Le celebrazioni di questi giorni che hanno avuto come tema il ricordo del sacrificio dei Cinque Martiri di Gerace, impongono qualche riflessione. Oltre ad un riconoscimento storico nazionale è mancata l’azione politica che doveva (e dovrebbe) investire del caso la commissione cultura del parlamento nazionale e del consiglio regionale. È questo il vero dramma: non abbiamo chi ci rappresenta e, quel che è più grave, chi dovrebbe garantire la sopravvivenza della nostra identità storica. Michele Bello, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori, Rocco Verduci e Pietro Mazzoni non possono essere dimenticati, perché loro ci hanno dato la misura e il prezzo dei valori universali di libertà e di quel costituzionalismo di cui oggi tutti noi dobbiamo farne tesoro.
Le celebrazioni di questi giorni che hanno avuto come tema il ricordo del sacrificio dei Cinque Martiri di Gerace, impongono qualche riflessione.
Se mi dovessero chiedere in quale parte dell’arco costituzionale collocare quei Cinque Giovani morti per la Libertà e per l’Italia, non esiterei a rispondere che non hanno un’identità partitica. Le idee da loro professate non hanno colore politico (specie oggi, epoca di grandi trasformismi e di smemorati!). Sono idee libere e senza tempo.
Negli anni di questo drammatico avvenimento, che ha segnato la nostra storia e la nostra coscienza di “uomini liberi”, sono stati portati a compimento operazioni speculative come pure iniziative lodevoli. Bene hanno fatto Mimmo Romeo a organizzare il 2 ottobre scorso il convegno (ormai annuale) a Siderno Superiore, molto partecipato (ma da quanto mi risulta mancava l’amministrazione comunale) e l’Associazione “I Care” di Siderno con l’idea di ripristinare a Gerace il corteo storico e a portare ancora una volta sotto i riflettori l’azione dei Cinque giovani valorosi, che non trovano spazio nei manuali di storia nazionali.
Chi scrive, Mimmo Romeo e Pino Macrì (presidente dell’Istituto per la Storia del Risorgimento, sezione di Reggio Calabria) con le nostre ricerche, le nostre pubblicazioni e le nostre iniziative, abbiamo da sempre cercato di sfondare quel muro di gomma che impedisce di portare alla ribalta sulla stampa nazionale e nei libri adottati nelle scuole, uno dei primi episodi della nostra storia nazionale in cui fu esibita la bandiera tricolore e per la quale i Martiri sono morti (uno di capi d’accusa su cui si è basata la sentenza è stata proprio la bandiera tricolore).
Per amore della verità mi piace ricordare a livello nazionale il passaggio su Rai3 nella trasmissione “Vieni via con me” di Fabio Fazio e il libro di Aldo Cazzullo, i pochissimi che hanno ricordato nel 2011 il drammatico evento a livello nazionale.
Il corteo storico proposto dall’Associazione “I Care” non è il primo. La precisazione è doverosa innanzitutto per dare atto e ricordare anche coloro che si sono impegnati negli anni a portare avanti simili iniziative. Il primo corteo è stato realizzato 1947, in occasione del 1° centenario della fucilazione. L’Amministrazione comunale dell’epoca, guidata dal sindaco Giuseppe Sansalone, organizzò un corteo al quale presero parte le maggiori autorità della provincia, i rappresentanti della Società Calabrese di Storia Patria, i sindaci dei Comuni di origine delle vittime e un docente universitario. Lungo il tragitto un oratore illustrò i punti salienti della loro azione. Giunti alla Piana, dinanzi al monumento fu deposta una corona d’alloro e un altro oratore commemorò il fatto storico.
Nel 1961 gli alunni del Liceo Classico e del Liceo Scientifico di Locri, guidati dal preside Giuseppe Calogero, l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Giovanni Glioti e la cittadinanza formarono il primo corteo che raggiunse il luogo della fucilazione dei Cinque Martiri. Al discorso del sindaco Giovanni Glioti e a quello del professore Giuseppe Calogero, seguì l’intervento del professore Ettore Aglioti, che rivendicò la funzione storica del moto del distretto di Gerace del ‘47.
Altri due cortei furono organizzati dall’Istituto scolastico di Gerace (Primaria e Media) e nel 2007 dall’Amministrazione comunale (rappresentata dall’allora assessore Rudi Lizzi) e dalla Consulta giovanile su dialoghi da me preparati (file ancora disponibile sul canale you tube).
Dunque, ben vengano le iniziative di tal genere che rivitalizzano e accendono sempre il lume per non dimenticare. Ma al di là di queste manifestazioni locali (purtroppo dobbiamo considerale così, per quanto generose), non vi sono ricordi a livello nazionale e la filmografia si è fermata a quanto proposto da Elio Ruffo e più recentemente da Mimmo Raffa (purtroppo di recente scomparso), col quale ho collaborato per la realizzazione di un docufilm.
Oltre ad un riconoscimento storico nazionale è mancata l’azione politica che doveva (e dovrebbe) investire del caso la commissione cultura del parlamento nazionale e del consiglio regionale. È questo il vero dramma: non abbiamo chi ci rappresenta e, quel che è più grave, chi dovrebbe garantire la sopravvivenza della nostra identità storica.
Michele Bello, Gaetano Ruffo, Domenico Salvadori, Rocco Verduci e Pietro Mazzoni non possono essere dimenticati, perché loro ci hanno dato la misura e il prezzo dei valori universali di libertà e di quel costituzionalismo di cui oggi tutti noi dobbiamo farne tesoro.
Enzo Cataldo