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martedì, Maggio 21, 2024
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A ma’! Vojo la pizza!

Galileo Violini commenta la visita di Giorgia Meloni negli U.S.A. e la strana vicenda della pizza sovrapposta all’invito di Biden.

Galileo Violini

Il presidente del Consiglio è stata criticata per essere stata vista ad una rinomata pizzeria newyorkese, avendo declinato un invito del Presidente degli Stati Uniti. La giustificazione offerta che l’invito di Biden fosse alle 19 e che alle 21 tutto era già terminato, dissipa il sospetto che l’impegno familiare, il dover dire alla figlia che la promessa pizza sarebbe stata annullata, rischiando la reazione del titolo, volutamente provocatorio, siano stati la ragione di quella decisione e confermano che, se avesse voluto, il presidente avrebbe potuto accettarlo e farsi dopo la pizza. Scomodo forse, ma la vita diplomatica è dura. A volte tocca andare a più ricevimenti la stessa sera se, come accade il 4 luglio con Stati Uniti e Filippine, più feste nazionali coincidono.

La linea di confine tra pubblico e privato, per chi occupa cariche pubbliche è spesso imprecisa e sottile. E ciò può porre problemi complicati, anche se risolti a volte con meccanismi di facciata, quali le limitazioni esistenti nell’università, ma questo è un altro tema.

Otto anni fa, uno dei giornalisti di punta della destra italiana, Vittorio Feltri, cospargendosi il capo di cenere, riconosceva come ingiusti e infondati i suoi attacchi a Pillitteri, a lui antipatico per un motivo che egli stesso ammetteva essere stupido, e cioè che era cognato di Craxi. Come penitenza anticipata, lo paragonava addirittura a Quintino Sella e, en passant, si giustificava distribuendone equamente la colpa tra “atmosfera servile” nel Corriere della Sera, sua “inesperienza” e un suo “errore giovanile”, essere stato socialista, del che, col senno di poi, gli si può dare atto che, se errore fu, lo ha riparato ampiamente.

Il futuro dirà se dovranno fare simili confessione e ammenda quei giornalisti che, come lui, avendo in uggia (odio non sarebbe corretto) i cognati hanno a volte commentato azioni o dichiarazioni di persone legate da vincoli familiari alla presidente del Consiglio. Certo l’accadere ciò dipenderà soprattutto da quanto il ministro Lollobrigida e la dirigente di Fratelli d’Italia, che ne è moglie, sorella della presidente, avranno saputo fare, anche se, ove dovessi scommettere che qualcuno dei due possa dar motivo per un tale ripensamento, sarei piuttosto restio a scommettere sul ministro, la frequenza delle cui improvvide dichiarazioni non pare autorizzare troppe speranze. Il futuro dirà anche se la fama giornalistica cui è assurto il direttore del “Diario del giorno” durerà più dei fiori di Carmen, della Traviata o di Malherbe.

È ovvio principio generale che vincoli familiari con il presidente del Consiglio non possono essere fonte di limitazioni di diritti costituzionali fondamentali, anche se l’esercitarli è questione di sensibilità e opportunità. Tuttavia, quando questi sono esercitati, non dovrebbe sfuggire al presidente del Consiglio che il suo ruolo implica obblighi che possono porre limiti al suo diritto alla privacy familiare.

Nel caso specifico dell’onorevole Meloni, ambendo ella ad entrare nella storia d’Italia per qualcosa di più del pur importantissimo fatto di essere stata la prima donna presidente del Consiglio, sarebbe ironico se, avvocata di Dio, Patria e Famiglia, vi entrasse per la famiglia con la f minuscola e il suo contributo venisse associato a un romanzo di Pratolini. Purtroppo, la storia è maestra e dovrebbe metterla in guardia perché questo genere di ingiustizie avviene. Alessandro VI non è ricordato per il suo ruolo nella politica italiana ed europea, per l’influenza che ebbe per l’emanazione dell’editto di Granada, o per il Trattato di Tordesillas, lo è per il nepotismo che ne caratterizzò il pontificato a tal punto da oscurare altre possibili critiche, come quelle non certo marginali rivoltegli da Machiavelli.

È innegabile che la situazione attuale non ha precedenti, se si eccettua forse il caso di Mussolini e Ciano. Tuttavia, questi era già diplomatico di carriera prima del suo matrimonio, e la sua ascesa a ministro degli esteri, sei anni dopo, fece seguito a normali tappe intermedie del suo cursus honorum, un consolato a Shanghai, una sottosegretaria e un ministero, per altro importante.

Legittima l’insistenza dell’onorevole Meloni nel distinguere la vita privata dalle sue funzioni pubbliche. Come non apprezzare il suo modo di essere madre? (meno che faccia un uso politico dell’esserlo). È normale che, quando può, porti con sé la figlia. Ed infatti, se il suo utilizzo dei voli di stato è stato a volte questionato, mai lo è stato per questo motivo. Stessa simpatia ha mostrato di avere il presidente Biden, quando si rammaricò per non essere stato informato che la bambina era a Washington con lei. Una bambina nella Sala Ovale le avrebbe dato una freschezza gradevole.

Però, non ci si venga a dire che, se la presidente del Consiglio va a farsi la pizza con la figlia alle 21, dopo avere skipped an US President invitation, nei giorni in cui è in corso l’Assemblea Generale della Nazioni Unite, è lo stesso che, se andasse a farsi una pizza dopo essere stata con la figlia a Disneyland. Non dovrebbe essere difficile prevedere l’impatto mediatico di un tale comportamento, che non corrisponde a ciò che un Paese del G7 o del G20 si aspetta da una leader, o, tradotto nel linguaggio della nuova destra, che la Nazzione (attento proto, rispetta le due z) si aspetta, e che la presidente non si faccia ingannare da qualche servile articolo di giornalisti compiacenti che  considerano normale qualcosa che normale non è o addirittura lodano la sua sensibilità materna.

Potremmo quindi chiudere qui, riconoscere che il problema è banale, ridimensionarlo come una scivolata non di sostanza, ma di comunicazione, di cui non mette conto parlare. Tra l’altro è vero che l’importanza pratica dei ricevimenti diplomatici è limitata. Utili per le relazioni personali, solo indirettamente sono rilevanti per le politiche di stato. Tuttavia, la nostra poliglotta presidente dovrebbe conoscere l’espressione spagnola, gajes del oficio, il suo ruolo comporta costi e sacrifici, tra cui evitare di declinare per futili motivi un invito del presidente degli Stati Uniti.  Potremmo chiudere, ma non lo faremo, perché il problema non sta nella pizza di Manhattan.

La vita in diretta dei leader politici li espone a uno scrutinio impietoso della loro vita privata. Liberi di decidere, ma esposti a censure. È successo alla prima ministra finlandese per un party, e molti anni fa a un candidato presidenziale americano, cui, ricordiamo, fu imputato non il comportamento privato, ma, mentendo, l’aver tradito la fiducia popolare.

Questo scrutinio comporta il diritto dei cittadini ad avere risposte e devono essere risposte accettabili politicamente e giuridicamente, spesso di principio e non collegate con l’episodio che ha condotto alla domanda.

In termini generali, una critica che si può sommessamente fare al presidente è che questo genere di interazione le risulta ostico, preferisce di solito altri meccanismi comunicativi.

Nel caso particolare, non si può ignorare e minimizzare la gravità della sgrammaticatura costituzionale implicita nella pretesa di un’interpretazione estensiva del sacrosanto diritto di un presidente del Consiglio di decidere le sue priorità. Inquestionabile se parliamo di priorità politiche (campo minato, per altro, per il presidente che, secondo l’uditorio e le circostanze, ne ha menzionate talmente tante, che è poi difficile capire che cosa consideri realmente prioritario, e quindi se davvero consideri che c’è qualcosa prioritario). Inquestionabile anche nel privato, dove a nessuno viene in mente di contestarle che possa esercitare tale diritto a casa sua, magari imponendo alla famiglia una bella carbonara invece di una polenta. E se, contro tutte le tradizioni romane, desidera aggiungervi la panna, lo faccia pure. E se desidera pasteggiare a Dom Pérignon invece di utilizzare solamente prodotti italiani e bersi un Frascati o un Montepulciano, nessuna obiezione, salvo forse che da parte di Salvini..

Però, se le priorità devono essere decise all’interno di una lista in cui si trovino attività private e attività di stato, non ci si può appellare a quel diritto. Per meglio dire, potere si potrebbe, in linea teorica, ma solo in regimi dittatoriali, dove effettivamente pratiche di questo tipo sono frequenti. In Italia, se lo si fa, è, ancora e speriamo per sempre, legittimo criticarlo, senza ricevere risposte annoiate, che, facendo salva la forma, lasciano intravedere un pensiero non dissimile da quello reso famoso da Alberto Sordi, Marchese del Grillo.

Episodi come quello accaduto richiedono attenzione perché sminuiscono all’estero non l’immagine del presidente del Consiglio, che, alla resa dei conti è affar suo, ma quella del nostro Paese (Nazione, se la presidente preferisce, sebbene i termini non siano sinonimi) e non è un caso che i primi a diffondere la notizia siano stati giornalisti stranieri. Però all’interno, ciò che dovrebbe preoccupare di più è la pretesa che il presidente del consiglio sia reprehensione solutus. Con il legibus solutus abbiamo già dato.

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