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giovedì, Maggio 2, 2024
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Un Blockbuster dedicato a magistrati scomodi?

Galileo Violini ci parla del decreto voluto dal Governo sull’immigrazione, facendoci riflettere su problematiche, azioni errate e pericoli nati da questo problema mal gestito.

Galileo Violini

Finora, quest’anno l’Italia ha ricevuto 60000 domande d’asilo. Molte, ma solo l’11.6% del totale europeo. Poche rispetto a Germania (30%), Spagna (17%) e Francia (16%). Comunque, un dato da incubo per il nostro governo, e per i partiti che lo sostengono, uno de quali, la Lega aveva definito clandestini i richiedenti asilo. Citata per questo, è stata condannata in tutti i gradi di giudizio, fino al definitivo della Cassazione, il 18 agosto.

Rivincita dei nostri xenofobi un mese dopo, con il Decreto 23A05308 del 14 settembre, pubblicato il 21 sulla G.U.. Definisce “l’importo e le modalità di prestazione della garanzia finanziaria a carico dello straniero durante lo svolgimento della procedura per l’accertamento del diritto di accedere al territorio dello Stato”.

Già a prima vista decreto ridicolo. Uno straniero, arrivato in Italia con mezzi di fortuna, dovrebbe versare, senza aiuto di terzi, una cauzione di 4938 euro. Questa somma coprirebbe, se necessario, coprire alloggio, mantenimento e rimpatrio. Originale. Alloggio e mantenimento vanno pagati. Che c’entrano con la cauzione?. Comunque, non costano più di un migliaio di euro. Quanto al rimpatrio, pur tenendo conto di possibili spese accessorie, pare che sia stata fatta la cresta, perché inspiegabile ed esorbitante è la stima in circa 4000 euro del costo medio del ritorno. Gli esperti ministeriali non sono riusciti a scoprire sul web che il prezzo medio di un volo a Dhaka o Baghdad è intorno a 200-450 euro, a Kabul a 900, a Abidjan 350. A Tunisi, poi, non ne parliamo. Italia candidatura ad entrare nel club degli sfruttatori dei migranti?

Inoltre, decreto non esente da criticità giuridiche, come molti posero subito in evidenza.

Che con queste premesse qualcosa potesse non andare secondo le speranze e illusioni del milanese, defensor finium, era previsibile. Ed infatti è successo ancor prima che della conversione in legge del decreto.

Ne sono scaturiti problemi e polemiche, ma, sorpresa!, non hanno avuto per oggetto la ragione di fondo: legge stupida, inadeguata al preteso fine, di pura propaganda, emanata per soddisfare una base xenofoba, distraendone l’attenzione dall’impossibilità di mantenere le promesse elettorali, migliorare la sanità, affrontare l’aumento della povertà e dal principale problema di politica internazionale del Governo, la complicata relazione con l’Europa.

Come è potuto accadere? Elementare Watson! Buttandola in caciara.

La nostra presidente del Consiglio ha scagliato la prima pietra. Si è dichiarata “basita” per una sentenza che mostrerebbe che “pezzi di stato fanno la guerra al paese aiutando l’immigrazione illegale”. Ha ricordato che il Governo è stato democraticamente eletto. E allora? Anche Mussolini nel ’24 e Hitler nel ’33 lo furono, come lo sono stati gli attuali governi, suo modello, polacco e ungherese. Ma per lei, Montesquieu è nuovo Carneade. Ha riesumato un leitmotiv della destra, parte della magistratura è quinta colonna, nemico fra noi, e mette i bastoni tra le ruote a chi, avendo avuto il voto del 29% della popolazione, si sente unta dal Signore.

Colpisce che in questa jihad contro la magistratura non sia stata seguita dal suo sottosegretario, ex magistrato, rispettato per il suo noto equilibrio, e di cui ho il piacevole ricordo personale di un incontro, molti anni fa, in Iran, in occasione di una visita di parlamentari italiani.

Sentenza sbagliata? Può darsi, anche se la ritengono corretta molti costituzionalisti, da Lanchester, professore emerito della Sapienza ad Ainis e Celotto, professori di Roma Tre, cui non fanno contrappeso posizioni diverse di costituzionalisti di destra. Riserve sono state formulate da Cassese, lo stesso Celotto è aperto riguardo la cauzione, il che conferma la trasversalità di una categoria che ha come faro la Costituzione della Repubblica. Sul piano etico-religioso, l’arcivescovo di Catania si è dichiarato orgoglioso che sia stata pronunciata a Catania, ed è noto il magistero del papa riguardo questa materia, ma questi interventi non hanno ricevuto né dal religiosissimo vicepresidente, né dalla cristiana presidente, la filiale attenzione che ci si sarebbe potuto aspettare.

Una sentenza analoga, anche se con motivazioni diverse, è stata pronunciata da un giudice di Firenze, che non si è sentito vincolato, giudicando a settembre, dalla dichiarazione governativa di sei mesi prima, che la Tunisia è paese sicuro, e, notizia di pochi giorni fa, da un’altra giudice di Catania.

In un paese normale non dovrebbe esserci problema. Il Governo ha gli strumenti per impugnare quelle sentenze. Lo farà. L’Avvocatura dello Stato, sosterrà che questi giudici hanno approfittato della loro posizione per giudicare, non secondo diritto, e in coscienza, ma accecati dalla passione politica. Il procedimento seguirà il suo corso. In attesa dell’esito, rispettiamo le sentenze e critichiamole pure.

Sarebbe potuto e dovuto finire qui. Possiamo aspettare. Non proprio e non tutti.

L’onorevole Salvini, già autoffertosi, un anno dopo la famigerata manifestazione sul molo di Lampedusa, come terzo protettore d’Italia, accanto a San Francesco e Santa Caterina, ha gettato benzina sul fuoco. Ha pubblicato un video, quello di cui si parla da giorni, nel quale riconosceva volti noti. Questo ha dato origine a un coro di richieste di sanzioni. Minima il trasferimento della giudice, ma c’è chi ne ha chiesto la radiazione (sic!, ma dobbiamo abituarci al linguaggio leghista da bar delle Sport) o, più tecnicamente, l’espulsione dalla magistratura. Sorprendente, in questo caso, la motivazione fornita da qualcuno laureato con lode in Giurisprudenza. Ahimé! Le Università non sono più quelle di una volta!

In questo modo il dibattito si è stato spostato dalla sentenza e sua correttezza giuridica e costituzionale, ad un’analisi a tutto campo della storia pregressa della giudice di Catania. Più fortunato il giudice di Firenze. È vero che anche la sua imparzialità è stata messa in dubbio, ma con argomenti “tecnici” e non personali. È stato candidato al CSM, ha partecipato a un convegno sui migranti, con connotazioni anche politiche, del che per altro gli si dà atto che poteva farlo. E, graziaddio, gli è stata risparmiata l’analisi dell’armocromaticità dei calzini.

Facile mandare in caciara la vicenda, dati i troppi e diversi aspetti che si intrecciano: sentenza, comportamento della giudice (liceità e opportunità), video (autore, possesso da parte di Salvini), possibile esistenza di una videoteca, un Blackbuster nostrano, specializzato in magistrati scomodi, base della loro schedatura. C’è stato poi un effetto boomerang, apparentemente sottovalutato dal vicepresidente.

Questa molteplicità impedisce di valutare la reale portata di ciascuno di essi, introduce elementi marginali di polemica, permette improbabili analogie tra la minaccia alla società costituita da giudici politicizzati (leitmotiv, possono privare un individuo della libertà) e quella potenziale di un generale, trascurando il fatto che l’innocente può ricorrere in appello, mentre il Cile dovette attendere diciassette anni.

Occorre separare i vari aspetti, discernendo il grano buono dalla zizzania, gli argomenti realmente preoccupanti dal gossip.

La sentenza sarà analizzata nei luoghi e secondo le forme che la legge prevede. Le maggiori critiche sono state riguardo il comportamento della giudice Apostolico. Addirittura, sono state chiamate in causa le idee politiche del marito. Ma quando qualcuno aveva chiesto conto alla presidente del Consiglio delle esternazioni di suo marito, non si era chiarito una volta per tutte che le donne sono zoon politikon autonomo e non appendice dei loro mariti?

Tra le critiche, specialmente incredibile quella he in un altro video la giudice si dichiara antifascista. Questo scandalizza il vicepresidente. Perché? Non è antifascista la nostra Costituzione?.

Difficile censurare il comportamento della giudice durante la manifestazione, Non ha certo aggredito, neanche verbalmente, le forze dell’ordine. Il video la ritrae tranquilla. Non la si vede commettere nessun atto disdicevole o censurabile. Afferma di esserci andata con nobili fini, Sarà vero? Oddio, anche se non lo fosse, dovremmo essere vaccinati. Il nostro Parlamento, con la destra al governo, si è bevuto una storia ben più surreale. Quindi se ne afferma l’inopportunità. Certo sul tema si hanno opinioni diverse. Secondo Cacciari sarebbe ridicolo che ai giudici sia proibito andare ad una manifestazione. Più sfumate quelle di Violante, o, a destra, del presidente Schifani che abbassa i toni e non richiede dimissioni, ma una censura morale. Lo stesso ministro Nordio, che quando era magistrato non parlava solamente attraverso le sentenze, pur pensando che la giudice non avrebbe dovuto essere là, ammette che poteva farlo.

Però sulle conseguenze di quella presenza, la destra è monolitica (absit iniuria verbis, se qualcuno volesse vedere un’allusione al monolite del Foro Italico). La giudice avrebbe dovuto astenersi dal giudicare il caso. C’è una sentenza della Cassazione per una situazione analoga (ILVA, Taranto), che dice il contrario, ma deve essere anch’essa sbagliata.

Era lecito filmarla e diffondere il video?

È popolare la tesi, un po’ sempliciotta, ma forse popolare proprio per questo, della presidente del Consiglio. Una manifestazione ha carattere pubblico, quindi niente diritto alla privacy. Tesi che, con il suo consueto vigore, poco dialettico, ma molti decibel, ha sostenuto in una trasmissione TV un vicepresidente del Senato, deliziandoci anche con l’esegesi della parola manifestazione. Dai libri di storia deve essere passato a leggere quelli di semantica.

La giudice di Catania e quello di Firenze non sono casi isolati. Uno dei maggiori quotidiani di destra ha pubblicato una lista di toghe rosse, a mo’ di lista di proscrizione, o almeno di causa automatica di ricusazione o auto-astensione. Include persino una giudice accusata, nientedimeno, di essere stata vicecapo di gabinetto di un ministro, rosso, beninteso, e un’altra indiziata per aver giudicato il caso Rackete, sì, Carola Rackete, quella signora che a un senatore della Repubblica è stato lecito insultare, grazie allo scudo di un’immunità impensabile in altri paesi.

La caciara generata da questi pettegolezzi, che di pettegolezzi si tratta, permette ignorare domande che sottendono qualcosa che dovrebbe preoccupare.

Da dove viene il video? Come è arrivato al ministro delle infrastrutture? Faceva parte di qualche videoteca pubblica o privata, e comunque non di accesso pubblico, visto che la prima improbabile spiegazione, che era in rete, non è stata suffragata dall’indicazione del link di accesso?

E, comun denominatore di queste domande, siamo testimoni di un dossieraggio? Siamo tornati ai tempi dell’OVRA? Allora non ci si limitava soltanto a dossier sugli oppositori, come mostra una bella tesi di laurea della Sapienza, disponibile in linea, quella di Elisabetta Montanini che registra pettegolezzi incredibilmente insignificanti su cittadini ebrei romani, da documenti depositati in un Fondo della Questura.

La presidente del Consiglio lo nega, trincerandosi dietro l’argomento infantile della pubblicità dell’evento.

Ma chi è l’autore del video? Dopo ia prima maldestra spiegazione di un leghista siciliano, si sarebbe saputo che sarebbe stato un carabiniere, versione anch’essa con delle falle (è stato osservato che l’angolatura della ripresa suggerisce che il video pubblicato sia di una seconda persona).

È possibile che sia stato ripreso senza la connivenza o tacita benevolenza della polizia? L’autore stava tra i poliziotti, addirittura li filmava. E questo, sicuramente non lontano da agenti in borghese della DIGOS. In genere, gli agenti non sono molto disponibili a lasciare filmare sé o colleghi o anche ministri, da chi non sia dei loro. Sequestrano il cellulare e cancellano il video. Occorre ricordare la rapidità e solerzia del loro intervento. quando il ministro Salvini fu incastrato da una ragazza con una domanda scomoda?

Fu un video amatoriale di un cittadino, accidentalmente carabiniere, e non commissionato per altri fini? Costa crederlo e infatti pare che fosse un’attività di servizio, dato il seguito disciplinare che sta avendo la vicenda. Se fosse privato, come se ne spiega il recupero? Ha dello stupefacente. Dopo cinque anni, l’autore si mette a cercare a ritroso sul suo cellulare. Avrà ancora lo stesso cellulare di allora? Non lo avrà cambiato? Chissà quanti video ha girato! Perché? Ricordava che c’era la giudice in quella manifestazione? E di averla filmata? Che memoria!

Se davvero fu ripreso per servizio, dopo che la questura ha negato di esserne in possesso, è lecito chiedersi da quale videoteca è uscito? Chi le ha accesso? Come sono studiati quei video e classificata l’informazione che contengono? Esiste nell’Italia democratica una OVRM, Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione della Magistratura?

Invece di preoccuparsi perché una sentenza potrebbe essere condizionata dalle idee di parte di un giudice, non sono queste domande più importanti alle quali i cittadini hanno diritto di esigere e ricevere risposta?

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