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venerdì, Marzo 29, 2024
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La nostalgia e la politica che non c’è

Il nostalgico ricordo di Berlinguer e De Mita ci segnala anche la principale differenza tra politica e antipolitica, o per meglio dire tra i politici di ieri e i populisti di oggi: che quelli erano in grado di suscitare rispetto e ammirazione anche tra gli avversari più lontani, persino a distanza di decenni; mentre questi si disprezzano pure tra di loro, già dopo dieci minuti.

Nelle varie presentazioni, dibattiti, incontri, interviste, chiacchierate che stanno accompagnando l’uscita del mio ultimo libro, ‘’Quando c’era la politica’’, alcuni mi sollevano una critica: ma tu sei troppo nostalgico! Rimpiangi un modo che non c’è piu’ e non ci sarà più! Chi ti dice che quel mondo era migliore di quello della politica di oggi! E via discorrendo di questo passo.

Della nostalgia abbiamo, in verità, bisogno come dell’ossigeno. Ci porta nel limbo della memoria del ricordo, di un passato che poi ci ritorna sempre sotto mentite spoglie. La nostalgia profuma di vita autentica e ci concede l’autodifesa di una palpitazione del tempo al riparo dalla fretta, dal continuo correre e scorrere. Un antibiorico naturale contro vite caotiche che rischiano di smarrire il senso.

Non a caso la nostalgia ha illuminato grandi pagine di letteratura. Dall’Odissea, il poema antico della nostalgia, ai classici della grande letteratura europea ottocentesca. Era un nostalgico Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale italiano che più di tutti, nel corso del Novecento, ha provato a metterci in allerta rispetto ai rischi della modernità, di un mondo tramontato troppo velocemente anche per effetto di una tecnologia che non fa sconti alle lancette dell’orologio.

Vi auguro di essere nostalgici, dunque. Non come perdita di qualcosa che non c’è o magari non c’è mai stata. Non come rimpianto sterile del “si stava meglio quando si stava peggio”. Non come sconfitta di un cambiamento che non vogliamo accettare. No: nostalgia, come forza creatrice, e come recupero della pienezza del tempo. Dove il presente non è tutto, ma solo la transizione tra il passato (e dunque la memoria da coltivare) e il futuro (lo slancio verso l’utopia).

Fa però un certo effetto, oggi, assistere a tanti segnali di nostalgia e a tante rivalutazioni delle grandi figure della cosiddetta Prima Repubblica, a lungo così disprezzata. Un effetto tanto maggiore nel momento in cui il movimento che più di ogni altro ha lucrato sulla demonizzazione di quella storia e di quell’idea della politica, fondata sul ruolo dei partiti, va letteralmente in pezzi, nella stessa legislatura inaugurata dalla sua trionfale vittoria elettorale, al primissimo contatto con la prova del governo.

Mentre da un lato gli antichi avversari, nel ricordo dei militanti e dei dirigenti che li hanno seguiti o che li hanno combattuti, si tributano reciproci attestati di stima e persino di affetto, dall’altro parlamentari, ministri e dirigenti del Movimento 5 stelle non fanno, infatti, altro che offendersi e scomunicarsi a vicenda, a un ritmo tale da rendere arduo ogni conteggio.

La coincidenza temporale tra queste surreali vicende e il nostalgico ricordo di Berlinguer e De Mita ci segnala così anche la principale differenza tra politica e antipolitica, o per meglio dire tra i politici di ieri e i populisti di oggi: che quelli erano in grado di suscitare rispetto e ammirazione anche tra gli avversari più lontani, persino a distanza di decenni; mentre questi si disprezzano pure tra di loro, già dopo dieci minuti.

 

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