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Una storia di giustizia-ingiustizia

Giuseppe Tavernese, ex consigliere del comune di Siderno è stato assolto dalla Corte d’ Appello di Reggio Calabria, dall’accusa di aver fatto parte della cosca Commisso, perché il reato non sussiste, dopo nove anni di calvario giudiziario

Giuseppe Tavernese è stato assolto, perché il fatto non sussiste. Ex consigliere comunale, sotto la guida del sindaco Alessandro Figliomeni, ha ottenuto l’assoluzione dopo 9 anni di calvario giudiziario, trascorrendo tre di questi anni in prigione, due trascorsi agli arresti domiciliari e, altri due, con obbligo di firma nel comune di residenza.

Tavernese è stato arrestato durante l’operazione “Falsa Politica”nel 2012, insieme ad  altre persone tutte con ruoli politici: l’ex consigliere regionale Cosimo Cherubino, l’ex consigliere provinciale Rocco Agrippo, il consigliere comunali in carica al Municipio di Siderno Domenico Commisso e l’ex consigliere comunale di Siderno Antonio Commisso.

Chi è Giuseppe Tavernese?

Giuseppe Tavernese ex autista in una ditta, che si occupa di raccolta di rifiuti, con un passato da sindacalista, prima dell’impegno nella politica locale e l’elezione nel consiglio comunale di Siderno, subisce un vero e proprio calvario, accusato di aver fatto parte della cosca Commisso di Siderno. Ad inchiodarlo, sostengono i giudici di primo e secondo grado che lo condannano con rito abbreviato a sei anni di reclusione per il reato di associazione mafiosa, una serie di intercettazioni che dimostrerebbero la sua contiguità agli uomini del clan e la sua totale messa a disposizione politica agli ordini del “Mastro”, ovvero Giuseppe Commisso, anziano mammasantissima sidernese. E poi, sottolineavano i giudici, uno zio di Tavernese viene considerato ai vertici della ‘ndrina di Ferraro, storicamente confederata ai Commisso.

L’imputato, difeso dagli avvocati Pino Sgambellone e Cesare Placanica, durante il processo di Cassazione nel 2017, vede annullata la condanna del primo processo d’Appello, e viene disposto un nuovo dibattimento. Nella sostanza i supremi giudici, spulciando a fondo gli incartamenti del processo, sposano la tesi difensiva che aveva portato alla luce come di tutte le ipotesi contenute nel dettagliato capo d’imputazione, nessuna fosse supportata da prove certe. Poche, infatti, risultavano le intercettazioni che lo riguardavano, senza contare che molti degli imputati si riferivano a lui insultandolo per la sua mancata adesione alla politica dettata dal clan. Infine, il 16 giugno 2021, è stato assolto dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, perché il reato non sussiste.

 

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