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venerdì, Ottobre 11, 2024
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Palestinesi: un esodo senza fine

Ilario Ammendolia ci narra della sua esperienza nell’accoglier profughi palestinesi e collega tale evento con ciò che sta avvenendo oggi in Palestina.

C’è in un piccolo cimitero cristiano di un antico paese della Calabria un tumulo di terra senza Croce e senza foto. Una decina di anni fa è stata sepolta una donna nata agli inizi degli anni Trenta in Palestina da dove la sua famiglia era fuggita nel 1948.

L’esercito israeliano gli aveva portato via la casa, gli animali, la Terra. Nella fuga una malattia, mai curata, le porta via anche la vista. Gli ultimi suoi ricordi erano gli alberi ed i fiori della sua terra e poi i lampi di una assurda guerra.

Con la sua famiglia trovano asilo in Iraq. Si ricostruiscono una casa, si inventano un lavoro ma nel 2003 arriva una nuova guerra.

Il “comandante in capo della civiltà occidentale” decide che bisognava bombardare l’Iraq.

L’Italia manda i suoi militari a partecipare all’occupazione del territorio iracheno e in 28 muoiono a Nassiriya

Ancora una fuga.

Ma dove può fuggire una famiglia palestinese costretta a lasciare l’Iraq?

Il nuovo governo iracheno non li rivuole indietro.

Israele non consente che ritornino in Palestina. I paesi arabi chiudono i confini.

Così, duemila profughi palestinesi restano bloccati nel deserto per due anni assistiti dalla Croce Rossa.

Sopravvivono tra le tempeste di sabbia, il caldo infernale, le notti gelide, finché un incendio distrugge gran parte della tendopoli.

Il mondo non può più ignorare oltre la tragedia.

Un gruppo di governi occidentali, rispondendo ad un appello dell’ONU, decide di portare via dal deserto la piccola comunità che continua a definirsi “palestinese” anche se i più giovani la Palestina non l’hanno mai vista.

E come altro potrebbero definirsi?

Il governo italiano ne accoglie 190 che divide tra due Comuni calabresi: Riace e Caulonia. Ero sindaco di quest’ultimo Comune quando è arrivato il gruppo di disperati del deserto.

C’erano bambini, donne incinte, vecchi, molti giovani. Una bambina nascerà a Caulonia.

Li accogliamo nel migliore dei modi ma loro capiscono subito di essere capitati tra gente ospitale, generosa, ma poveri quasi quanto loro e che da oltre un secolo conoscono una emigrazione economica che è quasi un esodo.

Capiscono che presto dovranno riprendere il loro viaggio. Notai quella donna vestita in nero e con un fazzoletto nero stretto intorno alla testa. Cieca, sofferente.

Mi trovavo dinanzi ad un pezzo di Palestina che, da lì a poco, avrebbe finito il suo viaggio in Calabria.

Per due anni li ho visti da vicino.

Tutto ciò che raccontavano e si raccontavano faceva riferimento ai giorni della fuga dalla Palestina.

I racconti, le poesie, la musica, la pittura parlavano di innamorati divisi dalle guerre, di famiglie spezzate, di morti innocenti fra le strade. Di eroismo dei combattenti e della “gloria” dei martiri. Una letteratura dell’esodo a cui si aggiungeva quella della speranza del ritorno in una terra trasformata in mito, in paradiso perduto, in felicità negata.

Storia, letteratura, miti e leggende che hanno accompagnato il popolo ebreo per secoli nel loro peregrinare nell’ Europa Cristiana a loro ostile.

La storia di questi popoli non coincide con le scelte dei loro governi e di coloro che hanno bruciato le loro vite, uniche ed innocenti, in un cinico gioco di scacchi a livello planetario.

In questi giorni molti chiedono di condannare la barbarie di Hamas, che va condannata, ma è impossibile tranciare quello che sta succedendo in Medio Oriente dalla storia di cui vi ho parlato. Così come è impossibile parlare degli insediamenti ebraici in Palestina senza ricordare le leggi razziali, i campi di sterminio, la “soluzione finale.”

Illuminare Palazzo Chigi con la bandiera israeliana è una scelta di campo che rimuove le nostre responsabilità storiche nei confronti del popolo palestinese. Altrettanto sbagliato sarebbe stato illuminare la sede del governo con i colori della bandiera palestinese. Una sola scelta si poteva e si doveva fare: esporre la bandiera della Pace con sopra la prescrizione costituzionale in cui è scritto a chiare lettere:” L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà agli altri popoli.. “.

Per fare una tale scelta avremmo avuto bisogno di un governo forte e autorevole e non di un governo servo che fa il forte per nascondere la propria debolezza.

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