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sabato, Aprile 20, 2024
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Il vecchio tempo della Calabria

Di Teresine la nostra bellissima terra è piena. Piena zeppa, come la pasta al forno. Quella della domenica, o dei giorni di festa.

Felice Foresta

Caro Roberto Occhiuto, Teresina (il nome è di fantasia), quando parla del suo paese, ormai vuoto come un ventre sterile, ha questo strano intercalare.

Ad ogni inizio frase, me lo consegna quasi a giustificarsi.

Il tempo, il suo tempo, il suo tempo stesso, era quello in cui la portella, all’ingresso di Monasterace, era un brulicante avamposto di gente.

Uomini, donne, criaturi.

Oggi, incrocio solo lei sull’uscio di casa sua.

È l’ora nona.

Caterina ha terminato di pranzare già da un pezzo. Ormai vive da sola. I figli lontano, o alla Marina o in altri paesi. Mettere qualcosa tra i denti è pratica che si evade in un lampo. Lampi, però, a Monasterace oggi sono quelli di luce. Quelli di un sole che cicatrizza ogni ferita, che flirta con i gatti accende, che l’arangara sotto strada, la praia e l’acqua cristallina del mare di levante.

Caterina ha quasi le lacrime quando racconta, quando recupera pezzi di memoria e scrosta la polvere dai morti.

Solo la Cumprunta di qualche settimana fa è il riverbero di vita che le da un senso di contemporaneità.

E il tempo, il suo tempo, si spiega, coniuga e si coniuga, diventa quello stesso tempo.

Il tempo di ieri che si allunga sull’oggi.

Caro Roberto Occhiuto, converrai che quel tempo, quello stesso tempo, è poco, è troppo poco per immaginare e immaginarci.

Martedì è stata la Festa della Liberazione.

Ho voluto far festa in modo diverso.

Ho voluto farmi male.

Perché di Teresine la nostra bellissima terra è piena. Piena zeppa, come la pasta al forno. Quella della domenica, o dei giorni di festa.

La tristezza di Teresina è un giogo ormai troppo stretto.

Io ho provato ad allentare la presa. Ho provato ad aiutare Teresina a liberarsi dal confronto del passato. Dal suo peso, dal suo confronto, dalla sua nostalgia.

Caro Roberto Occhiuto, ho capito che Teresina, le tante Teresine di Calabria, mi hanno chiesto aiuto.

Ti hanno chiesto aiuto.

Ci hanno chiesto aiuto.

Perché sono sole, sono le uniche a resistere in paesi che si stanno estinguendo come la luce nei lumini della sera.

Perché hanno necessità e desiderio di parlare e di parlarsi, di incontrare e di incontrarsi, di raccontare e di raccontarsi.

Perché hanno necessità e desiderio di fare tutto questo.

Solo questo.

Nello stesso te.

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