L’autore analizza la figura di questo personaggio biblico e il suo rapporto con la sofferenza. Chinè sottolinea come Giobbe sia un uomo di grande fede, che si interroga sul perché Dio permetta il male nel mondo. La sua sofferenza lo porta a mettere in discussione la giustizia divina, ma alla fine egli giunge ad accettare il mistero di Dio. L’analisi di Chinè è profonda e ricca di spunti di riflessione. Egli ci invita a confrontarci con la sofferenza e il male, e a cercare di capire il senso della nostra vita di fronte a queste realtà.
Bruno Chinè
Il libro di Giobbe fa parte dei libri sapienziali della Bibbia passato alla tradizione popolare per la sua proverbiale pazienza anche se visto bene, non era tanto paziente. Da bambino ricordo che mio nonno mi diceva spesso: con te ci vuole la pazienza di Giobbe”. Giobbe, nella realtà, è un uomo di fede granitica nel Patto tra Dio e Mosè, di statura principesca, più problematico che paziente; si sente sempre vincolato al Patto nel quale la giustizia divina è di tipo retributivo e proporzionale: chi fa il bene ottiene il bene, chi fa male ottiene il male. La vita di Giobbe, uomo quasi santo e timorato di Dio scorre in maniera tranquilla tra agi e riconoscimenti sociali: ricchezza, famiglia numerosa e serena. All’improvviso però tutto cambia, viene colpito da mali inattesi, ed immeritati in base al Patto mosaico. Prima di Giobbe sul Problema del male abbiamo testimonianze egizie e babilonesi. In Egitto nel 2ooo a. C. è stato trovato uno scritto del 4000 a. C. nel quale è riportato un lamento d’un uomo disperato che può essere considerato una preghiera: “A chi mi rivolgerò io? I fratelli non riconoscono più i fratelli e nessuno ti ascolta; in questo mondo ingiusto e malvagio nessuno si prende cura di te, è meglio uscire da questo mondo inumano”. Ma chi è Giobbe? Il termine Giobbe significa letteralmente dov’è il padre che per tradizione dà sicurezza e protezione. Quando dinanzi alle difficoltà della vita l’uomo si sente solo e fragile cerca protezione nel padre. Questo fa Giobbe; il suo grido nel momento delle difficoltà diventa una preghiera al padre da cui si sente abbandonato. Storicamente è una persona molto nota per la sua posizione sociale, fede e cultura. Un intellettuale, diremmo oggi, che certo ha avuto contatti col il pensiero greco; era timorato di Dio, lontano dal male e legato profondamente al patto mosaico. Aveva sette figli e tre figlie, era abbastanza ricco con settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine e abbondante servitù. Quando i suoi figli avevano compiuto i loro banchetti li invitava a casa sua. Si alzava di buon mattino e offriva olocausti. Ma, come nella genesi, un giorno si presentò il serpente, dinanzi a Dio per infondere il sospetto che Giobbe amasse il Signore per interesse. Dio, vedendo Satana gli chiese: “da dove vieni “?
rispose il Maligno: “dalla terra che ho percorso in lungo e in largo”. Chiede Dio: “hai posto attenzione al mio servo Giobbe? nessuno è come lui sulla terra integro e retto”. Il Maligno risponde: “questo è vero perché tu hai steso una siepe protettiva attorno alla sua vita e ai suoi beni che sono prosperati; prova a toccarlo e vedi come ti maledirà”. Il maligno ottiene da Dio il potere di mettere alla prova Giobbe per verificarne l’animo. Arrivano le prime sventure sui beni di Giobbe: tribù nemiche rubano le sue mandrie, i suoi figli muoiono e la moglie lo abbandona. Giobbe si trova solo. Ha perso tutto ciò che aveva ma sa restare fedele al suo Dio: “il signore ha dato il signore ha preso, nudo sono nato e nudo ritorno ad essere, sia lodato il nome del Signore”. Satana, ritornando da Dio, dice: “se stendi la mano e lo colpisci nelle ossa ti maledirà”. Allora Satana colpì Giobbe con una piaga maligna dai piedi alla testa. Rimase a terra a grattarsi le ferite con un coccio, coperto di cenere. La moglie gli disse: “maledici il tuo Dio e muori!”, ma Giobbe rispose: “parli come una stolta; se da Dio accettiamo il bene perché non dobbiamo accettare il male?” Con queste parole Giobbe non peccò. La voce delle disgrazie che avevano colpito Giobbe si diffuse e tre suoi amici importanti lo raggiunsero per consolarlo, farlo uscire dal peccato e riacquistare tutto quello che aveva perduto. Ripetiamo che la giustizia cui si appella Giobbe è di tipo retributivo e proporzionale, ma le cose della vita non vanno così. Ha creduto sempre in un Dio saggio che protegge i buoni e punisce i cattivi ed ora si trova dinanzi ad u Dio malvagio ed ingiusto: non si rassegna; Giobbe è un personaggio di lotta e vuole parlare con Dio per avere riconosciuta la propria integrità. Anche Cristo, in momenti drammatici, invoca il Padre, ma il Padre non risponde. Il superamento di una giustizia di tipo retributivo e proporzionale, tipica del Pentateuco, la troviamo nel romanzo La Peste di Camus, il quale sicuramente aveva approfondito il libro di Giobbe. La peste colpisce una piccola comunità e ci sono i primi morti; il pastore va in chiesa ed invita il popolo a pentirsi dei peccati e a purificarsi per allontanare il male. Col passar dei giorni il morbo però aumenta ed i morti sono tanti. Il pastore torna in chiesa e dinanzi ai pochi fedeli, gli altri sono assenti per paura, riconosce che non c’è alcun legame tra male e segno; la peste non è un segno del male commesso e non si sa nemmeno se ha un significato. Quello che colpisce il prete è la morte d’un bambino nelle sue braccia: Il male non può colpire un innocente: è assurdo. La morte degli innocenti colpisce Ivan Karamazov, il quale, parlando col fratello Alessia, non trova accettabile che Dio permetta la sofferenza e la morte dei bambini innocenti. Giobbe, non ha di che cosa pentirsi ed il suo grido è rivolto all’Altissimo, vuole parlare proprio con Lui. L’Altissimo infine risponde. Nella Bibbia tante volte incontriamo Dio che parla agli uomini, ma mai l’uomo che parla con Dio. Si tratta di una svolta nei rapporti tra uomo e Dio e di una rivoluzione del modo di concepire la giustizia divina. Dio non ha risposto dinanzi alle invocazioni di Cristo ma risponde alla preghiera accorata di Giobbe. l’Altissimo risponde sul mistero del male, della sofferenza e della morte. Dice a Giobbe: “ quando io facevo la terra ed il firmamento tu dov’eri, uomo fatto di fango, accetta la tua finitezza, non puoi capire i misteri di Dio”. Questa conclusione dell’Altissimo è senza appello: dinanzi al Mistero l’uomo può rispondere solo con un atto d’umiltà, di rassegnazione e di preghiera, dato che l’uomo è per natura un essere orante. Il Padre Dante dice: “State contenti umana gente al quia/ che se potuto aveste veder tutto/motivo non era partorir Maria”; e Pascoli ha scritto: “ Sulla prona terra troppo è il mistero” e Carducci incalza: “ Meglio obliar che indagar questo enorme mistero dell’universo”, ed il grande Leopardi: “ “Arcano è tutto tranne che il nostro dolore”. Nel libro di Giobbe il male, il dolore e la morte fanno parte dei tanti misteri di cui è costellato il creato e l’uomo non può capire per la sua finitezza ontologica diremmo con Heidegger.