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venerdì, Marzo 29, 2024
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Gli sconvolgenti numeri delle interdittive antimafia in Calabria

Negli ultimi anni, le interdittive antimafia hanno assunto un ruolo sempre più centrale nell’azione di contrasto che lo Stato sta conducendo nei confronti delle organizzazioni criminali. È utile sapere che, anche grazie all’attività “interpretativa” del Consiglio di Stato, le conseguenze giuridiche a carico delle imprese attinte da interdittiva non si limitano al solo divieto di stipulare contratti con la pubblica amministrazione e di ottenere licenze ed autorizzazioni amministrative ma, addirittura, comportano l’impossibilità di ricevere pagamenti di qualunque genere dalla P.A., anche se derivanti da sentenze passate in giudicato. Ed è inutile sottolineare gli effetti devastanti dal punto di vista reputazionale che subisce un’azienda interdetta per mafia.

Negli ultimi anni, le interdittive antimafia hanno assunto un ruolo sempre più centrale nell’azione di contrasto che lo Stato sta conducendo nei confronti delle organizzazioni criminali.

Difatti, sebbene fin dal 1994 le pubbliche amministrazioni siano tenute a richiedere alla competente Prefettura, prima della stipula di contratti di valore superiore ad una certa soglia, il rilascio di informazioni circa l’esistenza, a carico dei contraenti, di cause di divieto o sospensione dalla possibilità di ottenere licenze, concessioni, iscrizioni, erogazioni, ecc. conseguenti a sentenze di condanna o all’applicazione di misure di prevenzione, ovvero circa “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”, solo di recente si è registrato un notevole aumento del numero di provvedimenti di carattere interdittivo, ossia attestanti l’esistenza dei suddetti impedimenti.

È utile sapere che, anche grazie all’attività “interpretativa” del Consiglio di Stato, le conseguenze giuridiche a carico delle imprese attinte da interdittiva non si limitano al solo divieto di stipulare contratti con la pubblica amministrazione (con risoluzione di quelli eventualmente già in corso) e di ottenere licenze ed autorizzazioni amministrative (con decadenza di quelle già rilasciate) ma, addirittura, comportano l’impossibilità di ricevere pagamenti di qualunque genere dalla P.A., anche se derivanti da sentenze passate in giudicato. Ed è inutile sottolineare gli effetti devastanti dal punto di vista reputazionale che subisce un’azienda interdetta per mafia.

Proprio per questo motivo, con la sentenza n. 57/2020 la Corte costituzionale ha dato atto che le conseguenze dannose che subiscono le imprese colpite da interdittiva possono essere irreversibili e che, per tale ragione, l’efficacia della misura deve essere necessariamente limitata alla durata di un anno (ancorché la Prefettura possa motivatamente confermarla attestando la permanenza delle ragioni che ne avevano imposto l’adozione).

Altro aspetto che merita di essere segnalato è che, secondo la giurisprudenza amministrativa, ai fini dell’emissione dell’informazione interdittiva, non è necessario che il Prefetto accerti l’effettiva sussistenza di tentativi di infiltrazione o di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata, essendo infatti sufficiente che il “pericolo” di tali tentativi appaia “più probabile che non”.

In tale prospettiva, in aggiunta ai casi già espressamente indicati dalla legge (coinvolgimento in procedimenti penali per i c.d. reati spia, sottoposizione al procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione, omessa denuncia dei reati di concussione ed estorsione aggravati dal metodo mafioso, ecc.) il Consiglio di Stato, con l’avallo della Corte Costituzionale, ha elaborato un elenco di situazioni sintomatiche da cui l’autorità prefettizia può desumere la probabile sussistenza di tale pericolo di infiltrazione (c.d. interdittiva generica).

Di conseguenza, possono essere considerati indizi di un possibile condizionamento: i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa.

In mancanza di una banca dati pubblica che consenta di verificare il numero di informazioni interdittive rilasciate da quando tale misura è stata introdotta nel nostro ordinamento, non è possibile effettuare comparazioni con il periodo antecedente al 2017, anno a partire dal quale nelle relazioni semestrali trasmesse al Parlamento dalla Direzione Investigativa Antimafia, sono stati inclusi anche i dati relativi a questi provvedimenti, suddivisi su base regionale.

Ebbene, limitando l’esame ai numeri forniti dalla DIA (che riguardano il periodo compreso tra il 1° gennaio 2017 e il 30 giugno 2021), si può innanzitutto notare come in 4 anni e mezzo nell’intero territorio nazionale siano state emesse 2945 interdittive, di cui 824 (pari al 27,98%) in Calabria, 584 (19,83%) in Sicilia, 340 (11,54%) in Campania e 235 (7,98%) in Puglia. L’unica regione del Nord Italia che si inserisce ai primi posti di questa speciale classifica, dove ovviamente la fanno da padrone quelle meridionali, è la Lombardia, con 245 provvedimenti, pari all’8,32%.

Ora, se già in termini assoluti desta impressione il fatto che, in un lasso di tempo  così breve, più di 800 aziende calabresi siano state interdette, appare addirittura sconvolgente constatare che, tenendo conto del numero di imprese attive fornito dall’ISTAT, dal gennaio 2017 al giugno 2021 in Calabria sono state colpite da tali provvedimenti addirittura 7,5 imprese ogni 1000.

Raffrontando questo dato con quelli nazionali e delle altre regioni ad alta densità criminale, si scopre che l’incidenza delle interdittive sul tessuto economico calabrese è a dir poco devastante, visto che il rapporto è superiore del 1129% rispetto alla media nazionale (0,65 imprese interdette ogni 1000 attive), del 785% in più rispetto alla Campania (0,92 ogni 1000) e del 355% in più rispetto alla Sicilia (2,12 ogni 1000).

Obiettivamente, si tratta di proporzioni che non trovano alcuna giustificazione razionale e che assumono un significato inquietante alla luce dei ripetuti gridi di allarme lanciati da importanti personalità calabresi, tra le quali un noto magistrato della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, secondo cui le interdittive (così come i provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali) sono strumenti che, essendo fondati su labili elementi di valutazione, finiscono per favorire il carrierismo di alcuni prefetti, contribuendo tra l’altro alla desertificazione sociale ed economica di una regione già impoverita da una politica, locale e nazionale, incapace di investimenti strategici e di autentiche prospettive di sviluppo.

Rispetto a tale quadro a dir poco sconfortante si attende ora di comprendere quale sarà l’effetto del recente intervento legislativo che, modificando il Codice Antimafia, ha introdotto alcune importanti innovazioni nel sistema della prevenzione amministrativa antimafia tra cui, in particolare, la necessità di instaurare il contraddittorio con l’impresa sospettata di infiltrazioni prima dell’adozione dell’interdittiva e la possibilità di intervenire con forme di amministrazione controllata delle aziende nei casi di condizionamento occasionale.

Pasquale Simari

 

 

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