Mi colpisce sempre quanto, in così pochi anni, il mio paese si sia trasformato. Ogni volta penso alla sua storia, da colonia greca a colonia di Gerace, fino a diventare Locri, quanti destini si sono incrociati nel suo andirivieni tra la montagna e il mare e, quante volte, la sua forma ha cambiato assetto, si è espansa, si è contratta, è scomparsa, è rinata. Siamo così presi a stare al passo, che non ci accorgiamo delle trasformazioni che avvengono attorno a noi.
Francesca Monteleone
Mi capita spesso di osservare delle vecchie fotografie storiche di Locri, spesso appese alle pareti in grandi cornici, ma anche su Internet o nei libri che raccontano la nostra storia e, spesso, mi fermo a guardarle con attenzione. Mi colpisce sempre quanto in così pochi anni il mio paese si sia trasformato. Ogni volta penso alla sua storia, da colonia greca a colonia di Gerace, fino a diventare Locri, quanti destini si sono incrociati nel suo andirivieni tra la montagna e il mare e, quante volte, la sua forma ha cambiato assetto, si è espansa, si è contratta, è scomparsa, è rinata. È sempre strano, per me, pensare che fino a qualche decennio fa Locri finiva nei pressi dell’ex Magistrale e, invece, oggi quell’edificio è stato inglobato quasi nel suo centro. E questo sembra un fatto così distante dal presente che sembra appartenere ad un’altra epoca, ma quel mondo non era poi così distante. E sembra così lontano perché oggi i discorsi cambiano come cambia il vento, sembra tutto superato, scaduto. Siamo così presi a stare al passo che non ci accorgiamo delle trasformazioni che avvengono attorno a noi, perché avvengono e cambiano tutto. Il presente per me è come una porta, una soglia, un momento da attraversare, guardando ciò che lasci, ma guardando ciò che viene, come Giano Bifronte, divinità romana, che aveva due volti, guardava al passato, ma guardava anche al futuro. Perché il futuro arriva e se il passato è passato, nel futuro possiamo agire. E se non siamo noi i protagonisti delle nostre trasformazioni, saremo gli spettatori delle nostre stesse vite. Le nostre azioni sono già implicitamente condizionate da ciò che c’è e ciò che c’era. Basta guardare al nostro paese, l’ex Magistrale c’è e c’era, ma attorno c’è una nuova città.
Guardiamo infatti al nostro territorio, guardiamo a quanto sia cresciuto adesso, quanti e quali limiti ha abbattuto. In questo contesto specifico io sto parlando di un territorio in particolare e l’uso quotidiano che di quel territorio ne facciamo. Il territorio in questione è un tratto tanto paesaggisticamente bello quanto difficile, il tratto che dalla SS 106 va dalle porte dell’ex liceo classico di Locri Ivo Oliveti fino al tratto che precede quella lunga curva che separa Roccella Ionica da Marina di Gioiosa Ionica. Questa curva quasi ci fa entrare in un altro mondo, ci apre alla vista un finto golfo, del quale riusciamo a scorgere tutto il suo profilo, che di notte descrive un bellissimo presepe sull’acqua. Ecco in questo tratto di strada, tante sono le trasformazioni che lo hanno plagiato e tante sono le forti individualità che emergono, ci sono le forti personalità dei tre paesi che lo compongono e che spesso si sono trovati in una bonaria competizione. Ma in questo tratto di strada, non ci sono solo le istanze singolari dei tre comuni, o le loro finte rivalità, soprattutto tra Locri e Siderno. Ecco in questo tratto di strada c’è una nuova città lineare che si sta sviluppando, addensando funzioni sempre più diverse. Ci sono i lidi, che lungo la costa, si stanno avvicinando sempre di più l’un l’altro, soprattutto nel tratto tra Locri e Siderno, così vicini senza mai toccarsi davvero. C’è una nuova pista ciclabile che aspira a farsi portavoce e collante di queste aree. C’è la richiesta implicita di superare le barriere per farsi squadra comune.
Ma nel nostro mondo di numeri, ci sono anche dei numeri che forse iniziano a contare qualcosa. Ad oggi (2025 – fonte dati Wikipedia), Locri ospita 11 849 persone, Siderno è la casa di 17 548. Marina di Gioiosa Ionica è abitata da 6 315. I tre comuni, uniti contano 35 712 cittadini e cittadine che ininterrottamente fanno la spola tra un paese e l’altro. Ed eccoli questi 35 000 abitanti, eccoli a testimonianza del futuro che avanza. Perché non siamo solo 35k abitanti lungo una riviera, siamo anche una nuova conurbazione urbana nascente. E non sarebbe bello avere un unico sindaco che promuoverebbe tutto il territorio? E avere un unico piano regolatore, che si occuperebbe di gestire le zone interstiziali tra i comuni, per garantire più servizi a tutti i cittadini? Non sarebbe bello vedere riconosciuto un ruolo che di fatto ci spetta?
Andando da Melito di Porto Salvo a Catanzaro, infatti, siamo il solo polo urbano nell’arco di oltre 100 Km. Il nostro territorio si inscrive in una tendenza di espansione urbana non confinata solo nella nostra area, che sta riscrivendo le geografie urbane di diversi luoghi. Ma questo cambiamento urbano, questo cambiamento dello stile di vita e della conformazione dei territori perché non si può tradurre in un cambiamento politico che porterebbe rilevanza e centralità alla nostra comunità? In fondo, a testimonianza di ciò, non siamo più in una provincia, ma parte della Città Metropolitana di Reggio Calabria, l’unica nella nostra regione.
Certo 35k persone non sono tante rispetto alle grandi metropoli italiane, ma sono una massa critica di persone consistente rapportate al territorio calabrese. Perché il presente va sempre visto con gli occhi del passato, del nostro passato, per vedere il futuro. In fondo, cosa separa i tre paesi, un ponte? Ma i ponti si costruiscono per unire i territori, non separarli, sono il simbolo della connessione, del crescere insieme. E non è una questione solo di numeri. È una questione di pratiche di uso del territorio. Noi abitanti viviamo le tre città in maniera intercambiabile, le nostre abitudini sono legate a frequenti spostamenti tra i tre poli.
Queste pratiche di uso del territorio dovrebbero trovare un riscontro nella loro gestione amministrativa. L’organizzazione politica dovrebbe farsi specchio e portavoce dei sentimenti dei cittadini e del loro modo di vivere, migliorandolo e soprattutto in questo caso direi potenziandone l’accessibilità intercomunale, per riconoscere la forma di questa nuova città di fatto. Stando alla classifica dei comuni per popolazione in Calabria (fonte dati TuttaItalia.it), diventeremo l’ottava città in Calabria per popolazione, con il conseguente peso politico in Regione che ne deriva, riposizionando Reggio Calabria e l’area della Locride nel radar dell’amministrazione regionale e non solo. Potremmo accentrare più funzioni e attrarre più investimenti per il nostro territorio. Supereremmo lo stesso comune di Vibo Valentia, che conta circa 30.000 persone, ma anche comuni come Palmi o Paola, arrivando a tallonare Rende. Di precedenti ce ne sono molti e non basta andar lontano per vederne i benefici, come Lamezia Terme, come Cassano allo Ionio, comuni uno del nostro più importante aeroporto, l’altro di una fermata della linea di alta capacità ferroviaria (Sibari), l’unica fermata nell’area ionica calabrese. Questi numeri supportano la nostra unione, al di là della morfologia urbana dei tre paesi, la quale, a mio avviso è già deterrente importante e traccia storica per l’unificazione.
E allora cosa ci ferma? Il nuovo che avanza? O forse la volontà di primeggiare dei diversi comuni? Io penso che nella nostra società ci siamo troppe volte dimenticati di guardare al bene collettivo sopra al bene individuale, che ci sentiamo tutti capitani e mai squadra. Dovremmo smetterla di comportarci come numeri primi, fermi e isolati nella loro solitudine e iniziare a collaborare insieme, partendo dalla nostra unione. Oggi le singolarità nel territorio lasciano il tempo che trovano, brillano di luce riflessa e forse noi invece potremmo essere per la prima volta autori del nostro destino e decidere di unirci sotto una sola bandiera. Invece di pensare alle singole identità, dovremmo concentrarci nel riaffermare la nostra identità collettiva. E noi ce l’abbiamo un’identità collettiva, un senso di appartenenza alla nostra comunità da cui ripartire. È proprio l’identità che si sta costruendo, pezzo dopo pezzo, negli spazi interstiziali tra i comuni, nel sogno di unificare i lungomari, nella vita quotidiana che si svolge tra i tre paesi, che dovrebbe essere la nostra forza motrice per rafforzare questo nostro pezzettino di mondo. E qui arriva l’ardua domanda, forse anche un po’ poetica, forse anche sintesi della nostra attuale condizione. E quale nome avrebbe questa nuova città? Non ho una risposta, ma penso che trovare un nome, trovarlo assieme a tutti i cittadini e per tutti i cittadini sia un bell’esempio di unione identitaria sotto cui riunirci, rinunciando a velleitarie pretese di primeggiare. Dal lato mio, invito a riflettere nell’utilizzare sicuramente il nome del nostro mare, Ionio, che tutti ci bagna e tutti ci unisce. In questo scenario di unione forse questa è la questione più spinosa, forse per questo ancora siamo così vicini ma così distanti. Ma trovando un nome, troveremo anche un’identità, un nuovo manifesto per questo nuovo polo.
Così, tra cinquant’anni, quando riguarderò quelle vecchie fotografie in chissà quale nuovo dispositivo, vedrò un paese che un tempo si chiamava Locri, ma che oggi è una città forte del suo ruolo nell’area ionica, e ringrazierò quelle persone che hanno saputo farsi carico di istanze collettive, per tracciare una linea che dal passato è riuscita a guardare al futuro.