San Giovanni di Gerace fa parte dell’Unione dei Comuni della Vallata del Torbido, che vantano ascendenze preistoriche. Il verde dei colli circostanti, la fiumara fluente di acque a valle, l’esposizione dell’abitato a Sud Ovest, danno l’impressione di un borgo ordinato, quasi esposto in una vetrina ideale, in attesa di visitatori.
San Giovanni di Gerace fa parte dell’Unione dei Comuni della Vallata del Torbido, che vantano ascendenze preistoriche, segnate da reperti anche anteriori al periodo magnogreco, quale ad esempio una moneta in argento rinvenuta in contrada Basile nel 1872 “che porta sul diritto il Pegaso e sul rovescio Minerva di epoca corinzia” (Vincenzo Cataldo e Giovanni Pittari, San Giovanni di Gerace nel Catasto Onciario del 1742, Promocultura, Gerace, 2017).
Il gruppo Borghinfiore ha incontrato il Sindaco Giovanni Pittari, già dirigente scolastico, presso il Municipio, nell’ampia piazza circondata da case e da suggestivi muraglioni in pietra.
Il paese è facilmente accessibile seguendo, dopo Gioiosa Ionica, la Strada Provinciale ex Statale 281 e poi, al bivio del ponte, procedendo diritto lungo la valle del Levadìo, che ha alla sua destra Grotteria e alla sinistra San Giovanni, suo Casale all’epoca della Contea medievale.
Il borgo è noto soprattutto per il Santuario di Maria Santissima delle Grazie, il cui culto dicono datato intorno all’anno 1000: l’interno è davvero stupendo, ampio, ricco di stucchi e di colori luminosi, in stile barocco. L’edificio, esternamente di struttura neoclassica, risale all’800, ma l’abbellimento è posteriore, frutto di interventi aggiuntivi. Anche la statua della Madonna, risalente al 1760 ad opera di uno scultore romano, è speciale, in legno scolpito e decorato, adorna di angioletti, con lunghi raggi dorati intorno, che sembrano aprirsi da una grande conchiglia.
Considerando il groviglio di vie, sottopassaggi, case a castello ammucchiate in varie forme, vecchie o restaurate, scale e discese, presenti intorno al Santuario, vien da pensare che questo sia il nucleo fondativo del paese. Invece il vero centro è più giù, dove si trovano le altre due chiese: dell’Assunta e di San Giovanni Battista, che è il patrono e ha dato il nome al piccolo borgo.
Parlare di chiese è parlare non solo di religione, ma di arte, di comunità, di valori. Statue e dipinti di varie epoche sono il ritratto di un popolo che ama la bellezza, l’ordine, la tendenza a conservare opere degli antenati: in ciò, il paesello – mi si passi il termine affettuoso – ne è un esempio lampante. Camminando per le vie del borgo ne abbiamo colto la pulizia, la presenza di acque sgorganti fresche dalle fontanelle in vari angoli delle strade, di abitazioni con facciate rifatte: rifatte sicuramente dai risparmi di tanti emigrati.
Sì, si sale e si scende anche in macchina, costeggiando palazzi nobiliari (Macedonio, Barillaro, Lucà, tra i tanti), ruderi in pietra calcarea dove è visibile il lavoro di antichi scalpellini, palazzi nuovi con orti e giardini accanto. Agrumi con i loro frutti gialli, l’alloro con boccioli di fiori bianchi, pini, palme, olivi, fichi; anche vasi con le orchidee d’intenso color rosa-fucsia. Un bambino circolava felice lungo una strada tutta a sua disposizione, con la bici elettrica.
Per secoli San Giovanni di Gerace ha avuto una popolazione di oltre un migliaio di persone: nel 1921 ha raggiunto il massimo, 2.019 unità! L’ultimo dopoguerra ha segnato, anche per questo borgo, una demografia in declino, a causa della migrazione lavorativa. L’agricoltura e l’artigianato che per secoli hanno costituito l’ossatura delle generazioni hanno subito l’incremento di nuove professionalità, le quali hanno cercato altrove l’impiego in attività retribuite in modo soddisfacente.
Il verde dei colli circostanti, la fiumara fluente di acque a valle, l’esposizione dell’abitato a Sud Ovest, danno l’impressione di un borgo ordinato, quasi esposto in una vetrina ideale, in attesa di visitatori, come le vetrine in città ai tempi del lockdown durante le restrizioni imposte dall’epidemia da Covid-19: è in letargo o in attesa? La circolazione scarsa indica una località distante dai circuiti di traffico: e si sa quanto sia importante per ogni centro urbano la vicinanza a un nodo importante di strade nazionali, perché la facilità di trasporti favorisce commerci ed economia. Nei secoli passati, i viaggiatori diretti alle Serre e viceversa passavano per il borgo, attraversando Croceferrata, legando di rapporti le due coste, ionica e tirrenica. Oggi non è più così: le vie affollate da traffici passano altrove, non da questo piccolo borgo, che conserva altre potenzialità da rivalutare.
La seconda chiesa visitata, dell’Assunta, contiene opere artistiche antiche, recuperate da edifici religiosi terremotati o diruti, quali la pala settecentesca dell’altare maggiore e il pregevole busto ligneo dell’Ecce Homo, accanto a tantissime statue processionali dei secoli scorsi, come ci ha fatto notare padre Francesco, parroco del paese.
La terza chiesa, situata nella parte bassa del centro abitato, a una sola navata, è intitolata al patrono San Giovanni Battista, che si festeggia a giugno: la statua esposta in edicola al di sopra dell’altare è opera di artista napoletano, datata 1730; pure del ‘700 sono i dipinti di San Giovanni nel deserto e di San Francesco di Paola. Ma quella che ci ha colpito di più è un dipinto su tela di Giuseppe Cavaleri (1829-1880), pittore e scultore di Grotteria, che rientra nella storia del nostro territorio: opera molto significativa, con lo sguardo del Battista che mira lontano, una mano che poggia sulla bibbia e l’altra in alto col dito puntato, mentre due animali sono ai suoi piedi. È semivestito, con abiti alquanto logori, ma rivelano parte della corporatura muscolosa, audace. È un Battista che ha coraggio aspettando il futuro, non è quello della testa mozzata a causa della gelosia perversa di Erodìade.
Il piccolo borgo ci ha regalato delle vetustà conservate con amore, grazie al culto delle memorie. Invitiamo altri a visitarlo, perché si deve conoscere per potere apprezzare. Anche bere l’acqua delle sue fontane, una diversa dall’altra, con sapori e indizi di luoghi specifici, ma tutte genuine, che percorrono poche decine di metri di tubature e finiscono tutte giù nella valle a unirsi alle acque della fiumara Levadio.
È la Scialata la sorgente d’acqua oligo-minerale più nota, presso un’area attrezzata per picnic, situata nelle verdi e boscose montagne, a breve distanza dal paese, alla fine di un percorso naturalistico suggestivo, tra alberi, ruscelli e cascatelle, che ci proponiamo di visitare prossimamente.
Caterina Mammola