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Colombo su obbedienza e democrazia

Ascoltando Gherardo Colombo su Rai tre, la scorsa domenica, non possiamo non riflettere sulle parole pesate e pesanti del magistrato lungo due direttrici: obbedienza e democrazia.

Si è parlato di sfiducia nelle istituzioni ormai dilagante nella società contemporanea anche se il cittadino, come vuole la Costituzione, è parte integrante della vita politica del Paese. Paradigmatici, in tal senso, sono gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Nel primo si fa riferimento alla solidarietà, alla cui realizzazione il cittadino è preposto perché, da un lato, è chiamato ad adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, dall’altro, gli vengono riconosciuti i diritti inviolabili dell’uomo. Dunque, senza solidarietà non è garantita la presenza di diritti per tutti. Nel secondo (articolo 3) è garantita a tutti i cittadini la pari dignità sociale e l’eguaglianza di fronte alla legge.

Un ruolo chiave nell’ordinamento è quello della giurisdizione contemporanea in particolare nella sua funzione penale. È solo il processo penale costituito da giudici e pubblici ministeri a concentrare in sé stesso la stragrande maggioranza di contenziosi.

Storicamente, Colombo sottolinea, la caduta del muro di Berlino può essere qualificata come l’esplosione di un tappo (una sorta di vaso di Pandora n.d.a.) dopo la quale sarebbero stati aperti i “cassetti del potere” con la conseguenza che i precedenti blocchi di potere si sono rivelati essere la coltre sotto la quale si annidava la corruzione.

La caduta del muro, quale straordinario spartiacque storico, ebbe conseguenze sia politiche con la crisi dei partiti tradizionali, sia un atteggiamento di lassismo istituzionale. Sul piano giudiziario, la giustizia, dal canto suo, si limitò ad accertare le responsabilità penali, e non anche al ruolo di modificare il sistema politico. Quindi, a partire dagli anni ’90, si assiste ad un elevato livello di corruzione poi ridimensionatosi attraverso il venir meno dei finanziamenti illeciti ai partiti. Tuttavia, afferma Colombo, la magistratura sarebbe perdente in quanto la fine delle indagini non si è accompagnata alla fine del fenomeno corruttivo.

Occorre, dunque, che il sistema penale sia riveduto: non si educa attraverso la minaccia di una pena laddove la minaccia sia finalizzata ad ottenere obbedienza. Sintetizzando: l’obbedienza è il contrario della democrazia, chiosa il magistrato. Ne deriva che la giustizia penale dovrebbe essere ridimensionata o abolita passando dalla “pena” all’ “aiuto a recuperare” come sancito dalla Costituzione all’articolo 27 ( “le pene…devono tendere alla rieducazione del condannato”) 

È lo stesso Aldo Moro, riporta Colombo, ad affermare che occorreva qualcosa di meglio del processo penale. Per cui la valutazione circa la pericolosità del reo potrebbe esser bypassata solo in una società in cui tutti si rispettano vicendevolmente. E al reo vanno riconosciuti tutti quei diritti il cui esercizio non compromette l’incolumità della collettività: AIUTARE NON A PUNIRE MA A RECUPERARE. E tra i diritti riconosciuti al reo si menzionano: la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo, nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, l’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva e da ultimo il principio del giusto processo di cui all’articolo 111 della Costituzione.

I nodi focali sono sostanzialmente due: Formazione, ossia educazione al sistema costituzionale, e Responsabilità non in senso sanzionatorio ma capacità di rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni. La soluzione sarebbe la depenalizzazione di un sistema fatto di codicilli in cui ciascuna legge contempla quale reato la sua stessa violazione.

A questo punto, traendo le conclusioni, mi preme sottolineare una cosa che mi ha particolarmente colpita.

Se la minaccia di una pena è finalizzata a far da deterrente e garantire l’obbedienza al precetto; l’obbedienza è il contrario della democrazia.

Su quest’ultimo punto sono d’accordo, perché un sistema può dirsi realmente democratico se si fonda su una democrazia partecipativa e non rappresentativa. Quindi la democrazia è un’illusione (n.d.a.).

Perché i rappresentanti sono e sono sempre stati intermediari (un’élite) che assumono decisioni per conto dei cittadini elettori. La democrazia sarebbe, a parer mio, un’aristocrazia mascherata: un sistema in cui il demos non assume un potere effettivo ma mediato da quell’organo costituzionale che è il Parlamento.

L’obbedienza potrebbe essere garanzia di libertà nella misura in cui freni il libero arbitrio per evitare invasioni nella sfera giuridica altrui.

Il sistema contemporaneo, basato sull’obbedienza, è l’espressione di una modalità di perseguire il pubblico interesse che potrebbe essere comunque meglio garantito dalla coscienza e dall’ottemperanza di tutti i cittadini alle norme espressione del pacifico viver civile e da galatei relazionali tali da scongiurare la necessità di ricorrere alla giustizia penale.

Si tratta, forse, di una visione utopica.

Non intendo dire che l’anarchia sia una forma di “non governo” realmente auspicabile, ma solo che le difficoltà dei sistemi costituzionali odierni nel creare e applicare le norme si è esteso a un punto tale da contemplare una miriade di fattispecie concrete lasciando lacune, comunque, notevoli perché la realtà è molto più poliedrica di ciò che il legislatore può immaginare e conseguentemente disciplinare.

Beatrice Macrì

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