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Il Pasolini privato in “PPP Amore e Lotta”

Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini si sono susseguite, in tutta Italia, le iniziative in sua memoria. Non era di certo facile mettere in scena un Pasolini inedito e privato. Ci è riuscito lo spettacolo “PPP Amore e lotta. Dico il vero”, produzione Officine Jonike Arti, andato in scena lo scorso 3 dicembre per il Globo Teatro Festival presso il Parco Ecolandia, di Reggio Calabria.

Non è certo facile approcciarsi a un personaggio come Pier Paolo Pasolini, incommensurabile nella complessità del suo pensiero, della sua dimensione artistica, della sua poliedrica produzione. Manca oggi, si sente spesso ripetere, una voce come la sua, un’intellettualità “oltre”, acuta e penetrante, scomoda e “scandalosa”.

Nel centenario della nascita, in cui si sono susseguite le iniziative in sua memoria in tutta Italia, non era di certo facile, dunque, mettere in scena un Pasolini inedito e privato. Ci è riuscito lo spettacolo “PPP Amore e lotta. Dico il vero”, produzione Officine Jonike Arti, andato in scena lo scorso 3 dicembre per il Globo Teatro Festival presso il Parco Ecolandia di Reggio Calabria.

Con la regia di Matteo Tarasco, drammaturgia di Katia Colica, Pasolini viene interpretato dall’attore Americo Melchionda, accompagnato da Maria Milasi, nel ruolo dell’amatissima madre Susanna, e da Andrea Puglisi, nelle vesti del fratello Guido, morto giovanissimo durante la Resistenza, nei fatti legati all’eccidio di Porzus.

In un’atmosfera surreale e notturna un Pasolini – sveglio o sognante? vivo o morto? – incontra i suoi cari. Smarrito e inerme, stanco, “è forse la stanchezza un altro peccato?” si chiede, la mente brillante ora offuscata dai suoi fantasmi. La madre è stata sempre il suo punto di riferimento, a lei era legato da un affetto dolcissimo, ma qui è anche colei che lo accusa: il fratello più piccolo, al contrario di lui, ha deciso di continuare a combattere per il suo paese: “perché lo hai accompagnato alla stazione? Perché non gli hai impedito di partire”, urla, come ogni madre anche dopo tanti anni non può rassegnarsi a quella perdita. Lei li ha amati allo stesso modo, anche se il suo Pier Paolo è speciale, lui “dice sempre il vero”, perché lei lo ha cresciuto così: amore e lotta, senza requie.

Ed è proprio un sogno senza requie questo triangolo in cui i personaggi sono uniti tra loro dal filo invisibile dell’amore, del ricordo e del rimorso. Pier Paolo non ha condiviso gli ideali del fratello per la bandiera che campeggia alle sue spalle. Ma si è impegnato ad onorare la sua memoria, e ha fatto del suo essere intellettuale un impegno politico.

Ma “dire il vero” forse è diventato una condanna?

Perché in questa dimensione di morte-non morte il vero invocato e cercato diventa sfuggente, confuso, così come la verità sulla morte di Pasolini, così come le verità sulla storia di Italia, sulla quale indagava con il suo romanzo incompiuto Petrolio, e per la quale è quasi certamente morto.

La sua morte è vera, però, lo sa lo spettatore: i vestiti che indossa, la maglietta verde e il pantalone blu, sono quelli con cui lo scrittore è stato ritrovato quella sera di novembre – “e questo novembre non avrà pietà” sussurra Guido, insieme a lui su quel campetto da calcio teatro del delitto in cui rimane abbandonato un pallone; e poi infine la voce fuori campo, il celebre discorso dell’amico Moravia alle sue esequie, che ci riporta alla realtà, dopo il sogno…: “il poeta è sacro”, ma la sacralità diceva Pasolini nel nostro tempo è perduta. E senza sacralità non vi è pietà.

L’allestimento – con le scenografie di Lazzaro-Melis, costumi di Malaterra, e le musiche di Antonio Aprile – è pensato per la particolare location della Sala Spinelli di Ecolandia, che consente alla regia di usufruire anche della naturale scena esterna; i personaggi, proprio come ombre che appaiono e scompaiono, sono illuminati da un temporale casuale che dà particolare suggestione all’esibizione.

I tre attori dimostrano grandissima maturità nei rispettivi ruoli, dominando – senza lasciarsene dominare – tre personaggi potenti, magma umano allo stato puro: Pasolini ha il volto teso e scavato di Americo Melchionda, che riesce a donargli un tratto indifeso, davanti a quell’assedio serrato, che è insieme la vita, i suoi affetti, e la morte, che ha appena subito; la madre di Maria Milasi è oscura e dolente, il fratello Guido è interpretato dal giovane Andrea Puglisi, ferito e tenero, per sempre.

“Questo Primo Studio di un percorso più articolato, che vedrà un debutto nel futuro prossimo, non vuole essere semplicemente un omaggio alla memoria di Pier Paolo Pasolini, ma si configura come un viaggio nella memoria di tutti noi – afferma il regista Matteo Tarasco. – L’autrice Katia Colica ci chiede di ricordare e ci rammenta il valore della memoria e la forza della poesia”.

La drammaturgia di Katia Colica innesta testi originali ad alcuni passi della poetica di Pasolini, con una paziente tessitura di corrispondenze che parla ai cuori, in bilico difficilissimo tra raccontare un “grande” e al contempo “raccontarsi”. «Le parole che si perdono e non si trovano più, questa luce dei fari. L’ultimo bacio di mia madre, la strada giusta, la strada giusta per mio padre. Puzzo di frenata. Correre in sogno. Le vetrinette in salotto, le pacche sulla spalla. I fanali che pizzicano gli occhi, un riparo qualunque. Il freddo preso da chi ti aspetta alla stazione. Alzo il finestrino ché piove».

Lo spettacolo è stato replicato il 7 dicembre a Messina, al Teatro dei Tre Mestieri, per la rassegna Epic, e avrà presto nuove date in Calabria e fuori. Buon viaggio, PPP.

Oriana Schembari

 

 

 

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