Bruno Gemelli ricorda lo sbarco degli Alleati in Calabria durante la Seconda Guerra Mondiale
Alle ore 4.30 del 3 settembre 1943 (giornata che avrebbe segnato anche la firma dell’armistizio italiano a Cassibile) iniziò un forte bombardamento nel tratto di costa tra Reggio e Villa San Giovanni e alle 5.40 sbarcarono sulle coste calabre due divisioni dell’8ª armata (una inglese e una canadese). L’Operazione fu chiamata “Baytown”. Baytown è una città del Texas. Lo sbarco della flotta fu preceduto, nella notte tra il 28 e 29 agosto a Bova Marina, dalla missione di pattuglie di squadre speciali d’assalto al fine di distrarre l’attenzione del nemico sugli approdi effettivi.
Tutti gli sbarchi avevano un nome in codice. Lo sbarco in Sicilia (9-10 luglio 1943) lo chiamarono “Husky”, quello di Salerno (9 settembre 1943) lo chiamarono “Avalanche”, quello di Taranto (9-13 settembre 1943) lo chiamarono “Slapstick”, quello di Anzio (22 gennaio 1944) lo chiamarono “Shingle” , quello in Normandia (6 giugno 1994) lo chiamarono, il principale “Overlord” e il conseguente “Neptune”.
Il segmento operativo dello sbarco in Calabria contava di inglesi e di canadesi. La British Army aveva la 2a divisione di fanteria della Nuova Zelanda, la 4a divisione di fanteria indiana, la 7a divisione di Panzer (i famosi Desert Rats) e la 1a divisione di fanteria sudafricana. La First Canadian Army in realtà era divisione internazionale perché composta da una brigata belga e da una brigata corazzata cecoslovacca. L’Operazione Baytown consentì alle forze Alleate di ottenere una testa di ponte nella punta dello stivale d’Italia. Altro scopo di questo sbarco era quello di fermare eventuali nemici in fuga. La manovra venne decisa fin dal 14 agosto 1943, allorquando si constatò che il Porto di Messina era inservibile a causa dei sabotaggi tedeschi e, per il grosso delle forze, era difficile raggiungere la città dello Stretto a causa del fatto che nella strada statale tra Catania e Messina i tedeschi in ritirata avevano fatto saltare in aria con la dinamite alcuni ponti come quello sul fiume Agrò. Nella cittadina costiera di Santa Teresa di Riva, vennero insediati l’Ufficio di coordinamento delle operazioni navali, il Ferlo (Force embarkation royal landing officers) e un punto di osservazione e di comando degli ufficiali, nel mare antistante alla cittadina come risulta dalla Storia del Servizio Medico Canadese, venne ancorata una nave ospedale.
Lo storico Peppino Masi scrive ne “L’estate del ‘43 in Calabria tra storia e memoria”; questo un brano: «[…] Non erano trascorsi che pochi giorni dal primo bombardamento e sul cielo di Reggio Calabria faceva la sua riapparizione l’aviazione alleata. La città venne nuovamente bombardata e il prezzo pagato, questa volta, ammontò a 100 vittime. Gli alleati, dopo i risultati positivi nello scacchiere siciliano, avevano abbandonato l’ipotesi originaria di più sbarchi nella regione optando per un solo passaggio, nel quadro della operazione denominata Baytown, che, muovendo da Messina doveva raggiungere le co ste calabre tra il primo e il 4 settembre 1943. In preparazione dello sbarco, s’intensificarono le incursioni soprattutto su Reggio. iniziava così, per la città dello stretto, un vero e proprio calvario: per tutta l’estate gli attacchi si succedettero con meticolosa, quotidiana regolarità, e ciò fino al 3 settembre. Alle azioni aeree si unì presto il martellamento delle artiglierie sul litorale, allo scopo di distruggere gli obiettivi che potevano ostacolare l’avanzata.
Anche gli altri centri calabresi furono sottoposti ai raid dell’aviazione. La Calabria, considerata “zona di operazioni”, era il bersaglio più immediato per il salto nell’Italia continentale. La presenza, poi, nel territorio di numerose divisioni italiane e tedesche, che, nell’estate del ‘43, presidiavano le posizioni strategiche della regione, trasformandola in un munito campo di battaglia, preannunciava per i suoi abitanti giorni carichi di grande tensione. Per il timore di trovarsi, da un giorno all’altro, al centro della battaglia militare e per effetto delle incursioni aeree che, come una realtà incombente, accompagnavano l’esistenza di tutti i giorni con il loro “scenario di morte e di distruzione”, gli abitanti dei capo luoghi e dei maggiori centri costieri, sia ionici che tirrenici, intrapresero lo sfollamento delle città e si diressero verso l’interno, alla ri cerca di paesi più tranquilli o di case di campagne.
Anche i principali uffici delle tre province cercarono una sistemazione altrove. La Prefettura di Reggio Calabria si trasferì a Cinquefrondi, piccolo centro della piana di Gioia Tauro, a ridosso della provincia di Catanzaro. La Banca d’Italia, l’Ufficio provinciale del tesoro e l’Intendenza di finanza vennero spostati a Varapodio, alle prime falde del l’Aspromonte. […]».