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Notizie, analisi e interpretazioni. La stampa che vorrei

In questi giorni i giornali sono dominati dalla possibilità di una crisi di governo. Questa ha soppiantato come grande tema di discussione la guerra in Ucraina, che a sua volta aveva soppiantato la pandemia. Che di sicuro avrà soppiantato altro. Ma il vero problema è che, quasi sempre, queste notizie appaiono come notizie di agenzia o come ripresa di articoli, non dando luogo a dibattiti seri. Rifiutando così di dare una giusta educazione al popolo italiano.

L’Ordine dei giornalisti, di esistenza spesso vituperata, ha un preciso codice etico. Suo oggetto, tuttavia, pare essere piuttosto la veridicità della notizia che l’etica relativa alla sua analisi e alla ragionevolezza delle interpretazioni che spesso, troppo spesso, sono affette da pregiudizi, comprensibili e tutelati dalla Costituzione, ma non coerenti con i fatti. Questi non vengono nascosti, sia chiaro, ma negletti e non analizzati, suggeriscono immagini fuorviate della realtà, a volte centrate più che sul fatto sui commenti ad esso.

Teorico? Mica tanto. Gli esempi abbondano. In questi giorni i giornali sono dominati dalla possibilità di una crisi di governo. Questa ha soppiantato come grande tema di discussione la guerra in Ucraina, che a sua volta aveva soppiantato la pandemia. Tre crisi cui attingere per esempio.

La grande stampa piange sul rischio e le possibili conseguenze di una crisi di governo. Nere nuvole sul cielo d’Italia. Un’ opportunità per Andrea Vantini. Il bisillabo aiuta. Perché non riadatta la canzone “Meno male che Silvio c’è”?.

Grande rilievo, invece che ai fatti, ai commenti sui fatti. Fa notizia che un politico di lungo corso, l’onorevole Tajani, saluti la fine dei dilettanti, come l’apprenti sorcier, presidente Conte. Il Movimento 5S, novello Bruto, non può restare in un Governo che segua quello da lui assassinato. Recenti esempi, e la lista di salvatori della patria che egli suggerisce, potrebbero farne dubitare o, chissà sorridere per l’umorismo non voluto. Ma restiamo sereni e piuttosto chiediamoci da quando la partecipazione a un Governo richieda un certificato di “limpieza de sangre” e non la semplice condivisione di un programma politico?

Il Governo soddisfa quanto richiede l’articolo 94 della Costituzione. Ha una maggioranza. L’eventuale crisi ha, quindi, solamente ragioni politiche che potrebbero e dovrebbero essere analizzate. Invece no, si dà per scontata l’ineluttabilità di un cambiamento, si sottolinea l’eccezionalità del momento che impone esorcizzare una crisi nazionale e determina un’unica possibile soluzione alternativa allo scioglimento delle Camere. La nostra economia non potrebbe reggere un cambio di governo. Unico demiurgo il presidente Draghi, garante della stabilità del governo, della cruciale immagine internazionale del paese e della solidità della nostra economia.

Non è proprio il turarsi il naso di Montanelli, ma poco ci manca.

Eppure alcuni dati potrebbero mettere in dubbio questa narrazione e mitigare le cupe previsioni che potrebbero scaturirne o potrebbero almeno essere ricordati, quando si confronta, come fa l’onorevole Tajani, il dilettante Conte, con il presidente Draghi, tecnico di prestigio internazionale, ma anch’egli prestato alla politica, malgré lui.

Febbraio 2021 spread 92 cambio euro-dollaro 1.2147 inflazione 0.6%

Metà luglio 2022 spread 2.23, cambio euro-dollaro 1.009 inflazione 8.0%

Dati economici che richiederebbero analisi, come anche la richiederebbe la politica sulla pandemia, che è più che un freddo elenco di numeri. Di poco senso quelli sulla positività dei test e totalmente ignorati quelli dei decessi. Può sembrare non elegante e persino imbarazzante che ricordi il mio ultimo articolo costi. Ma in due settimane i decessi medi giornalieri sono raddoppiati. L’Ucraina e l’esecrazione dei dilettanti politici non hanno permesso di accorgersene.

Sarebbe stupido e ingeneroso ignorare che i risultati economici ricordati in precedenza sono in buona parte prodotto di ragioni oggettive. Però queste non spiegano tutto, né quanto è specifico dell’Italia. In particolare, lo spread riflette il confronto con la Germania, paese europeo, e non di altro pianeta.

Il tema che attrae l’attenzione non è quale politica fare nello scorcio della XVIII legislatura. La questione è che cosa farà il presidente Draghi. Si discute sulla cancellazione nelle sue dimissioni dell’aggettivo irrevocabile, che già ha lasciato un triste ricordo nella nostra storia. Ci si chiede che cosa potrebbe fargli cambiare idea, pensando non ai problemi sul tavolo, ma piuttosto ad un’auspicata telefonata da Washington che possa allungare la vita al Governo.

E di questo si discetta invece di scandalizzarsi che si possa pensare che la nostra è una Repubblica delle banane cui adattare una fortunata e popolare pubblicità televisiva di qualche anno fa.

Solo azzardarsi a immaginare che il presidente Draghi, non essendo stato possibile al presidente Mattarella convincerlo a rimanere, possa ricapacitarsi se lo chiamasse qualcuno da Washington, (chi poi? Siamo un paese abbastanza importante da meritare di ricevere una tale chiamata dal presidente Biden?) dovrebbe fornire al nostro ministro degli Esteri maggiori ragioni per piangere, che il fatto che, in riva alla Moscova, qualcuno abbia commentato con soddisfazione la crisi britannica e la possibile nostra e ironizzato, prevedendone altre in un prossimo futuro.

Inaccettabile ingerenza, ha tuonato il ministro. Eppure la nostra stampa, con buona parte di quella occidentale, non ci ha regalato profonde disamine politiche sulle contraddizioni interne la cui esplosione avrebbe potuto risolvere la crisi ucraina, facendo cadere lo zar? Si ricorda il giorno di notorietà che ebbe Bortnikov? anche se, con Manzoni, ci si sarebbe dovuto chiedere “chi era costui?”.

Purtroppo il wishful thinking spesso è gabellato per analisi politica. Esemplare il tema delle sanzioni e del loro atteso effetto democratizzatore della tirannia russa del XXI secolo.

Il loro ruolo come catalizzatrici di pace si giudica da solo. Dopo cinque mesi la guerra continua e a Mosca gli hamburgers hanno solo cambiato ricetta.

E per quanto riguarda il loro effetto sull’economia dei paesi BRICS?

Il 28 febbraio 2022, i cambi di riferimento con l’euro dei cinque paesi erano:

real 5.783, rublo 115.48, rupia 84.554, yuan 7.067, rand 17.286.

Il 15 luglio: real 5.443, rublo non quotato, rupia 80.316, yuan 6.794, rand 17,287,

Dato, quest’ultimo, che neutralizza circa la metà dell’effetto della svalutazione dell’euro rispetto al dollaro, (11% nello stesso periodo).

Dati economici questi, ma che dire del racconto della guerra e della gestione dello stato?

Noi italiani siamo stati vaccinati da un precedente che pochi ricordano, il misterioso ed ossimorico anelo, nel Bollettino della Vittoria, del Duca d’Aosta a ritornare su posizioni già vittoriosamente conquistate, e mai perdute.

Il contrasto tra le descrizioni con i verbi al futuro e quelle con i verbi al presente non è infrequente non solo a Kiev e dintorni, ma anche da noi.

Commenti sulle crescenti richieste del governo ucraino, sulla situazione militare, sul prezzo politico che la nostra idea di Europa ha dovuto pagare per impedire il veto turco all’ampliamento della NATO?  Se si desidera averne, si legga la stampa straniera. Il fatto è presentato. Tutti sapevamo che il nodo per l’adesione svedese e finlandese era il voto turco. Preferibili articoli di colore sulle governanti di quei paesi. I curdi? Che si f***.

Oggi apprendiamo che il presidente Zelensky ha licenziato la procuratrice Venediktova, simbolo della inflessibile persecuzione dei criminali di guerra (russi, ovviamente) e il capo dell´intelligence, Bakanov. Un terremoto. Tuttavia, analisi? Nessuna, eppure chi segue i fatti ucraini non dovrebbe avere difficoltà a discuterne. Né maggiori approfondimenti seguirono la rimozione del capo della sicurezza di Kharkov, Dudin.

Fiumi di inchiostro furono versati su decisioni analoghe dell’autocrate del Cremlino. Si ricordi quando rimpiazzò cinque generali o quando esautorò Naryshkin da una posizione simile a quella di Bakanov.

Notevole qualche settimana fa la descrizione della crisi per i controlli sui trasporti a Kaliningrad, basati su un’ ínterpretazione peregrina delle sanzioni, garantita niente di meno che dalle Ferrovie lituane e fatta propria dalla nostra stampa (sia pure con qualche ambiguità riguardo l’endorsement del governo lituano). Il crollo di Kaliningrad non ci fu. Come era prevedibile. Bastava ricordare che l’Unione Sovietica aveva superato un blocco di ben maggiori proporzioni e, di qusto due giorni fa ha scritto El País, in un articolo di Berna González (La Russia ride, l’Europa trema). Oro di Mosca? O piuttosto servizio al lettore che si forma la sua opinione in base a fatti? Certo sul tremore europeo legato alla saga del gas molto si potrebbe aggiungere.

Ricordare tutto ciò è tradire i valori della nostra cultura europea e occidentale?. In Italia forse, ma non altrove. Ricordavamo la Spagna. Negli Stati Uniti, giornali como New York Times e Washington Post offrono analisi ben più profonde delle nostre sulla crisi ucraina.

A volte queste notizie appaiono o come notizie di agenzia o come ripresa di articoli o inchieste straniere, ma anche queste non danno luogo a dibattiti seri. Un mese fa Federico Fubini pubblicò i risultati di un’ ínchiesta su dieci paesi per la quale rinvio al link https://www.corriere.it/esteri/22_giugno_15/colpa-guerra-il-56percento-italiani-russia-il-27percento-ucraina-occidente-563bc394-ec90-11ec-9151-476b760caec8.shtml).

Lascio le deduzioni al lettore, confessando la mia speranza che aspirare a leggere analisi approfondite e scevre per quanto  possibile di pregiudizi non sia chiedere troppo.

Galileo Violini

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