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sabato, Luglio 27, 2024
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Le “grandi passioni” di un intellettuale del Sud

Intervista a Vincenzo Staiano, nato a Roccella Ionica, ha insegnato Lingua e Letteratura Inglese per molti anni e lavora per il Festival International del Jazz “Rumori Mediterranei”. In questi giorni è uscito il suo libro sul Scott Lafaro, uno dei contrabbassisti più innovativi della storia del Jazz.

Dopo la recensione al suo splendido libro, ho raccolto l’invito del Direttore ed ho approfondito gli argomenti ed altro, con Vincenzo Staiano, un Amico di sempre e una Persona a cui l’intero territorio deve molto, per l’impegno continuo e la qualità dei risultati, di tale impegno.

Vincenzo Staiano, nasce e vive a Roccella Jonica, si è laureato all’Istituto Universitario Orientale di Napoli e ha studiato anche nel Regno Unito. Ha insegnato Lingua e Letteratura Inglese per molti anni e lavora per il Festival International del Jazz “Rumori Mediterranei”, con diversi incarichi, sin dalla sua nascita. Nel 2013 è stato nominato Direttore Artistico, ruolo che ricopre tuttora. Dai primi anni ottanta al 2016 ha collaborato con l’Associazione Culturale Jonica della quale stato anche dirigente. È  stato anche coordinatore dell’ISMEZ (Istituto Nazionale per lo Sviluppo Musicale del Mezzogiorno), membro del board del Europe Jazz Network e consulente del Balkan Jazz Showcase di Tirana. Ha scritto articoli per numerosi periodici (Il Regno di Napoli, Suono Sud, Settenote, Il Gazzettino, Filo Rosso) e per il libro “25 Anni di Roccella Jazz” e ha avuto ruoli di direzione e di progettazione in numerosi eventi musicali, cinematografici e teatrali, in mostre e convegni che ha svolto per conto del’Acj, dell’ISMEZ  e  delle scuole di appartenenza (Rassegna  Non solo jazz”, Stagioni Concertistiche della Locride e di Reggio Calabria, Rassegna Audiovisivi del Mediterraneo, Giochi Jonici, Premio Filmcritica Umberto Barbaro, Rassegna Cinematografica “Le culture Mediterranee”, i convegni “Il Parco Nazionale dell’Aspromonte” e “Vacanze e  salute” e le mostre ”Le bandi  musicali in Calabria” e “Fotografie di 25 anni di Rumori Mediterranei”).

Si può dividere la tua attività professionale tra la didattica, l’insegnamento e l’organizzazione del Festival Jazz? O la seconda era ed è solo una grande passione?

Ho esercitato per molti anni molteplici attività. Il Festival del Jazz è solo una di queste, ci sono stati anche gli altri eventi organizzati dall’Associazione Culturale Jonica e dall’ISMEZ. Forte è stato l’impegno didattico e formativo a favore delle scuole e dei privati, sia come docente che come organizzatore. L’Associazione Culturale Jonica e l’ISMEZ, infatti, sono stati i primi in Italia a portare la musica, il cinema e il teatro al loro interno, quando erano ancora completamente assenti nei programmi ministeriali. Mi piace ricordare le grandi esperienze fatte in campo teatrale con il bravo pittore e scenografo Cesare Berlingeri (autore, tra l’atro, della copertina del mio libro su Scott LaFaro) e in quello cinematografico con diversi esponenti del mondo del cinema quali Fernaldo Di Giammatteo, Salvatore Totino, Francesca Archibugi, Renzo Badolisani e Giovanni Scarfò. Ho fatto tutto con grande passione, non solo il Festival del Jazz.

Come hai vissuto la differenza tra il mondo e la sua complessità che ti ha sempre appassionato e il ridotto panorama della piccola Roccella? Come hai vissuto questa distonia?

Non l’ho vissuta come una distonia e non ho mai sofferto il fatto di vivere in una piccola cittadina, perché non ho avuto il tempo di misurarne i confini. La scuola, le attività dell’ACJ, gli eventi organizzati dalla stessa hanno costituito per me un impegno importante e costante.  Non bisogna dimenticare che a Roccella e nella Locride, oltre al Festival del Jazz, venivano organizzati mostre, convegni, una stagione concertistica di musica classica, la rassegna cinematografica “Le culture Mediterranee” e le lezioni di cinema, di teatro e di musica. Da Roccella sono passati centinaia di personaggi di statura mondiale nel campo della cultura e delle arti con i quali ho avuto la possibilità di confrontarmi.  A Reggio, invece, Il Premio Filmicritica “Umberto Barbaro” e una importantissima stagione concertistica alla quale partecipavano grandi star della musica jazz e classica mondiale (tanto per citarne alcuni: Petrucciani, Ughi, Richter, Art Ensemble of Chicago e altri). A queste attività affiancavo le mie collaborazioni con periodici e riviste (Regno di Napoli, Suono Sud, Settenote, Filo Rosso e altri) e il ruolo di tour leader che mi consentiva di passare qualche mese nelle Isole Britanniche, in Europa e qualche volta anche negli USA e nella ex URSS. Stesso discorso per la partecipazione alle riunioni del Europe Jazz Network in varie città e a quelle dell’ACJ a Roma. Roccella per me non è stato un tranquillo luogo di residenza ma un frenetico hub. Sono stato sempre in movimento. Mia moglie nelle nostre conversazioni ogni tanto infila questa battuta: “…come facevi ad andare a scuola e nello stesso tempo partecipare all’organizzazione di tutta quella roba?”.

Come valuti l’esperienza del Festival Jazz? Quanto ha inciso nella maturazione del territorio? Quanto ha dato a Roccella?

Il festival ha funzionato come modello e paradigma organizzativo e tanti altri eventi del territorio sono nati come tentativo di emulazione. Ciò ha contribuito alla crescita culturale della zona perché ormai i festival di ogni tipo ormai non si contano. È  servito anche ad arricchire il bagaglio musicale di molti bravi jazzisti provenienti da dipartimenti di musica improvvisata dei conservatori calabresi. Leggendo il curriculum di molti di loro, infatti, ho scoperto che nel passato hanno frequentato i seminari e le master class del Festival. A Roccella, invece, si è formata una folta schiera di bravi fotografi che con le loro foto alimentano i circuiti fotografici della rete e le redazioni di quotidiani e riviste. Si tratta di un fenomeno veramente interessante che nessuno si sarebbe mai aspettato. Comunque, l’aspetto che ha inciso di più su Roccella è stata la costruzione del Teatro al Castello e dell’Auditorium Comunale. Sono stati realizzati grazie al Festival. Incalcolabili, invece, i risultati sul piano dell’immagine e su quello turistico. Roccella è nota in tutto il mondo grazie a Rumori Mediterranei.

È  una mia idea che la genialità e lo straordinario spirito di coinvolgimento di Sisinio Zito abbiano permesso la nascita di questa splendida creatura, ma la personalizzazione eccessiva del Festival abbiano costituito un freno per lo stesso, ed abbiano portato difficoltà da opposti schieramenti. Cosa ne pensi?

Capisco cosa vuoi dire, ma io sono convinto che Sisinio non abbia mai personalizzato il Festival. Altri hanno tentato di farlo, attribuendosi meriti inesistenti. Dal punto di vista politico c’è stata molto animosità, nei confronti dell’evento, ma era sbagliata. Permettimi un paragone calcistico. Nessuno si permetterebbe mai di dire che le coppe dei campioni vinte dal Milan sono solo un merito di Berlusconi e non credo che i tifosi milanisti di fede comunista abbiano mai smesso di sostenere il team nel corso della sua gestione. Per chi hanno votato lo sanno solo loro. Lo stesso discorso dovrebbe valere per Sisinio Zito. Ha messo su una squadra di collaboratori che è stata capace di far entrare il Festival in un circuito che equivale al torneo della coppa dei campioni del calcio. Lo hanno fatto lanciando sulla scena europea un paese di 6.500 abitanti. Quando frequentavo il Europe Jazz Network, al quale partecipavano i rappresentanti di festival di grandi città come Parigi, Londra, Berlino e Amsterdam, tutti mi chiedevano dov’era Roccella e come faceva a organizzare un evento così importante. In termini metaforico-calcistici è come se la squadra di calcio del Roccella partecipasse alla coppa dei campioni. Il freno al Festival, comunque, non è stato messo a livello locale, ma altrove, come ha spiegato bene il giornalista Lello Malito in un articolo pubblicato dalla Riviera online qualche settimana fa. La storia adesso si ripete. Rumori Mediterranei è stato uno dei vincitori del bando “Marchio grandi eventi” voluto da Jole Santelli, ma chi ha preso il suo posto ha pensato bene di affossare i risultati del bando stesso.

Che programmi ci sono per la prossima estate?

Al momento non sono in grado di dire cosa si farà la prossima estate.

Da dove nasce la tua passione per Scotty LaFaro? E da dove la decisione di rappresentarla nel tuo splendido romanzo? Hanno un peso le origini sidernesi del grande Artista?

Non credo siano state le sue origini calabresi a spingermi a scrivere il libro, ma altre motivazioni. Si fosse trattato delle sole origini, ci sarebbero stati Il cantante Tony Bennett (Anthony Dominick Benedetto), il pianista Chick Corea (Armando Anthony “Chick” Corea) e il compositore Harry Warren (Salvatore Antonio Guaragna) di cui mi sarei dovuto occupare come ho fatto con Scott. Si tratta di tre giganti calabro-americani della musica del ‘900, ma non mi è mai passato per la mente di farlo. La molla, o meglio, la scintilla che ha attivato la mia attenzione per LaFaro è stata una considerazione fatta, en passant, dalla sorella di Scott nella biografia da lei scritta. A un certo punto, Helene LaFaro Fernandez apre una finestra sul rapporto tra il jazz e lo scrittore irlandese James Joyce, ma la richiude subito, senza dare alcuna spiegazione. Si tratta di un aspetto che io andavo sostenendo da anni senza riuscire a trovare le prove. Helene me le ha date privatamente e così è nata l’idea del libro. Certamente hanno influito anche la figura affascinante di Scott e la sua prematura scomparsa. Comunque, nel tracciare il ritratto di Scott ho consegnato anche le prove inconfutabili delle sue origini italiane. I nonni paterni erano partiti dalla Calabria alla fine dell’ottocento, ma neanche Helene sapeva dove era nato suo nonno Rocco. Io ho trovato il suo luogo di nascita grazie all’aiuto di alcuni amici. E’ stata una ricerca che mi è costata molta fatica, ma, alla fine, credo sia valsa la pena farla.

Cosa altro bolle in pentola?

Un paio di cose. Devo confessare che ho rinviato la stesura del libro per anni ed è stato il lockdown, ha determinare il contesto che mi ha forzato a completarlo. La reclusione in casa è servita anche a finire la versione inglese di “Solid”. E’ pronta per essere pubblicata da una casa editrice statunitense. Durante la “prigionia” ho rimesso in cantiere altre due storie (sulle quali lavoro da anni) e che conto di dare presto alle stampe e un progetto che mira a valorizzare in Calabria e in Italia la figura di Scott LaFaro.

Verrebbe voglia di augurarsi altre prigionie se questi sono i risultati, grazie caro Vincenzo un forte abbraccio ed un in bocca al lupo per tutto.

Carlo Maria Muscolo

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