Ho conosciuto Antonio Landolfi, agli inizi degli anni Ottanta, in occasione di incontri e iniziative del Partito Socialista Italiano. In Antonio ho subito intravisto un dirigente politico di grande qualità con un profilo culturale elevato e, nello stesso tempo, una persona mite, umile, disponibile, capace di ascoltare tutti, aperto, disinteressato, leale e perbene.
Ho conosciuto Antonio Landolfi, agli inizi degli anni Ottanta, in occasione di incontri e iniziative del Partito Socialista Italiano e dell’area politica che faceva riferimento a Giacomo Mancini, alla quale mi sono sempre richiamato dal momento in cui mi ero iscritto, nel 1974, al PSI e alla Federazione giovanile socialista, diventando, dopo qualche anno, vice segretario regionale.
In Antonio ho subito intravisto un dirigente politico di grande qualità con un profilo culturale elevato e, nello stesso tempo, una persona mite, umile, disponibile, capace di ascoltare tutti, aperto, disinteressato, leale e perbene. Abbiamo avuto modo di approfondire i nostri rapporti nell’occasione di un convegno, tenutosi a San Ferdinando di Rosarno il 28 e 29 settembre del 1984, sul tema Il Porto di Gioia Tauro per lo sviluppo della Calabria, concluso da Giacomo Mancini. All’iniziativa presero parte esponenti di diverse forze politiche e sociali per ribadire con forza che a Gioia Tauro non c’erano le condizioni favorevoli per installare una centrale a carbone che avrebbe avuto, tra l’altro, un impatto negativo anche sul porto, vero volano per lo sviluppo della regione.
Ricordo di aver accompagnato, con la mia macchina, Antonio dall’Aeroporto di Lamezia Terme a San Ferdinando e, alla fine dell’importante e riuscita manifestazione, di averlo riportato indietro, in coincidenza con l’aereo per il rientro a Roma. Nel corso del viaggio abbiamo conversato e ci siamo soffermati sul Partito Socialista, sui suoi dirigenti, sulla situazione della Calabria, su Giacomo Mancini, sulle iniziative da intraprendere per puntualizzare meglio le nostre posizioni politiche e per rilanciare le nostre idee e le nostre proposte. Insomma, da quel momento non ci siamo più persi di vista e i nostri rapporti sono diventati sempre più solidi politicamente e più intensi e fraterni anche sul piano umano e personale.
In quel periodo, per via del mio ruolo di vice presidente regionale e di membro della Direzione nazionale della Confederazione Italiana Coltivatori prima, e della Confederazione Italiana Agricoltori successivamente, l’organizzazione fondata e diretta dal compianto Giuseppe Avolio, andavo spesso a Roma per partecipare a riunioni, manifestazioni, seminari e convegni e, in queste circostanze, gli incontri con Antonio erano divenuti un appuntamento irrinunciabile, magari per prendere un caffè, per andare a colazione, per vedere altri compagni e, naturalmente, per confrontarsi sulle vicende politiche del momento. E, grazie alla sua generosità, ne venne fuori anche una collaborazione sul piano più strettamente politico-culturale, al punto che quando la rivista trimestrale di studi economici “Economia e potere”, da lui fondata insieme a Ilio Adorisio, docente di Economia dei Trasporti, consulente del ministro Claudio Signorile e progettista delle reti viarie del Brasile, dell’Argentina, del Perù, delle Filippine, di molti Paesi del mondo arabo e consulente della Banca Mondiale, decise di pubblicare un numero speciale sul convegno di San Ferdinando di Rosarno, Antonio mi chiese di scrivere un articolo sull’agricoltura calabrese e successivamente mi chiamò a far parte del Comitato di redazione della rivista, alla quale collaboravano autorevoli giornalisti e personalità del mondo della cultura e dell’università, come Arturo Gismondi, Giano Accame, Aldo Giannuli, Sandro Petriccione, Lorenzo Infantino, Gianni Puglisi, Gianni Statera, Alberto Benzoni, Enzo Bartocci e Carlo Flamment.
È evidente, che era il segno di una stima nei confronti della mia modesta persona, della quale sono sempre andato fiero e per la quale non finirò mai di esprimergli la mia gratitudine e riconoscenza. E anche quando condusse una ricerca su Il socialismo meridionale, mi coinvolse, insieme a Domenico Bruno, Alberto Laquariello, Romolo Liprini, Adriana Martinelli e Sergio Rivolta Lippo, in questo importante e significativo lavoro che ha trovato spazio in un libro pubblicato da Interditora di Napooli nel 1988, che venne presentato nella città partenopea con Giulio Di Donato, Giuseppe Tamburrano e il vicedirettore dell’”Avanti!”, Francesco Gazzano. Con questo volume Landolfi colmava un vuoto dovuto all’assenza di un lavoro complessivo sul socialismo meridionale che riguardasse idee, organizzazione, lotte sociali e politiche e, dal quale, si potessero rintracciare le connotazioni peculiari che tale movimento aveva assunto e manifestato nel corso della sua ormai lunga vicenda politica.
Nel 1992, proprio nel centenario della nascita del Partito Socialista Italiano, insieme al compagno Sergio Dragone, giornalista e dirigente della Federazione di Catanzaro, abbiamo pensato di scrivere un libro dal titolo Un secolo di socialismo a Catanzaro. Dall’internazionalismo alla strategia della tensione 1872-1974, edito da Effesette (Cosenza 1991), chiedendo proprio a Landolfi la sua disponibilità per la stesura della Prefazione, che indubbiamente avrebbe qualificato il nostro lavoro. Anche in quella circostanza Antonio fu molto disponibile e ci inviò alcune preziose pagine, non di circostanza, ma di apprezzamento sincero e di piena condivisione…
Michele Drosi