In una riunione del consiglio provinciale di Reggio Calabria, prendevo la parola per denunciare l’omicidio di Rocco Gatto come un fatto squisitamente politico. Era la prima volta che del delitto si parlava e non come fatto di cronaca fuori dei confini di Gioiosa. È passato quasi mezzo secolo, dopo aver partecipato a tutte le manifestazioni per Gatto così come a quelli per Peppe Valarioti e Giovanni Losardo, nonostante dubbi, errori e ripensamenti, sono ancora sulla stessa trincea.
Ringrazio Carlo Muscolo per il suo articolo che mi consente di precisare meglio il mio pensiero e di soffermarmi sul sacrificio di Rocco Gatto i cui funerali, nonostante la ferma, coraggiosa ed ammirevole presa di posizione del sindaco Ciccio Modafferi e del consiglio comunale di Gioiosa Jonica, furono partecipati, ma non di massa.
L’unità, organo del PCI, riportava la notizia con un trafiletto a pagina 7 a firma di Enzo Lacaria. Gli altri mezzi di comunicazione nazionali, non pervenuti.
Giorno 15, in una riunione del consiglio provinciale di Reggio Calabria, convocato per altri motivi, prendevo la parola per denunciare l’omicidio di Rocco Gatto come un fatto squisitamente politico per come riportato nel verbale della seduta che allego in foto. Era la prima volta che del delitto si parlava e non come fatto di cronaca fuori dei confini di Gioiosa.
Nelle sue conclusioni, il presidente della Provincia, Raffaele Terranova, si impegnava di portare personalmente la solidarietà attiva del consiglio alla famiglia, ed al sindaco di Gioiosa e di comunicare che il gonfalone della provincia sarebbe stato presente a tutte le manifestazioni in memoria di Rocco Gatto.
È passato quasi mezzo secolo, dopo aver partecipato a tutte le manifestazioni per Gatto così come a quelli per Peppe Valarioti e Giovanni Losardo, nonostante dubbi, errori e ripensamenti, sono ancora sulla stessa trincea.
Sempre con la volontà di ricercare negli eventi del passato per capire e dare un senso alla realtà attuale.
Per esempio, ritengo che dopo tanti anni, non sia stata detta tutta la verità su Rocco Gatto.
Basta soffermarsi un attimo.
Nel rapporto delle forze dell’ordine in cui si indicavano i responsabili delle minacce tese ad impedire il regolare svolgimento del mercato domenicale a Gioiosa, Rocco Gatto veniva indicato come testimone del fatto.
Lo si esponeva così alla vendetta dei clan.
Può darsi che ciò sia stato necessario per “motivi di giustizia”.
Ma a questo punto, anche il più sprovveduto avrebbe potuto capire che, da quel momento, la sua vita sarebbe stata appesa ad un filo.
Perché non proteggerlo? Perché non assegnargli una scorta?
Tento la risposta: perché era un mugnaio!
Perché non apparteneva ad alcuna casta.
Ma queste cose non si possono dire anche a costo di manomettere la verità e di offendere la memoria di chi ha avuto la vita stroncata dalla lupara mafiosa.
Da un tale atteggiamento nasce il pensiero unico che non fornisce strumenti culturali e politici per affrontare i problemi, ma strumentalizza vittime e carnefici per sventolare simboli ma non risolve alcun problema. Ci mette formalmente in pace con la coscienza e finisce tutto lì.
È quello che ha fatto il PCI nazionale, che dopo le esitazione iniziali, colloco’ Rocco Gatto nel proprio Pantheon per nascondere la propria incapacità di mettere in campo l’antimafia sociale. L’unica che può realmente sconfiggere la mafia perché, non esclude la repressione, ma si batte per le riforme.
Vengo così ai funerali di ‘Ntoni Macrì che mi sono venuti in mente dopo i fatti recenti che si sono verificati a Siderno.
Diecimila persone non possono essere rimosse come fossero funghi venuti fuori alle prime piogge.
Io non c’ero, ma ho sempre cercato di capire il perché di una partecipazione così imponente cercando di usare sempre la stessa chiave di lettura pur consapevole della mia assoluta inadeguatezza culturale e politica a cui oggi si aggiunge una grande stanchezza.
La chiave che ha usato Gramsci per comprendere l’affermazione del fascismo o Giorgio Amendola per spiegarne l’adesione di massa dopo la conquista dell’Etiopia. Una scelta criminale percepita da larga parte della popolazione come un successo nazionale.
Amendola non si scandalizza.
Non accusa i partecipanti alle manifestazioni di regime.
Ne ricerca le ragioni per quante amare possano essere e ne trae le conclusioni.
Oggi noi possiamo collocare quelle 10.000 persone fuori della storia e considerarli come il male assoluto rispetto a “noi” che saremmo il “Bene”. Io, invece, li considero “nostri” o meglio parte di “noi” e mi pongo il problema del perché abbiano la scelta di essere in quel luogo in un determinato momento storico.
Lo faccio, perché vorrei una società di uomini realmente liberi e senza vittime da sventolare strumentalmente e senza capi mafia.