di Giuseppe Gervasi
Da questa vita prendo quello che arriva all’improvviso: lo afferro ma non so cosa sia.
Mi lascio guidare dal cielo, dal fato, dall’attimo e dalla comprensione.
La comprensione, il comprendere l’altro, l’immedesimarsi a tal punto che le sue sofferenze e le sue gioie diventano nostre.
La comprensione “sospesa” dove ognuno comprenda l’altro sino all’infinito.
Che ne pensate?
È possibile donare la comprensione oppure preferiamo l’indifferenza, il cinismo, il giudizio, il pulpito, la rabbia, la ricchezza sfrenata?
Si è poveri quando si è soli, si è poveri quando il telefono non squilla e nessuno bussa più alla tua porta, si è poveri quando qualcuno decide di lasciare questo mondo perché il mondo non lo vede più, non si accorge di lui, lo rende invisibile e lo incatena dentro un carcere domestico.
Poveri noi che all’improvviso diventiamo ciechi, sordi e muti. Come robot, ci facciamo guidare da un telecomando in mano al signor “Chicchessia di turno”: un turno che non finisce mai e dura da una vita.