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giovedì, Maggio 2, 2024
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Il tempo dei ricordi

Ripercorriamo, insieme, gli avvenimenti e i personaggi più importanti che hanno segnato la data del 4 Novembre.

Accadde che:

1921 (102 anni fa): la salma del Milite Ignoto viene inumata nell’Altare della Patria del Vittoriano di Roma. La cerimonia si svolse con grande concorso di popolo in un clima di acceso nazionalismo. Dopo la Prima Guerra Mondiale, le Nazioni che vi avevano partecipato vollero onorare i sacrifici e gli eroismi delle collettività nella salma di un anonimo combattente caduto con le armi in pugno. L’idea di onorare una salma sconosciuta risale in Italia al 1920 e fu propugnata dal Generale Giulio Douhet. Il relativo disegno di legge fu presentato alla camera italiana nel 1921. Approvata la legge, il Ministero della guerra diede incarico ad una commissione che esplorò attentamente tutti i luoghi nei quali si era combattuto. Fu scelta una salma per ognuna delle seguenti zone: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, San Michele, tratto da Castagnevizza al mare. Le undici salme, una sola delle quali sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, ebbero ricovero, in un primo tempo, a Gorizia, da dove furono poi trasportate nella Basilica di Aquileia il 28 ottobre 1921. Qui si procedette alla scelta della salma destinata a rappresentare il sacrificio di seicentomila italiani. La scelta fu fatta da una popolana, Maria Bergamas di Gradisca d’Isonzo, il cui figlio Antonio si era arruolato nelle file italiane sotto falso nome essendo suddito austro-ungarico, caduto in combattimento nel 1916. La salma dell’Ufficiale fu recuperata al termine del combattimento e tumulata. Antonio Bergamas fu ufficialmente dichiarato disperso, quando un violento tiro di artiglieria sconvolse l’area dove era stato sepolto. La bara prescelta fu collocata sull’affusto di un cannone e, accompagnata da reduci decorati al valore e più volte feriti, fu deposta in un carro ferroviario appositamente disegnato. Al Milite Ignoto fu concessa la medaglia d’oro con questa motivazione: “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà, resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della patria”.

1966 (57 anni fa): la città di Firenze viene sommersa dalla furia dell’acqua dell’Arno: diciassette vittime, danni incalcolabili ad uno dei patrimoni artistici più importanti del mondo. Musei, chiese, luoghi d’arte si allagarono: l’acqua entrò in Palazzo Vecchio, nel Duomo, nel Battistero, sventrò le botteghe degli orafi sul Ponte Vecchio, procurando gravi danni anche al soprastante Corridoio Vasariano. Nel tempo si è poi calcolato che dalle 13.35 alla mezzanotte del 3 novembre sono caduti su Firenze 62,2 millimetri d’acqua e addirittura 120,6 fino all’ora di pranzo del giorno della tragedia. In totale dunque 182 millimetri d’acqua caduti in un giorno, quote superiori alle precipitazioni di un anno intero. Quando l’acqua durante la mattinata comincia a invadere il centro storico, il Questore chiede un sopralluogo al Ponte Vecchio, temendo che possa cedere. Il sindaco di allora, Piero Bargellini, per rendersi conto di quello che sta accadendo, esce in giro per la città, accompagnato dalla moglie e finisce per rimanere bloccato a Ponte Vecchio. A Firenze se ne vedono tante di piene sia d’inverno che in primavera e tutti dunque con il passare delle ore si aspettano che lentamente il fiume si ritiri, non aspettandosi di certo una rovina di tale portata. Per fortuna trattandosi di un giorno festivo i bambini e le varie persone si attardano ad uscire per le strade come invece accade di solito nelle giornate lavorative. Si assiste anche ad una macabra scena: le bare presenti alle varie pompe funebri, liberate dalle vetrine dall’impeto dell’acqua, vagano per le vie della città. Dalle 9 della mattina viene a mancare la luce e dalle 10 saltano tutte le linee telefoniche. Ma nonostante tutto la città ha saputo rialzare la testa e lo ha fatto anche grazie agli aiuti che sono giunti da ogni parte del mondo: aiuti economici, ma soprattutto fisici, infatti moltissime persone vengono a lavorare nella città per togliere il fango dalle case e dai monumenti. Sono soprattutto ragazzi che passeranno alla storia col nome di “Angeli del Fango”.

Scomparso oggi:

1876 (147 anni fa): muore, a Napoli, Luigi Settembrini scrittore e patriota. Nato, a Napoli, il 17 aprile 1813 cresce con gli ideali di libertà, l’odio verso la tirannide e un’impronta illuministica che permarrà per il resto della vita. Dopo i primi studi compiuti in un collegio di Caserta, frequenta contro voglia la facoltà di legge all’Università di Napoli, senza giungere alla laurea. Rimane orfano e nel 1830 cerca di dedicarsi alla pratica forense, ma ben presto vi rinuncia per dedicarsi agli studi letterari. Nel 1835, vince il concorso per la cattedra di eloquenza nel liceo di Catanzaro, dove si trasferisce dopo il matrimonio con Luigia Faucitano. Qui fonda con Benedetto Musolino una setta segreta dai propositi fantasiosi, quella dei “Figliuoli della Giovine Italia”; viene però arrestato nel maggio 1839 e, pur uscendo assolto dal processo grazie all’abile difesa, è trattenuto arbitrariamente in carcere sino all’ottobre 1842. Persa ormai la cattedra, vive modestamente di lezioni private; la sua passione politica rimane viva e nel 1847 scrisse e diffonde anonimamente la “Protesta del popolo delle Due Sicilie”: lo scritto è un violento atto di accusa contro il malgoverno borbonico e in breve tempo diviene popolarissimo. In seguito alla restaurazione borbonica viene di nuovo arrestato. La liberazione arriva in modo insperato nel 1859: nel gennaio di quell’anno il governo borbonico decide di liberare una sessantina di detenuti politici, tra i quali Settembrini. Con l’unità d’Italia, viene nominato ispettore generale dell’istruzione pubblica; viene eletto deputato, ma rinuncia al mandato parlamentare per il possibile conflitto di interessi con la carica che ricopre. Nel 1873 è nominato senatore. Quasi tutta la produzione letteraria appartiene a quest’ultimo periodo della sua vita. Dal 1875 si dedica alla stesura definitiva dei suoi ricordi, che non riuscirà però a completare.

 

 

 

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