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giovedì, Maggio 16, 2024
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Rocco Palamara, un anarchico mai domato

Ilario Ammendolia ci narra la vita e le vicende di Rocco Palamara, anarchico e combattente, ripercorrendone la vita, le battaglie, le vicende e le motivazioni che lo hanno spinto ad intraprendere una vita tanto avventurosa.

Rocco Palamara è un anarchico non più giovane ma mai domato. E ci fu un tempo in cui gli anarchici di Casalinuovo – Africo scrissero pagine di autentica Resistenza battendosi come leoni per la Libertà.

Non è stato facile. “Stato” e mafia contro gli anarchici.

Rocco fu costretto a combattere per la sua vita e la libertà di azione e si difese, anche con la pistola. I magistrati arrestarono Rocco perché ebbe l’ardire di restare vivo sebbene ferito. Oggi, Rocco torna a farsi sentire con un bellissimo libro che parla poco di Lui (eppur avrebbe avuto tante cose da dire) ma molto del luogo dove tutto ebbe inizio: le cime dell’Aspromonte.

Parte dall’alluvione del 1951 quando si aprirono le cateratte del cielo e l’acqua cadde a catenelle sui monti e sulle case, i torrenti diventarono fiumi, i calanchi cascate di fango.

Fu il diluvio che determinò la fine d’uno “ordine delle cose” millenario di Casalinuovo che, come Africo, (due comunità ma un solo Comune) sarebbero stati fondati da briganti.

Si sotterrarono i morti, si curarono i feriti ma restarono e si aggravarono i mali endemici che affiggevano da secoli i casalinoviti: la fame, le malattie, la mortalità infantile, l’analfabetismo. Eppure, dopo l’alluvione, qualcuno tentò ancora di aggrapparsi alle vecchie pietre ma lo Stato aveva già stabilito (incontrando la volontà della maggioranza dei casalinoviti) che era tempo di portare in marina i paesi della Granconca.

Iniziò l’esodo.

Nel suo libro “Mio nonno Rocco”, il vecchio anarchico di Casalinuovo parte dall’alluvione per risalire alle generazioni che lo hanno preceduto.

Parla con passione e partecipazione ai fatti della sua comunità, la sua penna intinta nel fuoco d’un dramma collettivo scioglie quei fatti ormai lontani e scolpisce un bassorilievo in cui racconta la piccola, grande epopea della sua gente.

Scompone la comunità in famiglie, cerca di raggrupparle secondo la loro storia affiancando ai cognomi le ingiurie con cui venivano indicate le varie “razze”. Avete capito bene a Casalinuovo le persone venivano classificati secondo la razza di appartenenza associando il cognome all’ingiuria e poi aggiungendo le caratteristiche: “” fimmanari”, “corretti”, “gagliardi”, “micidianti”, “intriganti”, “laboriosi”.

La razza, anche ad “Africo nuovo” serve a stabilire la gerarchia e i malandrini per legittimare il loro potere non esitavano ad appellarsi ai loro antenati “drittigni” e mafiosi: “Eu sugnu di… è idu cu cazz’e'”?

Rocco viaggia nel passato del suo paese ed il viaggio è così lucido da diventare fotofrafia di una società con le sue guerre intestine, l’immensa povertà che diventava lotta costante contro la natura ingrata e una storia avversa. Quindi descrive le consuetudini, le faide, il senso dell’onore e i grandi sacrifici per la sopravvivenza.

Centomila fotografie e non c’è una sola da scartare perché nel libro non ci sono pagine inutili o banali. Alcune appartengono alla storia della Calabria come l’eroica resistenza opposta dagli africoti e dei casalnoviti ai francesi. Ancora di più quelle sulle origini della ndrangheta a cui il nonno dell’autore non è stato estraneo. L’onorata società forse nasce come risposta ad uno Stato ingiusto e nemico. Uno Stato che, a volte, diventa esso stesso mafia; per esempio, durante il fascismo, il governo impone una tassa sulle capre che equivale a cento ” mazzette” imposte dalla ndrangheta. Tasse così esose da costringere i pastori a svendere le bestie.

Rocco nel suo libro descrive come la mafia diventa anche essa potere e tirannide e come non possa questa essere una valida alternativa ad uno Stato ingiusto. Non fa sconti alla ndrangheta, straccia l’aureola di onore e rispetto che circonda molti uomini di onore e individua dietro una sottile cortina fumogena, la violenza, la prepotenza, l’avidità, la crudeltà, le bugie dei mafiosi.

Un capitolo a sé meriterebbe l’assalto popolare alla caserma dei carabinieri del 1945.

Agli occhi degli abitanti della Granconca la caserma non è mai stata presidio di giustizia, e non lo era. Le prepotenze dei militari causarono l’assalto condotto dalle donne e dagli uomini del paese guidati da Santoro Maviglia un ex ergastolano che si converte al comunismo nel carcere. I carabinieri furono costretti alla resa.

La vicenda stranamente non si conclude con la classica repressione ma con un banchetto a base di carne di capra a spese dei cittadini e con le autorità dello Stato ospiti di onore. La mediazione tra il popolo dei rivoltosi e lo Stato era stata condotta dalla mafia.

È ciò peserà sugli equilibri futuri.

Come abbiamo detto, il libro di Rocco Palamara parte dalla montagna e scende dapprima nelle due Bova dove gli alluvionati vengono sistemati in scomodi accampamenti e poi, finalmente, ad Africo nuovo. Un viaggio durato più di un undici anni.

Non è possibile in una recensione seguire passo passo le vicende dell’esodo dei casalnoviti anche se il viaggio è affascinante e mai banale. Alla fine, giunsero tutti al traguardo ed il viaggio non riesce a cambiarli anche se ci fu un momento in cui da una parte la scuola e dall’altra l’emigrazione in Germania sembra avere la meglio sulle antiche tradizioni e sulla stessa mafia. I padri vogliono i figli “dottore” e le scuole superiori si riempiono di casalnoviti. I “germanesi” (emigrati in Germania) guadagnano più con il loro onesto lavoro che un capo ndrangheta con le sue malefatte. È un momento di massima crisi dell’onorata società che tuttavia riesce a riprendersi trasformandosi da arcaica in imprenditoriale, stabilendo solidi rapporti con una parte dello Stato.

Il casalnoviti erano comunisti convinti, (contrariamente agli africoti guidati da uno strano sacerdote: don Giovanni Stilo) e il simbolo della falce è martello univa la comunità o, meglio, era la scelta di una comunità che aveva compreso che per arrivare al traguardo dovevano arrivare uniti sulle antiche regole anche se vecchie di secoli. Cedere, seppur alla modernità, significava smembrarsi e naufragare in un mare ignoto.

Le conclusioni facciamole trarre all’autore:

Arrivammo “… alla fine dell’avventura, potendo dire di averla avuta vinta su ogni cosa: sul governo che avrebbe voluto rispedirci in montagna; sull’alluvione della quale ci eravamo serviti per liberarci dalla durezza della vecchia vita; sul grande incendio che accelerò’ la costruzione delle case; sul sovraffollamento e l’emigrazione che avrebbero disarticolato e disgregato altre comunità ed altre famiglie. Avevamo resistito a tutto e, malgrado la ndrangheta, o forse anche grazie ad essa, mantenuta integra la comunità…”

Conclude:

“…nulla era cambiato nei nostri usi e mentalità. Come se quei due lustri non fossero mai trascorsi. Rimanevamo i montanari di prima con gli stessi pregi e difetti forgiato in secoli di vita vissuta nella nostra vecchia Casalinuovo particolari ed antichi”

Non resta che leggerlo questo bel libro di Rocco Palamara che dice più cose di venti libri scritti da antimafiosi di professione.

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