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sabato, Aprile 27, 2024
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Il lato oscuro

Scrivere di migranti non è mai facile. Si scrive di politica? Si scrive di tragedie umane? Di cosa si scrive? Proverò a raccontarvi una storia, dando un altro punto di vista, quello di chi ci sta “dentro”.

C’era una volta una giovane donna di nome Arina che per praticità, in Italia, si faceva chiamare Arianna. La conobbi 11 anni fa, proprio di questi tempi. Parlava russo ma non era russa. Pregava in polacco ma non era polacca. Veniva da un piccolo paese di una nazione che si chiama Bielorussia. Negli ultimi giorni se ne parla, persino il Papa, perché i migranti che la attraversano fuggono verso una delle porte d’ingresso d’Europa, la Polonia. Ma torniamo ad una di quelle storie “dal basso”, che fanno capire meglio un fenomeno complesso. Arina parte dal suo paese, tanti anni fa, che aveva poco più di vent’anni e oggi è quasi giunta in quel punto cruciale della vita di un migrante in cui il tempo che ha trascorso in un posto “nuovo” è uguale a quello che ha vissuto nel suo paese d’origine. Il cuore di chi emigra “per sempre” è diviso, una frattura che porta una nostalgia insanabile. Provate a chiedere, ai vostri parenti canadesi o australiani, se si sentono appartenere alla nuova nazione o se nell’animo sono sempre italiani… Vi risponderanno la seconda. Ma che fortuna essere italiani! Cibo eccellente, clima e paesaggi eccezionali, cultura, arte. Sì, è vero, alcune cose non funzionano per niente, il malaffare dilagante, gli imbrogli e la corruzione ma, tutto sommato si sta bene, molto meglio che altrove, persino dove c’è poco, come qui al sud, anche se alcuni tipi di lavori scarseggiano o mancano del tutto, ce ne sono altri. E così Arina decide di venire in Italia e parte, attraversando l’Europa con mezzi di fortuna, per cambiare vita e aiutare la sua famiglia rimasta al paese. Arina diventa Arianna e non è molto diversa da tutti i suoi coetanei che sono partiti dal sud per andare a lavorare altrove. Ma la sua storia somiglia di più a quelli che dopo l’alluvione del 1951, emigrarono in Australia e non fecero più ritorno, se non da turisti (quando e se hanno fatto ritorno). Anche nella nazione di Arianna è in atto una sorta di “alluvione” devastante che è in corso da ben 27 anni, di cui l’ultimo (dall’agosto del 2020 a oggi) è stato l’anno probabilmente peggiore per il suo popolo. Questa sciagura ha un nome, Lukashenko, che a tutti gli effetti e senza ombra di dubbio è un dittatore. Ma torniamo per un attimo ad Arianna che trova in Italia la sua possibilità di avere una vita da persona libera, che può sventolare la sua bandiera, nei colori libertari bianco, rosso, bianco, senza la paura di finire in carcere come dissidente. Dopo anni di lavoro da noi, incontra il futuro marito, si sposano, hanno una splendida bimba e vanno a trovare i nonni in Bielorussia, ogni estate finché non arriva il Covid, che ha cambiato, a volte inesorabilmente, le vite di tutti noi. E così Arianna salta la consueta visita in agosto ai genitori lo scorso anno (quello della svolta per il paese, quando il dittatore aveva perso le elezioni, salvo poi risultare, con dubbi mezzi, ancora al potere). Di nuovo lui, Lukashenko, stavolta ancora più repressivo di prima. Passano i mesi, arriva la seconda ondata Covid, le nazioni si richiudono, trascorre l’inverno, arriva nuovamente la bella stagione, siamo a fine maggio quando Arianna di solito programma le vacanze estive e prenota il biglietto. Ma il suo Presidente chiude lo spazio aereo. Il resto è tutto in accelerazione e la situazione precipita e peggiora, di mese in mese. Arianna perde il padre ma né lei né suo fratello (emigrato anche lui nella vicina Polonia) possono partecipare ai funerali. Chi rientra in Bielorussia non ne esce più. Mentre scrivo, Lukashenko, fraterno amico del potentissimo Putin, pensa strategicamente come poter strumentalizzare i migranti che spingono verso l’Europa. Chi vincerà? In questo teatrino messo ad arte le vittime sono moltissime. Lo sono i migranti che attraversano i boschi a -3 della Bielorussia e spingono per entrare in Polonia, la cui “porta” è chiusa. Sono vittime gli abitanti di quei boschi che non vanno a prendere i funghi perché ci sono 3000 persone, non 30.000, che stanno lì con bambini, al freddo, e tra poco anche senza più nulla da mangiare. La gente del posto ha paura che i profughi bussino alle loro case (e già accade) per chiedere aiuto. Il popolo bielorusso, già vittima dei rincari, delle privazioni, delle minacce subite a causa del governo duro e repressivo è esso stesso alla fame e in ginocchio. Sono vittime Arianna e suo fratello che non potranno tornare in patria a rinnovare i loro passaporti bielorussi, a trovare la loro mamma rimasta lì, a salutare il loro papà neppure per un attimo, al cimitero del paese. Già, nel frattempo c’è stato un grave lutto nella famiglia di Arianna ma tutti quelli che la conoscono e vivono attualmente in Bielorussia le hanno raccomandato di non rientrare per nessun motivo: il loro Presidente o non la farebbe proprio entrare oppure non la farebbe uscire più. Tra poco tornerà l’inverno anche in Italia, si parla di quarta ondata Covid, di zone gialle, ecc. L’occhio di bue è puntato sul Covid e in nome del virus e della paura che incute quasi ci si dimentica che per riscaldarsi col gas bisogna spendere 19 euro per una bombola (“piccola”), circa 3 euro per un pane, rincari di ogni genere. È risaputo che la forbice tra ricchi e poveri si è allargata a dismisura, a favore di quelli che avevano già tanto e che anche grazie agli effetti del Covid hanno visto crescere il loro patrimonio. Soprattutto non bisogna dimenticare che, in questo momento di grande difficoltà per chiunque, c’è chi dal Covid sta ricavando grande potere, con la possibilità di fare ancora di più il bello e il cattivo tempo a casa sua in maniera indisturbata, come, per l’appunto, Lukashenko. Persino la madre di Arianna è arrivata a dire alla figlia, tramite un telefono che potrebbe essere controllato… “si stava meglio quando si stava peggio”.

Pochi giorni fa era il 9 novembre e si ricordava la caduta del muro di Berlino. Sono trascorsi 32 anni da allora, era il 1989. Lukashenko sale al potere nel 1994, in un momento in cui i riflettori erano puntati altrove, come adesso, e si sa che nell’ombra germogliano indisturbati i mostri del futuro. Il Covid c’è, innegabilmente, ma purtroppo non possiamo considerarlo come nostro unico problema. Il “lato oscuro” va tenuto comunque d’occhio, oggi più che mai. Le cose cambiano velocemente e saper “navigare a vista” diventa indispensabile, per essere degli ottimi marinai, soprattutto saper riconoscere dalla punta che affiora la grandezza dell’iceberg sottostante, per individuare e schivare in tempo il potenziale pericolo.

Daniela Rullo

 

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