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domenica, Ottobre 6, 2024
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La tragedia del PNRR

Il PNRR non e’ un piano di spesa e la Meloni e i suoi ministri sono oggi alle prese con l’ennesima emergenza del loro Governo, alla ricerca di un compromesso con Bruxelles.

Il primo punto è stato quello di racimolare il maggior numero di progetti – spesso neppure allo stato di progettazione preliminare – adeguandoli alla meno peggio ai requisiti europei per farseli finanziare e farci un po’ di comunicazione social. Gli enti attuatori si sono per lo più disinteressati di verificare preventivamente se questi progetti fossero effettivamente realizzabili, nei tempi e con le modalità stabiliti dall’Unione Europea e compatibili con la normativa italiana vigente.

Pochi gli esempi positivi ed alcuni sono qui nella nostra tanto bistrattata Calabria (vedi il Comune di Cosenza con progetti per oltre 21 milioni assegnati e finanziati per quartieri fino a ieri abbandonati).

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e’ oggi, pero’, in generale in Italia la plastica dimostrazione della impreparazione e irresponsabilità della classe dirigente italiana a gestire la massa enorme di risorse pubbliche stanziate per la trasformazione strutturale del paese. In primo luogo la vicenda ha dimostrato che quasi tutti hanno risposto alla logica del “prendi i soldi e scappa!”. Cioè l’obiettivo è stato quello di accaparrarsi il maggior numero di finanziamenti possibili a prescindere da ogni valutazione sulla effettiva capacità di progettare, selezionare i progetti esistenti e spendere i soldi ottenuti.

A monte di questo colpevole ignavia, dovuta proprio all’inversione logica del Piano (quel “prima i soldi e poi staremo a vedere”), c’è stata la completa disattenzione verso le linee guida, le finalità e il significato che l’Unione Europea aveva posto alla base delle ingenti risorse messe a disposizione. Così la vicenda, ad esempio, dello stadio di Firenze, che non si trova certamente in un quartiere degradato (Campo di Marte) da riqualificare, condizione in cui questo tipo di interventi dovevano trovarsi per essere accolti. Su oltre 48 mila affidamenti, circa il 70% prevede una deroga totale delle quote di assunzioni per giovani e donne. Per le donne, in particolare, la legge stabilisce che la quota possa non essere applicata se nel settore di riferimento il tasso di disoccupazione femminile è inferiore al 25%. Quindi non si assumono donne dove non ci sono. Ma questi sono dati dell’ ANAC, trovati sui giornali, perché quelli ufficiali non vengono forniti.

Allo stesso modo, sempre la Corte dei Conti mette in evidenza come una parte importante dei progetti sia indietro nella tabella di marcia. Progetti non ancora allo stadio esecutivo o comunque non cantierabili, stazioni appaltanti (soprattutto a livello locale) inadeguate a gestire progetti complessi, incapacità ad affrontare anche gli aspetti amministrativi dei progetti. Oggi anche le imprese si rendono conto di queste difficoltà e taluni arrivano a considerare il Piano irrealizzabile (Gruppo Pizzarotti, sulla Stampa del 30 marzo).

Intanto ci sarebbe da riflettere sul fatto che questo è anche il risultato di qualche decennio dello slogan “meno Stato, più mercato”. Meno Stato significa soprattutto questo: incapacità tecnico-operativa della Pubblica Amministrazione di svolgere il proprio ruolo di programmazione, progettazione, indirizzo e controllo sulle opere proprie e di terzi che comunque incidono sul territorio, che è appunto un bene pubblico. L’ interesse pubblico dovrebbe essere invece prioritario e tutelato e l’iniziativa privata non svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41 Cost.). E questo equilibrio fra libertà e limite non può che essere garantito dallo Stato attraverso gli atti concreti della Pubblica Amministrazione. È il caso del codice degli appalti, costruito appunto per arginare e subordinare l’impresa privata a dei beni pubblici indisponibili quali la legalità, la trasparenza, la tutela del paesaggio e dell’ambiente. Ma solo uno Stato autorevole (non autoritario), competente (cioè dotato di risorse umane qualificate e indipendenti dai poteri privati) ed efficiente (nella sua funzione di legislatore, controllore e sanzionatore) può svolgere questa funzione equilibratrice e di garanzia.Quando questi presupposti non ci sono più, perché si sono volutamente indeboliti, allora è forte la tentazione di imboccare scorciatoie. Come è puntualmente avvenuto con il decreto PNRR tre che è entrato in vigore il 24 febbraio, introducendo modifiche profonde nella governance del Piano. Anche in questo caso ciò che ha guidato il legislatore erano l’urgenza e la “semplificazione”.  Tutto è andato verso l’accentramento dei poteri, il ricorso a poteri sostitutivi e l’abolizione delle procedure di analisi ambientali. Dunque, il PNRR sarà una grande occasione perduta, indipendentemente dai soldi che riusciremo a spendere, che affermerà e difenderà il passato e vecchio ordine dei pochi, rinunciando al futuro di tutti.

 

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