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sabato, Luglio 27, 2024
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La ‘ndrangheta se ne fotte se si sciolgono i consigli comunali

Giovedì scorso è stato sciolto il Comune di Portigliola. Né il sindaco, Rocco Luglio né tantomeno i consiglieri comunali risultano pregiudicati, ma ciò in Calabria vale meno che niente. Per dirla con estrema chiarezza, la ‘ndrangheta se ne fotte se si sciolgono i consigli comunali e, ancor di più, della dignità di sindaci, di consiglieri comunali e dei loro elettori. Inoltre, è perfettamente in grado di resistere alle interdittive antimafia che, colpendo nel mucchio, mettono fuori gioco soprattutto le imprese sane, demolendo ciò che resta della fragile economia calabrese.

Venerdì scorso  è stato sciolto il Consiglio comunale di Portigliola, in piena Locride. Né il sindaco, Rocco Luglio, e tantomeno i consiglieri comunali risultano pregiudicati ma ciò in Calabria, come in ogni Stato di polizia, vale meno che niente. Credetemi, non vorrei più parlare di argomenti di sopraffazione e di arroganza e meno ancora di ‘ndrangheta. Sono vecchio e vorrei vivere in pace senza però sentirmi un vigliacco e un disertore che abbandona la propria terra tenuta sotto il tacco del potere perché ha paura. Ed in Calabria la paura verso i potenti di turno, accumulata in secoli di oppressione, è tanta e quasi sempre si coniuga con la rassegnazione e solo qualche  volta diventa  “rivolta” collettiva o individuale e  quest’ultima alimenta la ‘ndrangheta.

Mi si perdoni la disgressione di carattere personale ma proprio in occasione dell’anniversario della strage di Capaci mi sono posto qualche domanda: perché la mafia è stata sconfitta mentre la ‘ndrangheta è diventata più forte, più ricca, più “rispettata”, più temuta; ha fondato “colonie” in tutta Italia ed in Europa, ha il monopolio del traffico di coca?

Eppure, appena trenta anni fa la criminalità organizzata calabrese era poca cosa rispetto a quella siciliana.

Si dice, e lo ripetono il fior fiore degli studiosi del fenomeno, compresi alcuni magistrati, che la ‘ndrangheta deve la propria ascesa al fatto che sia stata furba quando ha rifiutato di partecipare alla guerra frontale contro lo Stato scatenata da Riina e dai suoi sanguinari “corleonesi”. Una mattanza che ha esposto al fuoco mafioso uomini coraggiosi che hanno scelto la prima linea per difendere noi tutti dalla barbarie. La crescita della ‘ndrangheta sarebbe stata tutta in tale scelta strategica.

Riina e soci sono passati da una scellerata “alleanza” con gli apparati statali alla sfida allo Stato decretando così la propria sconfitta.

La ‘ndrangheta, invece, non sfida lo Stato anzi si acquatta alla sua ombra. I legami con il potere restano intatti e le protezioni restano tali.  Anzi, da anni la ndrangheta non uccide più o quasi, ha messo fine alle faide di paese, punisce severamente chi si dovesse dimostrare irriguardoso o violento verso gli uomini dello Stato.

Non c’è guerra allo Stato da parte della ‘ndrangheta. Anzi esiste da tempi immemorabili un’alleanza strategica tra i livelli alti dello Stato e i massimi livelli della ndrangheta a cui corrisponde una lotta tattica, direi fisiologica, ai livelli più bassi, utilizzata anche per far fuori chi denuncia tale sistema e per distrarre l’opinione pubblica. Per dirla con estrema chiarezza, la ‘ndrangheta se ne fotte se si sciolgono i consigli comunali e, ancor di più, della dignità di sindaci, di consiglieri comunali e dei loro elettori e se ne strafotte della delegittimazione della politica e delle Istituzioni democratiche. Inoltre, è perfettamente in grado di resistere alle interdittive antimafia che, colpendo nel mucchio, mettono fuori gioco soprattutto le imprese sane, demolendo ciò che resta della fragile economia calabrese. Infine, gli uomini della ‘ndrangheta non temono il carcere ma lo utilizzano per far crescere il prestigio dei propri “ufficiali” e per estendere ovunque la ragnatela mafiosa. Le sistematiche “retate” servono soprattutto ad incutere paura alle persone perbene e, in qualche caso, per aumentare il prestigio di coloro che dispongono d’un tale potere a proprio piacimento. Non ci vuole la zingara per capire che molto spesso mafia e antimafia combattono una guerra finta e chi ha seriamente “studiato” il “fenomeno” ‘ndrangheta sa bene che dell’attuale sistema di potere, la mala setta ne è una colonna portante.

Queste sono le mie riflessioni da uomo della strada e che probabilmente potrebbero essere fallaci.

Cerco invano delle risposte che non trovo anche perché quando gli esponenti più in vista dell’anti ‘ndrangheta calabrese vanno in televisione non accettano il minimo confronto, anzi pretendono e spesso ottengono  una stampa prona ai loro voleri. Eppure, Falcone accettava il “contradditorio” anche aspro. Famoso il suo confronto con l’avvocato Galasso da Maurizio Costanzo.

Invece, c’è chi va in televisione e “balla” da solo.

Così può dire che la ‘ndrangheta sfrutta la guerra in Ucraina per rifornirsi d’armi, magari di cannoni e carri armati, come se i mafiosi dovessero combattere una battaglia campale. I mafiosi non dispongono di combattenti ma di sicari che uccidono a tradimento, tendono imboscate, opprimono i deboli, non toccano i “forti”.

Oppure, quando si parla di “politici” (comodi bersagli, anche perché molto spesso sono vili) si afferma che nella stagione di “mani pulite” questi si suicidavano per un semplice avviso di garanzia mentre oggi hanno l’ardire di continuare a vivere.

Non c’è più “religione”, signora mia!

Sarebbe stato fin troppo facile obiettare che ogni guerra fa crescere la mafia e delegittima lo Stato perché fa da incubatrice all’odio e alla violenza. Per esempio, le guerre mondiali hanno causato un sinergismo moltiplicativo di tutte le mafie.  Ma sarebbe stato ancora più facile obiettare che se Mario Oliverio, già presidente della Regione o Mimmo Tallini, presidente del consiglio regionale, (l’uno arrestato e l’altro, esiliato) e le migliaia di persone finiti in galera senza colpa si fossero suicidati sarebbe stata una strage di innocenti da far invidia ad Erode. Ma chi farà mai queste domande, pur poste con tutto il dovuto rispetto ed il garbo del mondo?

In Calabria, salvo qualche eccezione, la stampa è in ginocchio e sull’Italia intera soffia forte il vento di regime.

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