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sabato, Luglio 27, 2024
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Ìmme an to Vua (io sono di Bova): vi presentiamo i Greci di Calabria

Sono in tanti (in troppi!) a considerare la Calabria una regione rimasta ancorata al
passato. Bene: invitiamo tutti quelli che lo fanno a studiare il passato di cui parlano
e a riconoscervi dentro una storia affascinante, piena di sfumature e decisamente
unica al mondo

Dov’è la Bovesìa?

Quel lembo di terra chiuso tra Reggio Calabria e Capo Spartivento fatto di costoni di roccia, aspre vallate e paesaggi fiabeschi, quello che comprende una parte del Parco dell’Aspromonte e definisce il limite meridionale della penisola, quello che è stato il centro della cultura antica e della cultura moderna, invece, è rimasto ai margini; quel lembo di terra è chiamato Bovesìa. Qui si parla un dialetto che deriva dal greco, vi si custodiscono tradizioni che nessuno pratica più, vi si scrivono canzoni dedicate agli amori fuori moda: gli amori discreti degli innamorati timidi.
La Bovesìa è un luogo del ricordo, che è sparito dal resto del mondo, ma in Calabria vive e palpita, e raccoglie attorno a sé gli sguardi dei curiosi che vorrebbero calarsi in quella fiaba, capire la sua strana lingua e giocare coi suoi giochi di legno intagliato.
La Bovesìa è un luogo inventato: lo hanno inventato i dialettologi quando hanno capito che nessun altro conosce il dialetto che si parla qui, un dialetto fatto di parole greche che persino il greco ha perso, di preghiere salmodiate alla maniera dei monaci bizantini e di parolacce prese a prestito dal calabrese.
La Bovesìa è un luogo-non luogo, che ha attirato da ogni dove linguisti e antropologi, filologi e poeti, etnografi e sognatori. E tutti loro hanno cercato di capire come mai: come mai qui le mode non sono arrivate? Come mai qui il tempo sembra essersi cristallizzato in un eterno medioevo? Come mai le contadine sanno ancora lavorare la ginestra e i pastori fabbricare la zampogna, come mai?

Alle origini della storia c’è il mito

È uso greco che ogni città abbia un ecista, ossia un eroe che, fondandola, le abbia dato un nome e uno statuto. Anche Reggio Calabria ne ha uno che si chiama Giocasto, figlio di Eolo, dio del Vento, amato e favorito da Poseidone, dio del Mare.
Secondo il mito, la Sicilia era attaccata al resto della penisola in corrispondenza del punto dove oggi sorge Messina. Lì Giocasto fondò Reggio, insegnando agli abitanti l’arte della navigazione, dell’astronomia e dell’allevamento dei cavalli. Ma difendere la città dalle incursioni dei popoli vicini risultò così difficile per l’eroe che Poseidone intervenne staccando il lembo di terra che univa Reggio e Messina. Fu così che si creò lo Stretto; fu così che Reggio (dal verbo greco reghnuimi, che significa “staccare, rompere”) prese il suo nome.
A un mito locale si lega anche il nome Italia che, non tutti lo sanno, nasce proprio sulle coste calabresi. Si dice che Eracle, in viaggio per compiere le dodici fatiche, dopo aver rubato i buoi di Gerione sia stato costretto a tuffarsi nello Stretto per inseguirne uno che era fuggito fino alle coste del territorio reggino: da qui il toponimo Vitulìa (terra del vitello), che sarebbe all’origine del nome Italia.

Il primo centro dell’area grecanica dopo Reggio è il piccolo comune di Cardeto. Secondo le fonti storiche, sarebbe nato come accampamento dell’esercito bizantino circa nel X secolo, ma le sue origini potrebbero essere molto più remote: la presenza di grotte scavate nella roccia testimonia un insediamento molto più antico, databile forse all’occupazione degli Ausoni, prima delle migrazioni greche. Il periodo bizantino e quello medievale furono floridi per Cardeto, che divenne meta dei monaci bizantini. Il suo nome è legato alla tradizione contadina e deriva dal cardo, una pianta che cresce rigogliosa in Aspromonte.

In prossimità di Cardeto sorge Bagaladi, la città dell’olio. Due sono le possibili etimologie del suo nome: la prima prende le mosse dal cognome reggino Bagalà unito al suffisso di appartenenza -adi e designerebbe il “territorio che appartiene ai Bagalà”. La seconda fa derivare il nome da aladi, la parola greco-calabra per “olio”, di cui la Valle del Tuccio, dove Bagaladi sorge, è una rinomata produttrice.

Un nome parlante ce l’ha Pentedattilo, che vuol dire letteralmente “cinque dita”. Il curioso paese sorge in seno a una roccia che ha la forma di una mano con le dita protese verso l’alto. Lo chiamano “il paese fantasma”, e forse non solo perché è rimasto disabitato. Pentedattilo fu il teatro di una strage, consumata il 16 aprile del 1686, la prima notte di nozze della marchesina Antonietta Alberti. La bellissima fanciulla aveva conquistato il cuore del barone Abenavoli, che però vide respinta la sua proposta di matrimonio: il marito di Antonietta sarebbe stato invece Don Petrillo Cortez, che aveva una posizione invidiabile e un patrimonio appetibile. I due si unirono in matrimonio il giorno di Pasqua, ma quella stessa notte il barone respinto irruppe nel castello e uccise lo sposo, risparmiando Antonietta. Da quella notte, secondo la leggenda, iniziò l’inesorabile spopolamento del paese: gli abitanti credevano che quel posto fosse stato maledetto ed era destinato a perire sotto la mano di roccia, che sarebbe caduta schiacciandolo.

Di Roghudi si sa poco, a parte che è la patria di delicatissime poesie. In questo luogo,
il cui nome greco vuol dire paradossalmente “aspro, ruvido”, sono nati i poeti e gli
scrittori che hanno dato al grecanico una letteratura. Da Salvino Nucera a Mastr’Angelo Maesano, questi grandi uomini hanno contribuito a salvaguardare un dialetto che, pur così musicale, ha rischiato di scomparire a causa dell’isolamento e dell’incuria.
Infine, Bova. Tornare a Bova significa tornare al mito; il mito stavolta non racconta
di eroi né di divinità, ma di una ragazza, una regina che si stabilì in vetta alla collina
bovese con il suo popolo, ottenendo la fedeltà di tutti gli abitanti tra Locri e Capo
Zefirio e offrendo loro in cambio la sua protezione. Nella parte alta di Bova, quella
che la regina aveva scelto come propria dimora, sorge una fortificazione; sopra una
pietra è visibile un’impronta e si dice che a imprimerla sia stata la regina, a eterna
memoria della sua supremazia.
Forse è per questo che Bova è stata tacitamente eletta capitale dei greci di Calabria.

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