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Franco Mammì: “La cosa più bella che ho avuto è stato il sorriso dei bambini”

Dopo la tragica morte della piccola Ginevra, la bambina di due anni morta all’ospedale “Bambin Gesù”, a causa di complicanze legate al Covid-19, abbiamo intervistato  Franco Mammì per anni primario della pediatria dell’Ospedale di Locri.

Dottore, può fare una riassunto della sua  carriera?

Sin dai primi anni della mia professione, ho fatto il medico ospedaliero, lavorando nella Divisione di Pediatria dell’Ospedale di Locri. Un reparto dove ho avuto la fortuna d’incontrare un primario, Giuseppe Costantino, che mi ha dato la possibilità di continuare la mia formazione professionale presso centri italiani molto qualificati. Oltre alla pediatria generale, mi sono occupato in particolare di malattie genetiche, avendo il nostro reparto un centro di assistenza per bambini talassemici, e, successivamente, di problematiche respiratorie. Negli ultimi dieci anni di professione, il mio interesse si è rivolto alla cura del diabete che insorge nei bambini e che è una malattia completamente diversa dal diabete degli adulti. Assieme ad alcuni colleghi calabresi, ho lavorato per costruire una “rete” assistenziale qualificata che potesse dare risposte a tutti i bambini con diabete della nostra regione, evitando così molti “viaggi della speranza”. Oggi, questa “rete” è riconosciuta ufficialmente dalla nostra Regione, i centri di diabetologia pediatrica sono operativi in maniera abbastanza omogenea su tutto il territorio, i ragazzi hanno la possibilità d utilizzare per la cura i presidi più innovativi, come microinfusori e sensori. Grazie ad un provvedimento legislativo regionale specifico, è stato possibile realizzare  “Campi scuola” educativi per la gestione della malattia. I risultati raggiunti in questo settore hanno permesso di avere molte gratificazioni anche a livello nazionale.

Dottore, la morte della piccola Ginevra ha sconvolto tutti. È vero che in Calabria non ci sono terapie intensive pediatriche?

Le terapie intensive pediatriche sono poche in tutto il nostro Paese e ci sono anche forti differenze regionali. In Calabria, solo da qualche anno, sono stati attivati nell’Azienda Ospedaliera di Cosenza 4 posti letto di terapia intensiva pediatrica per bambini, in ambienti dedicati della terapia intensiva dell’adulto e 2 posti letto di terapia intensiva per bambini sotto l’anno, in locali adiacenti alla terapia intensiva neonatale. L’attivazione di questi posti letto ha consentito di colmare un vuoto che la nostra regione si portava dietro da moltissimi anni, ma occorrerebbe fare di più ed offrire ai pazienti pediatrici la possibilità di essere assistiti in unità di terapie intensive dedicate esclusivamente ai bambini. Purtroppo, sono ancora molti i bambini ospedalizzati che vengono assistiti in reparti “per adulti”.

Qual è lo stato di salute dei reparti di pediatria in Calabria?

Attualmente i reparti di Pediatria in Calabria si trovano ad operare in condizioni di grave criticità, soprattutto per la carenza di personale medico ed infermieristico. Anche se il problema della carenza di Pediatri riguarda tutto il nostro Paese, in Calabria, dopo dieci anni di vari Commissariamenti, la situazione è diventata drammatica e questo, ovviamente, si ripercuote sulla qualità dell’assistenza. La pandemia ha, inoltre, contributo ad amplificare molte delle criticità preesistenti e, con il sacrificio e la buona volontà degli operatori rimasti in servizio, non sempre si riesce a dare risposte adeguate. In qualche caso, molto del lavoro fatto negli anni passati per migliorare l’area delle cure pediatriche specialistiche, si è interrotto o è andato perso. La speranza è che si possa, in qualche modo, invertire al più presto questa tendenza.

Secondo la sua esperienza, la bambina avrebbe avuto la possibilità di salvarsi , senza la necessità di essere trasportata a Roma?

Conosco il caso solo dalle notizie apprese sui giornali. Credo che per rispetto del dolore dei genitori, senza adeguate informazioni, occorrerebbe astenersi da ogni considerazione specifica. Certo, talvolta, nascere o vivere in un determinato luogo rispetto ad un altro, può fare la differenza. Così come è altrettanto vero, però, che il virus ha una sua letalità ed ha già causato tantissimi morti. È un virus nuovo, capace di attivare un sistema complesso di interazioni tra infezione, risposta immunitaria, genetica; molti aspetti della sua patogenicità non sono ancora del tutto chiari, così come anche poco si conoscono gli effetti che può dare a distanza, il cosiddetto long covid. Occorre, ancora, studiare molto e capire. Solo le ricerche e le evidenze possono dare risposte certe.

La triste storia di Ginevra dovrebbe convincere i no vax a vaccinarsi. Vuole lanciare un messaggio a queste persone?

I più grandi successi della medicina sono legati all’utilizzo dei vaccini. Molte malattie del passato, anche non molto lontano, sono oggi dimenticate. Vaiolo, difterite, poliomielite non ci sono più. Altre, come il tetano, la pertosse, il morbillo, la rosolia, la parotite, la varicella, l’epatite B, sono attualmente ben controllate grazie ai vaccini. Molte di queste malattie, prima dell’introduzione della vaccinazione, avevano alta contagiosità ed anche un significativo tasso di letalità. Perché tutto questo non dovrebbe valere teoricamente anche per il Covid-19? I dati scientifici, di cui oggi disponiamo, hanno già dato molte certezze in tal senso. Per questo, noi oggi dobbiamo spingere con la vaccinazione per cercare di controllare quanto più possibile la circolazione del Covid-19 e proteggere così quanti non possono essere vaccinati, primi fra tutti i bambini più piccoli per i quali ancora non c’è la disponibilità di un vaccino.

Secondo lei, la gente ha capito la pericolosità di questo virus?

Purtroppo, le persone sono state molto disorientate da una eccessiva e, spesso, fuorviante informazione. Su un argomento così complesso, anche chi non aveva nessuna competenza, ha detto la sua. È chiaro che, in queste condizioni, è difficile orientarsi. Personalmente, ricordo una grave epidemia di morbillo, così chiamato perché ritenuto un “piccolo” morbo, una malattia che nella credenza popolare era “da prendere”. Tra i numerosi bambini affetti da morbillo che in quell’anno è stato necessario ospedalizzare, ci sono stati casi di decessi e casi che hanno riportato esiti gravissimi. I dati disponibili ci dicono che la malattia da Covid-19 non può essere, assolutamente, sottovalutata.

Sa dirmi quanti bambini sono morti, a causa del Covid-19, in Italia?

L’ultimo aggiornamento dell’ Istituto Superiore di Sanità ci dice che, al 19 gennaio 2022, nella fascia pediatrica, sono deceduti 38 bambini, ci sono stati 291 ricoveri in terapia intensiva e 11.573 ospedalizzazioni su 1.698.273 di casi.

DISTRIBUZIONE DEI CASI (N=1.698.273) E DEI DECESSI (N=38) SEGNALATI NELLA

POPOLAZIONE 0-19 ANNI PER FASCIA DI ETÀ, IN ITALIA DALL’INIZIO DELL’EPIDEMIA

Classe di età (in anni)

N. casi

N. ospedalizzazioni

N. ricoveri in TI

N. deceduti

< 5

218.698

5.048

90

9

5-11

622.548

2.303

54

11

12-15

385.747

1.630

65

9

16-19

471.280

2.592

82

9

Totale

1.698.273

11.573

291

38

Fonte : Istituto Superiore di Sanità – Aggiornamento nazionale al 19 gennaio 2022

In passato, è successo che la gente rifiutasse o temesse un vaccino?

Si, qualche dubbio o qualche preoccupazione c’è sempre stata, ma spesso si riusciva a superare il problema con un’adeguata informazione. Oggi, ho la sensazione che, tra le persone che non si vogliono vaccinare, ci siano maggiori resistenze. Non riesco a spiegarmi il perché. Ma, quello che mi stupisce molto è che questo comportamento lo troviamo anche tra alcuni operatori sanitari. Questo è inaccettabile.

Lei come pensa che la nostra Regione si stia muovendo nel campo delle vaccinazioni?

Inizialmente c’è stata qualche difficoltà, ma oggi il programma vaccinale procede molto bene ed i risultati si vedono. Facendo il punto sulla vaccinazione dei più piccoli, nella fascia 5 -11 anni, la cui vaccinazione è partita a fine dicembre, i risultati, rispetto anche alle altre regioni, sono molto buoni. Dobbiamo spingere a fare ancora di più e a fare soprattutto in fretta. La fascia pediatrica è, attualmente, più esposta al contagio, come dimostrato da tutti gli indici di monitoraggio che registrano un significativo innalzamento dell’infezione e della malattia nelle fasce di età più basse.

Lei, per tanti anni, ha curato e salvato la vita a tanti bambini. C’è tanta gioia nel suo lavoro, ma immagino il dolore quando si perde una piccola vita…

Spesso mi ritornano in mente le storie vissute del mio percorso professionale. Certo, la ferita, che si apre di fronte all’ingiustizia di perdere un bambino, non si rimargina mai. I dubbi, che ti assalgono prima di prendere una decisione importante che può salvare la vita di un bambino,  sono tanti e se va male, questi dubbi te li porti dietro per sempre. Di una cosa sono però certo: dai bambini e dalle loro famiglie ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. Da loro ho imparato, in quaranta anni di lavoro, ad apprezzare il sorriso, la cosa più bella che ho avuto la fortuna di ricevere svolgendo questa professione.

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