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giovedì, Aprile 25, 2024
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Il malessere della Calabria

Il voto di domenica ci ha consegnato un dato incontrovertibile su cui tutti, vincitori e vinti, dovrebbero finalmente riflettere seriamente: alto è il malessere dei calabresi. Se al voto, per la seconda volta in due anni dopo le Regionali del 2021, si reca infatti al seggio solo 1 calabrese su 2, con il peggiore risultato italiano per affluenza, qualcosa di più profondo significa.

Il voto di domenica ci ha consegnato – oltre e al di là i numeri delle coalizioni e dei partiti che sono stati scandagliati in questi giorni e che continueranno ad esserlo – un dato incontrovertibile su cui tutti, vincitori e vinti, dovrebbero finalmente riflettere seriamente: alto è il malessere dei calabresi! Altissimo!

Se al voto – per la seconda volta in due anni dopo le Regionali del 2021 – si reca infatti al seggio solo 1 calabrese su 2, con il peggiore risultato italiano per affluenza, qualcosa di più profondo significa oltre alla tradizionale disaffezione, ai fuori sede e a quant’altro. È un dato cioè consolidato sul quale non ci si può però adagiare, facendo finta di nulla o, peggio, dando per scontato il fatto. Qui è in pericolo la democrazia e chi non se ne accorge, e non se n’è accorto in passato, si troverà presto in guai grossi. Perché’ anche le cifre toccate dai vari partiti conferma quel malessere.

Tocchiamo solo due dati politici emersi dalle elezioni di domenica e che entrambi sono collegati a quel malessere: il crollo del PD e la rimonta clamorosa di 5 Stelle. Sul partito democratico ci eravamo ampiamente espressi, come facilissimi profeti: la crisi drammatica del partito erede della sinistra in Italia, e ancor di più in Calabria, è troppo seria per essere rimessa al giochetto interno dei vecchi capicorrente che ormai non contano più nulla (Franceschini e Orlando tanto per fare due nomi a caso).

Se non muta il senso di rotta di un partito che è in questo modo solo di nome un partito ma in realtà una congrega di correnti, non si va da nessuna parte: non ha alcun radicamento sui territori, ha gruppi dirigenti autoreferenziali che dal Pollino allo Stretto non hanno altro interesse se non la loro riproposizione, è sparita sia la partecipazione che la democrazia. Di strada se ne fa poco. Insomma, non c’è rimasto più nulla delle sembianze di un partito erede del Pci (Pds, Ds) e di parte della Dc.

Quello che sta avvenendo poi in Calabria dopo la fine del lungo commissariamento, che ha prostrato le residue forze attive rimaste, ha del clamoroso, peggio di quanto si potesse immaginare e il voto di domenica non è che la conferma di una deriva inarrestabile. Ne’ il congresso in tempi brevi (marzo poi non è nemmeno tanto breve) annunciato da Enrico Letta che ha detto che getterà  la spugna proprio in occasione di quel congresso che ci sarà (lo ha fatto con grande dignità personale e politica, sia detto) risolverà i problemi che sono di linea politica, di organizzazione, di posizionamento sul territorio.

Collegata a questa deriva e al malessere calabrese è in qualche caso anche la vittoria dei 5 Stelle calabresi che hanno addirittura vinto un collegio uninominale mandando a casa l’erede di un (ex) dinastia cosentina. Come non leggere, infatti, in quel 30 per cento anche un segno di un malessere profondo di ceti, di pezzi della società nostra per tanti problemi irrisolti e per le insufficienti risposte di quella che un tempo era la sinistra storica? Quante sono state le adesioni, ad esempio, di figure storiche di quello che fu il Pci ma anche la Cgil, vecchia e nuova, al progetto di Conte? Perché’ nessuno ha pensato che quelle adesioni segnalassero la lontananza ideale e politica da un progetto confuso e pasticciato come quello proposto dal PD ed invece si è risposto con sufficienza se non con arroganza e protervia?

Di quel malessere ne ha fatto alla fine incetta il partito di Conte, mentre sull’altro versante c’è il clamoroso risultato di Forza Italia, che ha anche frenato nella regione il voto a valanga di Fratelli d’Italia (la Calabria è uno dei sette territori in cui il partito della Meloni non è la prima forza politica), drenando quasi completamente il bacino di una Lega salviniana dilaniata da lotte interne e che elegge rappresentanti solo per il traino degli altri due partiti alleati di centrodestra.

Alla fine della fiera resta per tutti però il punto di partenza: il malessere e la disillusione dei calabresi sono macigni su cui si scontreranno oggi e nel futuro le sorti di una democrazia compiuta. Questo il vero problema.

 

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