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In ricordo di Emanuele Macaluso

Un anno fa ci lasciava Emanuele Macaluso, un uomo di  grandi idee, ideali e passioni. Se ne è andato guarda caso nel gennaio 2021, proprio alla vigilia del centenario della nascita di quel partito. Del suo partito. Dopo un anno la sua assenza si fa sentire più forte di prima.

Un anno fa ci lasciava Emanuele Macaluso. Aveva 96 anni. Un grande. All’Unità  fu il mio direttore. Era un uomo di  grandi idee, ideali, passioni. La memoria del PCI che se ne è andato guarda caso nel gennaio 2021, proprio alla vigilia del centenario della nascita di quel partito. Del suo partito.

È utile ricordarlo ancora oggi, 12 mesi dopo la sua scomparsa, perché nel momento in cui tramontano ideologie e idee, personaggi come lui ci illuminano di come siano possibili percorsi diversi. 

È stato amico personale di Napolitano, Berlinguer, Guttuso, Sciascia, Di Vittorio. Aveva attraversato il Novecento come dentro a un romanzo: capo della Cgil siciliana a 23 anni, leader  dei deputati regionali del Pci  a 28, con cui ideò la controversa operazione Milazzo, parlamentare per sette legislature.

A sedici anni scampò per miracolo alla tubercolosi. Negli anni ‘40 finì in carcere per adulterio. Nel 1960 fu latitante per otto mesi in un casolare del Modenese, perché per la legge di allora i figli avuti da Lina, “donna già sposata”, non potevano essere i suoi, dopo una denuncia della Dc, che pensava così di metterlo fuorigioco. Grandi amori, ma anche dolori terribili come per ultimo la morte del figlio.

Era espressione di una generazione fatta col filo e col ferro, forgiata nelle lotte sociali sul campo. Ha mai avuto paura di morire, gli chiese Concetto Vecchio, un giornalista siciliano suo amico? “Qualche volta. Con Girolamo Li Causi nel settembre 1944 andammo a Villalba, uno dei feudi della mafia, a sfidare il boss Calogero Vizzini e ci spararono addosso”.
 Ci voleva un gran fegato, negli anni di Portella della Ginestra, a fare opposizione in Sicilia, avendo come avversari gli agrari legati a Cosa Nostra. Macaluso, da capo del sindacato, batté l’isola palmo a palmo, occupò le terre nella zona d’influenza di Genco Russo, guidò i contadini nell’occupazione dei feudi, aprì sezioni del partito ovunque. 

Queste esperienze, talvolta estreme, questo suo stare sempre nel cuore della battaglia civile e sociale, hanno rappresentato un deposito di conoscenze che hanno fatto di lui, in questi recenti anni di crisi della politica, un punto di riferimento nonostante l’età. Uno strepitoso impasto di ruvida umanità e lucidità analitica. Più invecchiava e più il suo sguardo si faceva acuminato, specie sul presente. Leggeva in continuazione. Fino ha mantenuto uno sguardo curioso sul mondo. Era sorprendentemente sul pezzo.

Ogni mattina si svegliava alle sei, leggeva il pacco di quotidiani, dopo la passeggiata sul Lungotevere dettava all’ex giornalista dell’Unità Sergio Sergi (siciliano come lui) il commento scritto a mano sul tavolo della cucina. Sergi lo postava materialmente sulla pagina Facebook Em.Ma, in corsivo. Una rubrica di successo.

All’immediato dopoguerra risale la sua conoscenza con Palmiro Togliatti: “Passava per uomo freddo, ma era soprattutto timido”. Fece con lui un viaggio in treno con lui fino a Mosca. Quindi Togliatti lo chiamò nella sua segreteria nel 1963. Macaluso era già qualcuno. A Roma, anni dopo, divise la stanza di Botteghe Oscure, la sede del Pci, con Enrico Berlinguer. “Era capace di non pronunciare una sola parola per ore: io fui l’unico cui confidò che l’incidente stradale del ’73 in Bulgaria era un attentato”.

Era stato un ‘’migliorista’’ nella complessa galassia del Pci. Con lui Gerardo Chiaromonte e Giorgio Napolitano. Ma era una galassia di idee alte, al punto che pur avendo criticato, con Giorgio Napolitano, il compromesso storico con la Dc, nell’aprile 1982 Berlinguer gli affidò il risanamento dell’Unità.

Il giornale vendeva ancora 150 mila copie, ma era pieno di debiti. Macaluso lo svecchiò: introdusse i listini di borsa, scoprì Staino e la satira, aumento la dose di polemica, continuando a siglare i suoi corsivi con l’acronimo Emma (senza il punto a metà), un’invenzione che si deve a Giorgio Frasca Polara, il cronista politico e resecontista capo dei Comitati Centrali del Pci.

Quando, nel giugno 1984, Berlinguer morì toccò a Macaluso fare i titoli cubitali della prima pagina: quel “Tutti”, uscito all’indomani dei funerali, è storia.

Ma poi altro, tanto altro: l’ impegno antimafia, ma da posizioni garantiste, il primato della politica come stella polare, ma venato da posizioni eretiche. Macaluso è stato allo stesso tempo disciplinato e libertario, fuori e dentro la grande chiesa comunista.

Difese Giacomo Mancini come forse nessuno. Garantista come si usa dire oggi in tempi non sospetti. Con coraggio e non temendo nulla e nessuno. All’epoca io non ero più all’Unità e ci ritrovammo a Cosenza nella comune battaglia a difendere il vecchio leone socialista. Testimoniò in suo favore al processo. Era sferzante, aspro, un rompiscatole intelligente e libero, perché gli si potevano fare tutte le domande. Pur sentendosi estraneo a questo tempo, ha continuato a indagarne le contraddizioni. La crisi della sinistra, a cui aveva dedicato la vita, lo crucciava. La sinistra da ieri ha perso un faro. Uno degli ultimi. Dopo un anno la sua assenza si fa sentire più forte di prima.

Filippo Veltri

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