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domenica, Aprile 28, 2024
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Qualcuno dica a Borrello di Libera che l’antimafia non puo’ sospendere la costituzione

Pasquale Motta parla della magistratura, della giustizia e del reale corso delle indagini in Calabria. Un pezzo realistico, nudo e crudo che ci pone dinnanzi alla realtà delle cose e non alla finzione che ci viene proposta

 

«Gli innocenti non sempre sono anche onesti, via dalle liste i politici chiacchierati». A pronunciare questa “geniale” frase è il referente regionale della Calabria dell’associazione antimafia LiberaGiuseppe Borrello, associazione di cui è leader a livello nazionale il noto don Luigi Ciotti. Il delirio dei cosiddetti professionisti antimafia ha ormai superato qualsiasi confine, primo fra tutti, quello della decenza. Di fronte a tali strampalate affermazioni non si può più tacere. È tempo di elezioni, il periodo più fertile per quell’esercito di cronisti antimafia, di paladini della legalità a trucco, di militanti del sostegno fanatico al legalitarismo autoritario di certe Procure e apparati di Polizia interessati a dare una percezione della Calabria come una terra canaglia da domare. Una tale logica, purtroppo, ha consentito ad un esercito di Prefetti, di Procuratori della Repubblica, di dirigenti delle Forze dell’ordine e di giornalisti di far carriera facendo a pezzi la reputazione istituzionale, sociale, economica e politica di una intera regione. La terra canaglia, concetto coniato da Ilario Amendolia è un’efficace metafora che ha ben sintetizzato lo stato dell’arte. Insistere su una ‘ndrangheta sempre più invasiva nella politica e nella pubblica amministrazione nella nostra terra, descrive un clima di emergenza, di assedio alle istituzioni da parte della criminalità, che ha l’obiettivo di di giustificare una legislazione che ha ormai corroso i fondamenti della democrazia. Gratteri, senza contraddittorio, in giro per i salotti televisivi nazionali, continua a criticare governi e Ministri della Giustizia alla ricerca di maggiori strumenti da fornire alla figura del PM sceriffo che va interpretando da anni. È’ veramente difficile comprendere quali altri poteri pretende il Procuratore che detiene il primato del 50% dell’annullamento degli arresti che propone. Nel mondo siamo conosciuti per normativa antimafia più liberticida. Abbiamo un sistema di sorveglianza nei confronti dei mafiosi e delle misure di confisca preventiva dei beni della criminalità organizzata ai limiti del rispetto costituzionale. Secondo gli osservatori del settore, la maggior parte del riciclaggio nel non avviene più in Italia ma a Londra, in Germania, nei Paesi Bassi. Abbiamo un sistema di intercettazioni ormai fuori controllo. Se qualcuno parla di limitare il malcostume di pubblicare sui giornali intercettazioni non rilevanti  per presunti crimini tutti da provare, un esercito di decerebrati gridano al bavaglio. Davvero qualcuno sano di mente può immaginare che  i PM, in Italia, siano privi dei poteri necessari a contrastare la criminalità organizzata? Siamo al delirio.

VIBO VALENTIA LA CALIMERO PIU’ NERA

Le elezioni in Calabria sono il tempo più fertile per descrivere una criminalità sempre più padrona del territorio e delle istituzioni.  Vibo Valentia, in particolare, è il luogo ideale per descrivere un tale scenario di guerra. È la provincia “ripulita” da Nicola Gratteri (sic). È la provincia del max processo Rinascita Scott.  Il territorio, dunque, più adeguato a passare per il Calimero della regione e del Paese.  Poco importa se poi il processo in questione che qualcuno ha cercato di paragonare al max processo di Palermo, si sia sbriciolato alla prima prova processuale con centinaia di assoluzioni e pene ridimensionate rispetto alle richieste dei PM. Poco importa se la rete a strascico degli arresti ha distrutto vite, ha mandato sul lastrico imprese, ha ucciso la reputazione di interi territori. Calimero rimane Calimero. Il mostro rimane mostro. Il pregiudizio si sostituisce alla valutazione oggettiva dei fatti. E quando tutto sembra finire, invece, tutto ricomincia daccapo come nei film di Hitchcock.  Una nuova inchiesta, oppure nuove iniziative di polizia.

COMUNI DA SCIOGLIERE MEDAGLIE PER PREFETTI

Il terreno in Calabria, dunque, è sempre fertile per l’ antimafia istituzionale e per quella letteraria. Dove non possono i PM, ci sono i Prefetti, i Questori, le informative. Un’alluvione di carte, annotazioni, interdittive, accessi antimafia. Decine di investigatori, funzionari di Polizia, burocrati prefettizi, scrivono, costruiscono, deducono, spesso con ragionamenti al di fuori della logica e, soprattutto, delle garanzie. Tutto ciò, grazie al furore delle norme liberticide della legislazione antimafia che colpisce duro. I “prefetti di ferro” in carriera, inviano nei comuni considerati canaglia, funzionari e commissari, e giù con scioglimenti a raffica, spesso giustificati da motivazioni assurde e fuorvianti. A preparare il terreno stuoli di cronisti che puntano il dito contro amministratori e politici del luogo, a colpi di analisi di alberi genealogici alla ricerca di parentele scomode di assessori, sindaci, dirigenti con capi ‘ndrangheta passati e futuri. In una parola: la delazione tipica dei regimi dittatoriali. Se un amministratore si trova nella malaugurata condizione di essere cugino, secondo cugino, moglie, amante con un Tizio o un Caio considerato vicino alla consorteria di Sempronio di quel territorio, è finito. E ciò indipendentemente se hai commesso un reato o hai compiuto un atto finalizzato a favorire la cosca del territorio. Per alcuni rappresentanti dello Stato, del giornalismo della legalità o dei professionisti dell’antimafia, tutto ciò, basta e avanza per dimostrare la capacità della ndrangheta di infiltrare, condizionare un comune piuttosto che un altro.  La febbre della caccia all’untore alle nostre latitudini è sempre altissima. E alla fine, sul terreno, rimarranno comuni sciolti, spesso con motivazioni risibili, carriere distrutte, enti locali smontati e dissestati da commissari incapaci o inadeguati ad amministrare la cosa pubblica.

È il regime che stabilisce chi sono i buoni o cattivi

La deriva di tutto ciò, la pericolosità istituzionale di questa legislazione, ormai è sotto gli occhi di tutti. I libri e i convegni su questi argomenti si susseguono, gli ultimi di una lunga serie sono stati quello di Alessandro Barbano direttore del Riformista e di Adriana Toman. Nonostante ciò, tutto rimane immobile. L’ignavia della politica ha congelato qualsiasi tipo di reazione. I soldati dell’inquisizione sono sempre in servizio.  L’ultimo è stato il referente regionale di LIBERA, Giuseppe Borrello, vibonese, uno di quelli attivissimo a mantenere Calimero (Vibo) sempre più nero. Uno dei tanti specialisti antimafia del territorio che supporta il fanatismo manettaro più spinto. Sosteneva George Bernard Shaw che “chiunque sia un po’ specialista è, a rigor di termini, un idiota.”  Affermare che gli innocenti non sempre sono anche onesti è una concezione del diritto tipica dei regimi totalitari. È il regime che stabilisce chi sono i buoni o cattivi in una dittatura, e lo fa in relazione alla propria visione etica e morale. Il giovane dirigente di Libera, dunque, dovrebbe indicarci, di grazia, chi dovrebbe fare la lista dei cattivi e dei buoni nei partiti, nella società in una democrazia?  Se affermi che non sempre gli innocenti sono onesti, vuol dire che ritieni che un’entità da individuare, dovrebbe decidere una selezione morale degli uomini nei partiti e nella società.  Un’autorità che dovrebbe avere il potere di stabilire chi siano i degni e chi siano i reietti. A chi dovremmo affidare il potere di puntare il dito sulle persone, sui politici: ai rapporti di solerti funzionari di polizia come si faceva nel fascismo? Oppure a quei burocrati di Prefettura che partoriscono gli orrori istituzionali con i quali, in Calabria, si continuano a sciogliere decine di amministrazioni comunali? O peggio, dovremmo affidarci alle annotazioni e alla discrezione di qualche appuntato o maresciallo dei Carabinieri? Con tutto, il rispetto, ma quanti casi di abusi in tal senso dobbiamo prendere ancora in esame per comprendere che “I turbamenti del giovane Törless” di Vibo Valentia a cui don Ciotti ha affidato le sorti di Libera, oltre a produrre abomini sul piano del rispetto del diritto e delle garanzie, stanno demolendo giorno dopo giorno la democrazia?

IDEOLOGIA IMPOSTA COME FEDE RELIGIOSA UGUALE DITTATURA

Nei totalitarismi l’autorità è costituita da una assoluta concentrazione del potere nelle mani di un gruppo dominante, di una élite minoritaria, che opera al di fuori di ogni procedura o di controllo. Questo implica necessariamente la restrizione o la soppressione dei diritti individuali, politici, di riunione, di associazione, sia civili come libertà di pensiero, di stampa, di fede, di parola. Gli elementi costitutivi del totalitarismo sono innanzitutto un’ideologia ufficiale imposta quasi come una fede religiosa. Leonardo Sciascia nel famoso pezzo sul professionismo dell’antimafia scritto ormai quasi 40 anni fa sul Corriere della Sera, fece una premessa: quel pezzo era destinato a quelle persone “che, ai tempi delle cinque giornate di Milano, sarebbero state chiamate “eroi della sesta”, cioè specialiste dell’eroismo che non costa nulla. Tradotto: l’eroismo antimafia della fuffa. Sono passati 40 anni dall’esposizione di quel concetto, ma in Italia come in Calabria, non è cambiato nulla. Gli eroi del niente continuano a pontificare su legalità e su lotta antimafia, con il solito moralismo distribuito un tanto al chilo. Ci scuseranno “lor signori” ma noi abbiamo deciso di contestare decisamente e radicalmente questa concezione dell’antimafia, che è ancora, come scriveva il grande scrittore siciliano, “anche e, soprattutto, uno strumento di potere”.

Qualcuno dica, dunque, al giovane dirigente di Libera che, per quanto sappiamo benissimo che essere innocenti non sempre corrisponda ad essere onesti, nessuno, in una democrazia liberale, può decidere di escludere un altro dalla partecipazione alla vita pubblica, in assenza di impedimenti di legge. Nessuno, nemmeno don Ciotti e il giovane Borrello.  Non esiste nessuna guerra vera o finta sia, che possa giustificare la sospensione dello Stato di diritto e le garanzie costituzionali in una democrazia. L’etica è una concezione individuale, come la visione morale delle relazioni, e non può essere imposta né dallo Stato, né da Libera o da qualsiasi altro.

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