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HomeArte,Cultura,EventiPirruccio: "La vicenda dei ragazzi impallinatori ha due vittime"

Pirruccio: “La vicenda dei ragazzi impallinatori ha due vittime”

Vito Pirruccio, ex dirigente scolastico e Presidente dell’associazione Museo della scuola I care, risponde a Mario Alberti per quanto riguarda il suo articolo pubblicato, sul nostro giornale, il 4 luglio, dal titolo “La visione di don Milani” .

Carissimo Mario,

in merito all’articolo del 4 luglio u.s. “La visione di don Milani” e la vicenda dei ragazzi “impallinatori”, metto subito le mani avanti: non voglio impallinare nessuno, ma ragionare per capire. Tanto meno intendo essere inserito nell’elenco dei crocifissori, perché tradirei il mio passato di insegnante.

Ragioniamo un attimo. La vicenda dei ragazzi “impallinatori” ha due vittime: una esplicita, l’insegnante offesa come persona e svilita/umiliata nella sua funzione; l’altra, implica, gli autori stessi del gesto offensivo che sono in forte ritardo con l’acquisizione di quel corredo valoriale necessario per comprendere il significato del rispetto verso l’altrui persona. Nel nostro caso la destinataria dell’offesa, è bene sottolinearlo, assume la doppia veste di persona/insegnante e il fatto che i ragazzi non siano stati in grado di valutare preventivamente la gravità e le conseguenze del loro gesto dimostra il forte ritardo accumulato da questi alunni nell’acquisizione del corredo valoriale di riferimento. Per questo semplice motivo includo gli autori dell’insensato gesto tra le vittime, perché il loro “ritardo valoriale” è evidente e di ciò deve rispondere, in primis, sicuramente la famiglia, ma non è estranea la scuola. Non inserisco tra i colpevoli volutamente gli “insegnamenti” provenienti dalla società, per non dover estendere a dismisura il campo largo dei responsabili il che equivarrebbe a nessun responsabile.

Io francamente nel dopo-gesto avrei voluto ascoltare i genitori. Un tempo, chiedo scusa per il ricorso al vetusto ricordo, avremmo udito a distanza il suono educativo genitoriale. Ma questa è un’altra storia superata dalla “moderna pedagogia”. Mi sarei aspettato, però, che i genitori invitassero i figli a sopportare il peso delle loro responsabilità e non ricorressero alla messa a disposizione di un avvocato. Mi sarei aspettato che parlassero i genitori e non i loro legali. Sarebbe emerso certamente già un lato di responsabilità.

Dalla scuola mi sarei aspettato, come ho scritto giorni fa su questo giornale, “il travaglio” vissuto, a seguito della vicenda, dai ragazzi e dagli adulti coinvolti e non la frettolosa riparazione con il ricorso al correttivo calcolo aritmetico della media dei voti in comportamento del primo e secondo quadrimestre. Questa frettolosa riparazione burocratica offusca, semmai c’è stato, il percorso di recupero che non è mai ricordiamolo semplicisticamente assolutorio, ma è una chiamata di responsabilità. Il richiamo a don Milani, a questo punto, andrebbe inquadrato non tanto nell’opera di inclusione, che è un processo, un mezzo, ma nell’opera di risultato: rendere i ragazzi sovrani, vale a dire responsabili delle proprie azioni, dei propri comportamenti. È questa la missione educativa della scuola. Ma la sovranità si raggiunge, da un lato, con l’acquisizione degli apprendimenti (Don Milani mette in capo alla lista, l’acquisizione della parola); dall’altro, con l’acquisizione dei valori cardine della responsabilità che si acquisiscono certamente nelle aule, ma prima ancora nella famiglia. Se la prima mostra le crepe, mi creda, caro Mario Alberti, la seconda è crollata!

Cordialmente, Vito Pirruccio

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