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Tireremo diritto: la lezione di Mussolini a Meloni

Il poeta della Canzone del Piave faceva seguire a Tireremo diritto, “Faremo quel che il Duce ha detto e scritto”. Apparentemente più mite, l’onorevole Meloni fa seguire a “Non ci fermeranno” la sua convinzione di far il suo lavoro bene e con amore, nonostante e contro la ferocia avversaria.

Galileo Violini

Il ministro Lollobrigida non poteva immaginare che Fratelli d’Italia e soprattutto la Lega avrebbero storto il naso per aver parlato di sostituzione etnica, tema tra i preferiti dell’ideologia (mi si consenta l’iperbole) del Capitano. Ma forse per la Lega sostituzione etnica era temine inadeguato. Meglio sostituzione del genere umano in armonia con i tifosi che tirano banane? D’altra parte, con l’invito alla natalità, giocava in casa. Nella migliore tradizione, la tassa sul celibato (che pure renderebbe, ci si sposa poco) diventerà esenzione fiscale.

La sua affermazione avrebbe dovuto essere motivo per invitarlo a dare un’occhiata a Difesa della razza, la rivista di Telesio Interlandi che, tre mesi fa, un giornale vicino alla maggioranza ha arditamente definito, senza coglierne l’ossimoro, raffinato intellettuale antisemita.

Ma ieri il mondo politico è stato scosso da una vignetta del Fatto quotidiano. La maggioranza ne ha dato un’abile lettura. L’oggetto della satira non sarebbe il ministro per le sue dichiarazioni su natalità e sostituzione etnica, ma la sorella della presidente del Consiglio. Ha gridato allo scandalo per la volgarità e sessismo della vignetta, fatto appello ai sentimenti, chissà perché ricordando che la signora è madre, e invocando che non si destabilizzino famiglie.

Ma se la signora Lollobrigida si fosse chiamata Maria Bianchi o Cesira Rossi, quella vignetta avrebbe suscitato le stesse reazioni?

Volgarità, sessismo. La destra, di solito attenta a puntigliose contestualizzazioni, avrebbe potuto o dovuto riconoscere che una satira, anche se coinvolge, per altro indirettamente, la moglie e sorella di avversari politici, è qualcosa di ben diverso dagli insulti sessisti e razzisti di cui sono stati oggetto gli onorevoli Boldrini, Schlein, D Maio, per non parlare di quelli, in pieno Parlamento all’onorevole Lezzi.

Non tutti, come Carlo V, usano la nostra lingua per parlare agli angeli o alle donne. Volgarità sessiste etero o omosessuali fanno parte della “Cultura” della decantata “razza” italica e non sono meno frequenti delle metafore animalesche il cui uso la difesa di un ex presidente del Senato, leghista, ha preteso sdoganare perché “Oramai da tempo entrate nel costume sociale, non più percepite come diffamatorie, in quanto anche in ambito politico risultano piuttosto diffuse”.

Altro è il discorso politico. Vignetta politicamente stupida, più che scorretta perché volgare e sessista, ha prodotto l’effetto di quei descabello sbagliati in una corrida che rianimano il toro. Così, il 30 agosto 1985, il toro Burlero uccise El Yiyo nell’arena di Colmenar Viejo.

L’onorevole Meloni, che pure in passato aveva difeso la satira di Charlie Hebdo, ne ha approfittato per distrarci dalle difficoltà che il governo sta avendo e, usando il privato come politico, per riesumare con un fiero “Non ci fermeranno” il “Tireremo diritto” che lui gridò dal “Balcone” l’8 settembre del 1935 in risposta alle “inique sanzioni” e, data l’efficacia della frase, ribadì nella sua Romagna solatia il 30 luglio del 1938, in relazione alla “questione della razza”. Si licet parva componere magnis verrebbe da dire guardando la vignetta.

Il poeta della Canzone del Piave faceva seguire a Tireremo diritto, “Faremo quel che il Duce ha detto e scritto”. Apparentemente più mite, l’onorevole Meloni fa seguire a “Non ci fermeranno” la sua convinzione di far il suo lavoro bene e con amore, nonostante e contro la ferocia avversaria.

Penseranno lo stesso in Europa? Non vedranno nello slogan un messaggio?

 

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