Roma – La Corte di Cassazione ha messo la parola fine al processo nato dall’operazione antidroga “Elkraa”, respingendo i ricorsi presentati contro la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 24 aprile 2024, che a sua volta aveva confermato il verdetto del Tribunale di Locri del 15 aprile 2021. Le motivazioni della terza sezione penale sono state depositate nei giorni scorsi.
I giudici supremi hanno ritenuto infondate le doglianze avanzate dalle difese, definite “in parte generiche e in parte manifestamente infondate”, poiché miravano solo a una rilettura di elementi già valutati correttamente nei precedenti gradi di giudizio.
Confermate dunque tutte le condanne:
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Luigi Barbaro, originario di Gerace, a 21 anni di reclusione;
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Rocco Francesco Albanese e Salvatore Femia, entrambi di Marina di Gioiosa Ionica, a 10 anni ciascuno;
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Giovanni Di Fazio, torinese, a 6 anni;
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Domenico Trimboli, collaboratore di giustizia, a 6 anni e 8 mesi.
L’operazione “Elkraa”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, fu condotta dal G.O.A. del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catanzaro, e si collega a un’altra indagine denominata “Chiosco Grigio” del febbraio 2009. Secondo l’accusa, il sodalizio criminale smantellato apparteneva al mandamento ionico della ‘ndrangheta, con ramificazioni riconducibili alle cosche di Siderno e Marina di Gioiosa Ionica.
Al centro delle indagini, un vasto traffico internazionale di cocaina proveniente da Colombia e Spagna, importata in Italia con una tecnica sofisticata: la droga veniva “impregnata” all’interno di tessuti per eludere i controlli doganali. Nel dicembre 2006, secondo quanto accertato dagli investigatori, un emissario sudamericano si recò in Calabria per illustrare il procedimento chimico utile all’estrazione della sostanza stupefacente dai tessuti.
Le rotte del narcotraffico toccavano la Spagna, la Francia e la Germania, e la cocaina, con una purezza fino al 75%, veniva venduta a prezzi che oscillavano tra i 24.000 e i 35.000 euro al chilo.
Determinanti, nel corso del processo, le rivelazioni del collaboratore Domenico Trimboli, alias “Alberto Gonzalez Trembol”, arrestato nel 2013 e successivamente estradato in Italia nel 2014, che ha contribuito a fare luce sull’intera organizzazione criminale.
Con la decisione della Cassazione, il quadro accusatorio è stato definitivamente cristallizzato, chiudendo uno dei capitoli più rilevanti delle recenti inchieste antidroga calabresi.