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venerdì, Maggio 3, 2024
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Reggio Calabria: un importante incontro su violenza di genere a Spazio Open

Giusi Mauro dell’importante incontro su violenza di genere avvenuto a Spazio Open, Reggio Calabria

Quando si parla di “questione culturale”, per spiegare atti di violenza contro le donne, si è soliti circoscrivere e “giustificare” tale azione facendo riferimento al contesto socio-culturale in cui si consuma il delitto; un errore, nel quale si incappa per poca conoscenza o meglio perché si pensa che sia un fenomeno squisitamente contemporaneo. Tale disguido è stato, punto per punto, confutato dalla  professoressa Paola Radici Colace, già docente ordinario di Filologia classica presso l’Università di Messina, nel corso dell’incontro tenutosi, a Spazio Open, sul tema della violenza di genere. Un tavolo tematico strutturato su  più livelli per  prevenire e  contrastare la violenza di genere, vera e propria “pandemia ombra” che ha raggiunto numeri allarmanti. L’incontro, che ha registrato una grande partecipazione, è stato fortemente voluto da Odv Amici Biblioteca “Antonino Arcidiaco” rappresentato dalla presidente Maria Josè Logiudice, da Antonella Cuzzucrea presidente Ideocoop Media Services Società Cooperativa Sociale e responsabile di Spazio Open e patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento Politiche Giovanili e Servizio Civile Universale e della Regione Calabria. Ad intervenire, al fianco della  già citata professoressa Radici Colace, la dottoressa Giovanna Cuzzucrea, medico e autrice del volume Il Manuale del Califfo Città del Sole Edizioni (che per l’occasione è stato distribuito gratuitamente a tutti i presenti in sala), il giornalista Franco Arcidiaco direttore di “La Riviera” e “Calabriapost. it”. A coordinare l’incontro la giornalista Antonella Giordano. Quello di cui si discute, e dal quale si parte, non è tanto la diversità biologica che stabilisce il nascere femmina o maschio; ma  si parla di diversità di genere: uomo/donna, basata sulla diversità biologica che viene utilizzata dalla società per creare stereotipi che danno il via a violenze. “Il mediterraneo -spiega Paola Radici Colace- nel mondo preistorico si pensava protetto dalla Grande Madre, un’entità femminile che governava tutto; con il tempo, l’uomo sostituì questa figura con gli Dei dell’Olimpo, dodici in totale, che avevano una struttura patriarcale; una struttura, creata  dall’uomo per la propria convenienza”. Da qui, la professoressa, che da anni studia l’utilizzo del “femminile” nel greco antico, parte per spiegare come “la violenza” e l’idea che della donna si possa disporre a proprio piacimento, in quanto, “essere inferiore per nascita e senza alcun diritto” sia talmente radicato nella cultura del nostro Paese che, il processo per scardinare questo pensiero “atavico”, sia molto più lungo e difficile di quello che si pensa. Gli esempi, soprattutto, nella letteratura antica, che riportano anche nelle parole utilizzate, l’immagine della donna come “oggetto” o come “preda”, sono moltissimi. Zeus inteso come padre padrone,  dispone a suo piacimento delle sue “vittime” come meglio crede. “Nei miti greci gli dèi, per unirsi alle donne mortali, di regola si prendevano almeno il disturbo di rendersi visibili, assumendo qualche forma, umana o animale che fosse. Probabilmente lo facevano anche (o solo) per divertirsi. Le divinità romane, invece apparivano sotto forma di fallo. A Roma, insomma, le storie tra immortali e mortali non sono storie d’amore, sono semplici rapporti sessuali, di tipo assolutamente predatorio”. Nel mito greco e romano lo stupro ed il rapimento (ratto) erano costanti piuttosto comuni e frequenti. Il secondo serviva a facilitare il primo, dove la violenza sessuale era, per gli assalitori, un mezzo non solo di piacere, per il capriccio di essersi invaghiti della vittima, bensì un tramite attraverso il quale garantire una stirpe di origine, per metà, divina.
Lo stupro, perché di questo solo si trattava, veniva elevato ad un’unione divina tra una mortale ed un dio, così che la violenza venisse trattata come un fatto sacro.
Centro di queste violenze, nel mito, il dio, colui che seduce, ma che appare senza colpa, e senza remora alcuna sparisce dopo aver soddisfatto i suoi più bassi istinti.
Ma la donna? La fanciulla violata, privata della sua verginità, che fine fa? E la sua voce? Poche, infatti, sono le donne che escono indenni da queste storie. Il mito, come sempre attuale, spiega in modo crudo e puntuale, l’attuale condizione di “povertà” culturale nella quale viviamo e che dimostra quanto poco, siamo distanti da quello che pensavamo essere un pensiero arcaico. Basti pensare, conclude Radici Colace, al termine: “raptus”. Il “raptus” in ambito psichiatrico definisce l’atto improvviso e violento col quale il malato si volge contro sé stesso o contro un’altra persona. “Ma è, per definizione, improvviso non calcolato; purtroppo, questo stesso termine, in ambito legale viene utilizzato come attenuante, un modo per derubricare e giustificare un atto di violenza. Per Alessandro Impagnatiello, che assassinò la compagna Giulia Tramontana, incinta di 7 mesi, si parla di “raptus”. Quale raptus? C’era la premeditazione, ma come questo molti altri sono gli esempi di un utilizzo di termini antichi che, definivano perfettamente un atto e che, oggi, sono diventati strumento per giustificare atti di violenza insensata”. Se nell’Iliade, Zeus era legittimato a usare violenza sulla moglie per punirla, non ci dobbiamo stupire se sino al ’51, la nostra Costituzione contemplava lo  Ius corrigendi, metodo per correggere ed educare con percosse e bastonate figlie e mogli; sino agli anni ’90 la violenza sessuale era considerato un reato contro la morale e non un atto contro la persona e la propria libertà. Dopo la disamina sull’origine della cultura maschilista e patriarcale che viene perpetuata anche attraverso le parole, la dottoressa e autrice del volume “Il Manuale del Califfo”, Giovanna Cuzzucrea, entra nel cuore del problema,  e dove l’atto della violenza si nutre: le relazioni. La fase dell’innamoramento, la relazione che diventa dipendenza che vede un soggetto, spesso la donna, piegata al volere dell’uomo. Tutto questo spiegato sia dal punto di vista scientifico che relazionale. Si parla di un tipo di uomo, che definisce “califfo”. Chi sono gli uomini Califfo? Uomini seducenti, egocentrici e manipolatori. Nel manuale, attraverso un’analisi dei biotipi più frequenti, delle dinamiche psicologiche e comportamentali del Califfo e delle sue Pie donne, fornisce gli strumenti di conoscenza teorica e le strategie applicative per non cadere nella trappola della seduzione e/o liberarsi dalla morsa del manipolatore. Attraverso il racconto del vissuto di alcune donne che hanno sperimentato il rapporto sentimentale con il Califfo, si dipana la difficoltà di porre dei confini, di mantenere l’autostima, di riconoscere la propria co-dipendenza. La dottoressa Cuzzucrea, conclude il suo intervento con un appello che rivolge a tutte le “vittime” di individui violenti e prevaricatori, dicendo: “si  invita sempre a non aver paura, certo non bisogna aver paura ma non bisogna eliminare quella paura, perché la paura ci salva la vita. La paura è il campanello d’allarme, è il nostro istinto che ci dice che è il momento di reagire”. A concludere l’incontro è Franco Arcidiaco, il quale concentra il suo intervento sull’importanza e la responsabilità che i media hanno nel racconto di questi episodi. “Il nostro  -dice- è un mestiere difficile perché molte sono le complicazioni e  implicazioni. Io, personalmente sono sempre stato contrario alla morbosità del racconto, ho sempre invitato i colleghi a non indugiare su dettagli  relativi l’omicidio o la violenza; perché ritengo si possa incorrere in fenomeni emulativi morbosi”. In qualità di giornalista, prosegue Arcidiaco, “mi rendo conto della responsabilità che abbiamo e di essere responsabili di  molte brutture, come l’aver creato termini che sono entrati nel linguaggio come nel caso di baby squillo, che divenne quasi  una categoria  alla quale ambire”. Molti sono gli aspetti da tenere in considerazione, e anche molto delicati da trattare, conclude Arcidiaco che ricorda come, a livello nazionale, adesso esiste il Manifesto di Venezia stilato nel 2017 che regolamenta molte di queste cose e, precisa, che per una volta, “fu proprio la Calabria, nel 2006, con l’allora assessore alla cultura Saverio Zavettieri, ad introdurre un codice di auto regolamentazione sull’impatto di genere sui media. Il Codice di Autoregolamentazione ideato da Ignazia Crocè, coordinatrice gruppo di lavoro “Donne e Media” della Commissione Regionale di Pari opportunità intendeva sollecitare il dibattito culturale sulla filiera mediatica ed attenzionare le tipologie dell’informazione ed il relativo impatto di genere, coinvolgendo sinergicamente il sistema dei decisori mediatici, dei giornalisti, dell’Ordine professionale, degli Editori, delle Istituzioni e degli studiosi del settore. Si trattava di un documento innovativo di gran livello che registrò importanti riconoscimenti nazionali. Tuttavia ancora oggi le cose da cambiare solo molte e, indubbiamente, la comunicazione ha un ruolo fondamentale nel racconto e la narrazione di certi avvenimenti”. “Mi preme ringraziare -chiosa il direttore- la presidente dell’ Odv Amici Biblioteca “Antonino Arcidiaco” Maria Josè Logiudice per aver voluto organizzare quest’incontro, che spero si possa anche, un giorno, replicare proprio nella Biblioteca a San Lorenzo dedicata a mio padre”.

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