Mario Alberti

Ho visto dei ragazzi felici danzare e cantare.

Venerdì nove giugno ho partecipato ad un evento organizzato dal Liceo, mi piace ancora chiamarlo così, Familiari di Melito, ed in particolare dai ragazzi del progetto musica.

L’evento è stato denominato “Sogna ragazzo sogna” con un chiaro rimando al pezzo di Roberto Vecchioni.

Peraltro professore di liceo, per quanto in pensione.

Peraltro bis uno dei miei cantautori preferiti esattamente ai tempi del Familiari anni Settanta, da me frequentato.

Anzi, vi dirò di più.

Su Velasquez, famoso pezzo dell’epoca di Roberto Vecchioni, scrissi una parodia dedicandola al mio professore di greco.

Il Prof si chiamava Franco Mosino.

Quindi la partecipazione a questo evento come spettatore, che si chiama come un pezzo proprio di Roberto Vecchioni, non è un tuffo al cuore, ma una aritmia!

Una sequenza di extrasistoli lunga quarantatré anni.

Cerco di fare del mio meglio per non tornare troppo indietro. Ci provo.

In realtà la retorica dei tempi andati è soltanto un fatto personale fatto percepire come collettivo.

Credo si rimpiangano i tempi passati mentre, in realtà, si piange soltanto il tempo che è passato.

Abbiamo nostalgia di chi eravamo, della gioventù che si declinava in cuori pronti all’innamoramento, e alla feroce capacità di sognare.

Sogna ragazzo sogna, come oggi, come ieri.

Adesso ci percepiamo confinati in un angolo dell’epoca, scarsamente utili, sovente disadattati.

Ma occorre prendere le contromisure.

Sogna ragazzo sogna, alla sera di venerdì, è stata un antidoto.

Torniamo ai fatti.

L’evento inizia con il Rotary area grecanica che premia l’istituto Familiari per l’iniziativa “una corsa contro la fame”.

Evento benefico che rende tutti più responsabili e solidali.

Poi si passa all’evento del venerdì.

Viene rappresentato un ultimo giorno di scuola, tra musica e monologhi degli studenti che raccontano.

Tra una narrazione ed un’altra, musica, danze.

Ragazze e ragazzi che si muovono danzando tra il pubblico, possedendo gli spazi, il luogo, il tempo presente.

Battono le mani, saltano, cantano. Incontenibile fisicità, energia non diluita, che contagia i presenti.

Per un attimo ricordo il mio ultimo giorno di liceo.

La prof, che allora si chiamava professoressa, quel giorno rinunciò ad aprire il libro.

Ci chiese cosa provavamo, sul bordo finale del decennio che aveva visto una profusione inenarrabile di terrorismo, bombe e terremoti.

Nessuno prese la parola tranne io, che come un improbabile oracolo, dissi a tutti che avremmo pianto ricordando quegli anni.

I compagni mi guardarono straniti. Ma non la professoressa.

Lei capì subito che si trattava di nostalgia preventiva, che certamente non fa meno male.

Venerdì i ragazzi del Familiari, con i loro monologhi, hanno spruzzato allegra e frizzante nostalgia verso di noi che pieghiamo verso la sera.

Ma soltanto, come diceva Pavese, per ricordarci che siamo anche fragili.

E adesso, forse, un po’ di più.

È solo osteoporosi dell’anima, quel senso di debolezza di occhi mentre guardi avanti e vedi offuscato, mentre dietro tutto è chiaro, nitido, attuale.
Per un attimo ho pensato alla cittadina di Melito, di cui il Liceo Familiari è luogo di formazione e crescita da lunghissimi decenni.
Da tempo sento rumorose lacerazioni nel tessuto connettivo del luogo, che sono le relazioni umane. E me ne duole.

Occorre ricucire.
Soltanto le nuove generazioni che sono musica e danza, e poesia, potranno fare l’impresa.

Ne sono certo.

Tra abbracci ed applausi, tutto finisce.

Mi defilo, non ho più nulla da fare.

Ho rubato emozioni, cercherò, tornato a casa, di tradurle in parole.

So già che non sarà facile.

Per strada c’è un tramonto che sembra trasformarsi in alba.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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