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mercoledì, Ottobre 16, 2024
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Perché la Locride merita la candidatura a Capitale Italiana della Cultura

Ci scrive l’avvocato Tommaso Marvasi, che scrive “potrei essere certamente annoverato tra «quei due o tre intellettuali da strapazzo che ci dicono quanto sia peculiare l’Aspromonte»”, che in merito ad un articolo uscito su altra testata, ci chiede di pubblicare il suo articolo perché non è da intendersi come replica, ad una testata fino e ieri sconosciuta allo stesso, ma piuttosto una ulteriore dimostrazione della validità della proposta di candidare la Locride come Capitale Italiana della Cultura 2025

Tommaso Marvasi

 

Un collega avvocato calabrese – anzi della Locride, quindi certamente ‘ndranghitista – mi segnala un articolo di Claudio Cordova, pubblicato su “Il dispaccio”, un giornale on-line dallo stesso fondato e diretto: “Perché la Locride non merita di essere Capitale italiana della Cultura”.

Lo segnala a me perché, evidentemente, è tra i quaranta lettori della mia rubrica “Il cittadino” sul quotidiano “La Discussione” e, quindi, avrà letto due domeniche fa (il 16 ottobre per la precisione) il mio “Locride, cultura, follia d’amore”. Avrà, quindi, dedotto il mio amico avvocato locrideo che, avendo io esplicitamente dichiarato su un giornale di diffusione nazionale e non locale, che «inevitabilmente, folle d’amore, ogni paio di mesi devo parlare della mia Locride» e conoscendo che sono l’ideatore e, tenacemente, l’organizzatore di Polsi Ambiente, potrei essere certamente annoverato tra «quei due o tre intellettuali da strapazzo che ci dicono quanto sia peculiare l’Aspromonte».

Qualifica (“intellettuale da strapazzo”) che, immaginando a chi possa essere rivolta – se sono quelli che penso io si tratta di persone di grande spessore e di un’onestà intellettuale inarrivabile – rivendico anche per me stesso (ovviamente presumo di essere sconosciuto al direttore Cordova). Vi assicuro sarebbe un onore essere accomunato a chi rivendica la peculiarità culturale dell’Aspromonte, il luogo degli ultimi aedi e dei poeti analfabeti, ed a mio merito posso aggiungere due ulteriori qualità per essere iscritto (dopo l’adesione ai “sudici”) anche tra gli “intellettuali da strapazzo aspromontani»: (i) l’avere sostenuto, parlando con Antonio Blandi (il comunicatore che sta progettando il programma di Locride Capitale della Cultura), che senza l’Aspromonte non si vince; (ii) l’avere ignorato, fino a ieri, l’esistenza de “Il dispaccio” e del suo fondatore-direttore.

Ma – in disparte le rivendicazioni dei miei meriti personali per essere ascritto alla categoria – bisogna dire che l’articolo in commento parte da una verità indiscutibile: in Calabria c’è la ‘ndrangheta; nella Locride in particolare; su Africo, Platì e San Luca stendiamo un velo pietoso.

La Locride “potrebbe”, ma ha forti limiti, anche logistici; come si arriva a Locri, mi chiedono ogni anno gli illustri relatori che invito a Polsi Ambiente? «cu a sumera», con l’asino, la mia immancabile risposta, rigorosamente in dialetto.

Puntualmente il direttore Cordova nel suo scritto annota: «Di tutto ciò, la ‘ndrangheta è responsabile. Di tutto ciò la ‘ndrangheta si nutre. E la Locride (ma, evidentemente, parliamo di tutta la Calabria) ha avuto il demerito di farsi fagocitare da un fenomeno che poi è diventato, inevitabilmente narrazione… Né si può usare una candidatura come foglia di fico per celare anni di assassini della cultura, o come specchietto per le allodole esibito da quella stessa politica che, negli anni, si è venduta alla subcultura ‘ndranghetista e che ora cavalca la candidatura dopo aver frustrato ogni tentativo di valorizzazione della cultura della Magna Graecia, di cui la Locride potrebbe essere ambasciatrice nel mondo. Potrebbe». Quindi, auguri alla Locride, mi piacerebbe che vincesse, ma c’è la ‘ndrangheta, perciò lasciate stare.

Si tratta di un articolo, questo di Cordova, che ritengo addirittura fondamentale per il successo della candidatura della Locride a Capitale della Cultura. Perché esso ha espresso esattamente quella non cultura che la rinascita culturale della Locride di cui la candidatura è figlia, ha inteso contrastare. Quell’essere fasciati e terrorizzati dal fenomeno mafioso, così che è meglio non fare, non mostrarsi, non farsi notare.

C’è una massa di persone, di gente onesta e laboriosa che, invece, vuole togliersi di dosso queste catene. E che non potendo contare altro che su sé stessa, si sta dando una nuova cultura, un modo di vivere diverso.

Si tratta di una realtà che non ignora il fenomeno mafioso, ma che si rifiuta di subirne i limiti impliciti: e, quindi, vive, lavora, fa impresa, in una maniera nuova. Questa è la società che ha espresso la candidatura della Locride, e che sa di non potere contare su nulla, se non su sé stessa.

Non sull’antimafia che dopo trent’anni di ufficiale esistenza non ha vinto la ‘ndrangheta: vivo a Roma da cinquantun anni, ma i cognomi delle famiglie  mafiose sono sempre gli stessi in ogni paese.

Lo ripeto con convinzione: la ‘ndrangheta si combatte con la cultura e con la società, non con i giudici che possono intervenire solo per punire un reato già compiuto. Neppure con le misure restrittive, che basate spesso sul nulla, umiliano popolazioni (Africo dove i commissari hanno smontato la sala del Consiglio, siccome inutile; Portigliola, dove è stato mandata a casa l’amministrazione che aveva creato una stagione teatrale di livello nazionale) e imprese. Ovviamente senza pervenire ad alcun risultato nella lotta al crimine, ma determinando un ulteriore allontanamento della gente perbene dai problemi della società.

Ecco, se non fossi un intellettuale da strapazzo, per di più “sudicio”, potrei citare una rivista di altissimo livello culturale “L’eco giuridico del Centro Studi Zaleuco di Locri” per ricordare, con una citazione di Carnelutti, che la condanna ingiusta determina un danno sociale ben più grave dell’ingiusto proscioglimento perché la legge «esige dal giudice maggior cautela per condannare che non per prosciogliere»; interrogandomi, quindi, se la pletora di persone assolte dopo anni di ingiusto carcere preventivo sia un fenomeno necessario o sia un ulteriore scotto che i calabresi devono pagare in ossequio alla esistenza nella nostra regione della ‘ndrangheta: e se ci possa essere un movimento culturale per rifiutare tale barbarie.

Ma anche, sempre se non fossi un intellettuale da strapazzo, ricorderei la definizione di Gaetano Salvemini della cultura: «il superfluo indispensabile».

Ecco: Locride capitale della ‘ndrangheta cultura 2025 è il superfluo indispensabile per il rinascimento di un’intera popolazione.

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