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martedì, Marzo 19, 2024
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Rossi di sera

Il 10 di novembre mi è capitato di discutere di sinistra e dintorni con due illustri compagni calabresi, Ilario Amendolia e Filippo Veltri. Quest’ultimo giornalista, autore di un interessantissimo libro ” Quando c’era la politica”, invitati da Rosario Condarcuri editore de la Riviera a presentare il suo libro ed il mio. Lo spunto che ho tratto dal mio libro era essenzialmente legato al recupero della memoria di un passato vissuto intensamente nel PC da un lato e, dall’altro, al rischio di perdere per smarrimento collettivo quella comunità che costituiva la spina dorsale del partito e ne supportava la politica.

Il 10 di novembre mi è capitato di discutere di sinistra e dintorni con due illustri compagni calabresi, Ilario Amendolia e Filippo Veltri. Quest’ultimo giornalista, autore di un interessantissimo libro ” Quando c’era la politica”, invitati da Rosario Condarcuri editore de la Riviera a presentare il suo libro ed il mio.

La location un bellissimo pub su due piani. Il contesto una riunione di compagni chiamati, ad assistere al dibattito e festeggiare, in anticipo, S. Martino. ” Rossi di sera” il titolo, mutuato dal libro di un grande intellettuale calabrese scomparso, Pasquino Crupi, anima inquieta della sinistra parlamentare e non. Devo dire a giustificazione di un intervento (il mio) alquanto frammentario che, a parte i miei limiti, certamente ha giocato un ruolo decisivo l’ottimo novello e le gustose zeppole che hanno aperto la serata, piuttosto che concluderla come sarebbe stato più salutare. Ciò mi induce a ritornare brevemente su quello che ho tentato di dire, scusandomi in particolare con Ilario per non aver replicato con le argomentazioni che avrei dovuto usare al suo problematico intervento introduttivo. Ilario da intellettuale vero cerca sempre di andare oltre l’apparenza e le convenzioni, specialmente se assunte come “linea di partito”. Ha sottolineato con il garbo di chi riflette su una personale esperienza, un vissuto, quello che a Suo dire è stato un limite o errore (spero non voluto) del PCI nel periodo delle lotte contadine, delle tante Melisse come da lui definite. In sostanza non c’è stata una risposta adeguata a quelle lotte da parte del partito che ancora aveva come principale punto di riferimento la classe operaia e la fabbrica. Da qui anche una mancata analisi sulla formazione del partito in Calabria e di alcune contraddizioni che l’hanno attraversato. Il problema in parte mi convince e da lì devo dire che è anche nato un pregiudizio nei confronti delle questioni calabresi, da parte della Direzione del PCI, PDS, DS e ora PD. In merito alla questione posta da Ilario, e solo di sfuggita, vorrei indicare che malgrado l’elaborazione di Gramsci, di Amendola, di Alicata, di Cinanni etc. L’alleanza tra operai e contadini non si è mai effettivamente realizzata, perché è mia convinzione che il parziale fallimento della legge sul latifondo è legata alle caratteristiche del partito in Calabria. Il PCI non aderente a tutte le pieghe della società e in deficit di riformismo cooperativo. Spesso la divisione delle terre si è trasformata in contenzioso per i confini, invece, che in una impresa cooperativa, che potesse rendere produttivi i terreni, creando ricchezza e crescita sociale. Ma il discorso sarebbe troppo lungo e mi riservo di farlo direttamente con Ilario. L’altro elemento di analisi per capire le trasformazioni e le sconfitte di quel periodo, ci rimanda al Congresso di Napoli della DC nel 1953 ed al ruolo della Cassa per il Mezzogiorno. Quel Congresso segna l’inizio dell’emancipazione della DC dal vecchio padronato, con la nascita delle aziende di Stato e con la terziarizzazione dell’economia del Sud, con relativa “riconversione” dei contadini in impiegati. Cambia la condizione sociale di migliaia di individui e a DC ne conquista il consenso.

Clientela? Senz’altro. Ma sarebbe sbrigativo e semplicistico ridurre tutto a ciò. Per altri aspetti legati al dibattito condivido quanto sostenuto da Filippo in merito alla necessaria lotta alla ‘ndrangheta, anche se andava condotta un’analisi più approfondita per capire le cause che avevano determinato intrecci legati ad antichi retaggi vessatori, tipici delle nostre zone.

Lo spunto che ho tratto dal libro (il mio) era essenzialmente legato al recupero della memoria di un passato vissuto intensamente nel PC da un lato e, dall’altro, al rischio di perdere per smarrimento collettivo quella comunità che costituiva la spina dorsale del partito e ne supportava la politica. Naturalmente non mancavano la dialettica interna e le posizioni dogmatiche. Ma il collante era solido e quell’ appartenenza consente ancora agli epigoni di quel Partito di giovarsi di un elettorato fedele, ora sempre più residuale. La degenerazione personalistica (magari fossero correnti di pensiero) rende difficoltoso il percorso del PD, un partito nato male, forse mai nato. Da qui la necessità che ho cercato di sottolineare di ricostruite uno spazio politico ed un luogo fisico in cui finalmente si possa definire un’autonoma identità, evitando di essere lacerati a dx e a sn, tra Calenda e Conti. Per farlo è necessario un Congresso vero su tesi contrapposte, emendabili. Al centro la pace, il riequilibrio delle disuguaglianze, un nuovo Welfare, l’ambiente, un moderno meridionalismo legato alle opportunità del Pnrr, il contrasto alla povertà, la lotta all’ autonomia differenziata etc., senza tralasciare la riforma elettorale ed il ripristino del finanziamento pubblico ai partiti, senza il quale l’attività politica sarà privilegio di pochi. Naturalmente tutto ciò dev’essere terreno di mobilitazione, di lotta, di ricerca di alleanze. E dalle esperienze di lotta che matura e si afferma una classe dirigente e nasce la leadership, non come espressione del leader che colma un vuoto per effetto della disgregazione sociale ma, al contrario, chi meglio rappresenta una forza collettiva consapevole.

Infine, ho cercato di sottolineare la necessità di finalizzare le iniziative di questi giorni, per provare ad essere presenti nel dibattito congressuale e per recuperare l’appartenenza non solo in termini di ricordo nostalgico. Come cioè partecipare a questa discussione per evitare il rischio della dissoluzione di una forza politica che dovrebbe esprimere la sintesi del miglior riformismo cattolico, socialista e l’originalità di un partito comunista nato dal pensiero di Antonio Gramsci, dalla Sua analisi sulla Storia d’ Italia e sul ruolo nazionale del Partito.

Perché ribadire in maniera sommaria e lacunosa una discussione?

Solo per sollecitare i delusi, gli scettici, i dispersi a cercare qui ed ora i modi e le sedi per affrontare finalmente dopo anni, una discussione vera.

Grazie per la pazienza!

Francesco Riccio

 

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