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venerdì, Ottobre 4, 2024
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Il nuovo PD senza Calabresi

Noi pensiamo che quelli che hanno chances di diventare leader del Partito democratico siano alla fine della fiera (fiera in tutti i sensi!) i due emiliani. A prima vista si direbbe uno scontro tra il nuovo e il vecchio, progetto contro tradizione. Depongono a favore di questa lettura innanzi tutto l’età – lei 37 anni, lui 55 – e soprattutto la biografia politica: Schlein da sempre a sinistra del Pd non è finora neppure iscritta; Bonaccini ha preso nel 1990 la tessera del Pci, poi Pds, Ds, Pd. Lei movimentista, lui quadro di partito. Esperienza e biografia internazionale contro radici contadine. Eppure, eppure…

Il solitamente caustico e solitamente ipercritico Linkiesta, vicino ai liberaldemocratici del Pd, stavolta ci è andato giù duro: il presidente della Regione Emilia-Romagna – ha scritto alcuni giorni fa – sa che non avrà il sostegno del gruppo dirigente nazionale, e lo rivendica, perché la sua piattaforma è in discontinuità con gli ultimi anni manovrieri del Nazareno, Quindi un po’ di ammuina affinché niente cambi. La nomina della commissione dei 101 l’altro giorno in Direzione lo conferma pienamente: una vergogna senza pudore (tra l’altro nessun calabrese presente)!

Andiamo, però, con ordine.

Noi pensiamo che quelli che hanno chances di diventare leader del Partito democratico siano alla fine della fiera (fiera in tutti i sensi!) i due emiliani. A prima vista si direbbe uno scontro tra il nuovo e il vecchio, progetto contro tradizione. Depongono a favore di questa lettura innanzi tutto l’età – lei 37 anni, lui 55 – e soprattutto la biografia politica: Schlein da sempre a sinistra del Pd non è finora neppure iscritta; Bonaccini ha preso nel 1990 la tessera del Pci, poi Pds, Ds, Pd. Lei movimentista, lui quadro di partito. Esperienza e biografia internazionale contro radici contadine.

Eppure, eppure.

C’è, infatti, da chiedersi se la partita tra i due sia davvero da leggere secondo le classiche lenti che dividono il mondo puramente e semplicemente in destra e sinistra, senza valutare bene le conseguenze delle rispettive piattaforme (che peraltro devono ancora essere definite con precisione). Forse la vera grande differenza tra i due sta nella finalità ultima della loro visione che per Elly pare essere quella della emersione di contenuti nuovi, o declinati in maniera nuova, mentre per il Governatore dell’Emilia-Romagna è innanzi tutto quella del governo. Dal discorso col quale Bonaccini domenica scorsa ha annunciato la sua candidatura è emerso chiaramente che lo scopo della sua eventuale segreteria sarà quella di costruire una piattaforma di governo e un partito in grado di farla vincere alle prossime elezioni, sfidando la destra. In fondo un partito esiste per andare al governo. In questo quadro sono ritornate parole come riformismo e vocazione maggioritaria, recuperando l’ispirazione originaria del Pd prima maniera.

Bonaccini ha dato l’impressione di voler riportare il Pd sulla terra della politica intesa come virtuosa battaglia per il governo, in contrasto con la vocazione sul sociale e le battaglie di sinistrasinistra dell’altra parte del Pd (come faranno a mettersi d’accordo queste due anime resta ovviamente un mistero e ne abbiamo gia’ scritto nelle puntate precedenti dedicate ai democratici). Comunque sia, Bonaccini ha messo in chiaro una cosa: non avrà «il sostegno del gruppo dirigente nazionale» perché la sua piattaforma è in discontinuità con gli ultimi anni “manovrieri” del Nazareno. E non ha torto. Il centro di Dario Franceschini e Zingaretti, di Francesco Boccia e Marco Meloni appoggia Schlein non perché improvvisamente fulminato dalle sue idee sulla transizione ecologica o sulla sessualità ma perché vi scorge l’inciampo che può bloccare Bonaccini.

Se mettiamo insieme le due cose – partito di governo e lotta al correntismo – viene da dire che il Governatore per quanto possa sembrare paradossale è più di sinistra della sua giovane avversaria, la quale punta tutto sulla testimonianza del disagio. Può senz’altro darsi che sia vero quello che ha detto Schlein a Repubblica, cioè che «la sinistra non è riuscita ad anticipare le grandi trasformazioni che stanno spaventando le società.  L’aumento delle diseguaglianze, gli effetti sul lavoro delle innovazioni tecnologiche, l’emergenza climatica che mette a rischio il pianeta».

Bonaccini ha chiaro che bisogna agire su sé stessi, sul Pd: «Non deleghiamo ai Cinque Stelle di rappresentare la sinistra così come al Terzo Polo di rappresentare i moderati: il Pd nasce come partito di centrosinistra e questo spazio adesso ce lo andiamo a riprendere noi».

Magari è troppo tardi ma la scommessa è concreta. Se essere di sinistra significa innanzi tutto battere la destra nella competizione per il governo, diremmo che Stefano Bonaccini almeno sulla carta è più di sinistra della sua ex vice in Regione Emilia-Romagna.

Ora aspettiamo e vediamo, però, chi arriverà alla conta di febbraio. Saranno solo in due ma altri sono in arrivo prima delle primarie.

Chiudiamo con un fulminante Palmiro Togliatti del tempo che fu: gli emiliani – disse – sono buoni a governare nel loro territorio ma la politica a Roma e’ un’altra cosa. Insomma: se non è zuppa è pan bagnato tra Bonaccini ed Elly!

 

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