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sabato, Luglio 27, 2024
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Sweet Child of Mine, il giorno dopo la Festa della Mamma

La Festa della Mamma è passata e si ricomincia: lava, stira, cambia pannolini e prepara le pappe. Fino al prossimo anno fai la mamma, giostra tra lavoro e casa e avrai un’altra torta e cinque minuti di gloria nel 2022

Ora che la festa è passata, ora che l’entusiasmo celebrativo da social si è sopito e avete pubblicato tutti la foto della mamma con citazioni su quanto sia meravigliosa appunto la maternità, permettetemi di dire senza tanti giri di parole che essere madri, se non deleghi, è anche un gran lavoro di merda.

Perché al di là di tutta la parte che riguarda la scoperta di un amore come non lo avevi mai provato, istintivo, incondizionato, senza confini né limiti, in un crescendo quotidiano di irripetibili momenti di felicità, rimane il fatto che a livello pratico essere madri è peggio di un lavoro.

Più che un full time è un non stop, h24, no retribuzione, no contributi, no pause, no ferie. Un lavoro che non hai mai fatto prima, che non sai come si fa e che non sai se stai facendo bene perché nessuno te lo dirà mai.

La nascita, l’esperienza del Toradol

Cominciamo dal parto, questo evento miracoloso che ti porta dritta in ospedale a soffrire le pene dell’inferno, prima e dopo di dare alla luce il pargolo. Tutte sensazioni meravigliose e irripetibili, per carità, esperienze ancestrali, chi dice nulla, resta il fatto che ad un certo punto del miracolo ti ritrovi ad implorare il primo che passa per un Toradol, un’epidurale, una dose di morfina, una botta in testa, qualunque cosa.

Certo non mancano puerpere che parlano di parti naturali celestiali se non addirittura orgasmici, così come non mancheranno poi neo madri che un orgasmo dopo il cesareo lo riproveranno con la frequenza del miracolo di San Gennaro. Ma quella è un’altra storia.

La maternità, fin dall’inizio, è quindi fatta di eccessi ed è un’esperienza totalizzante, perché se sei una donna con un minimo di istinto materno, sai che da quel momento in poi tutto quello che ti riguarda sarà posposto alle esigenze della creatura. Non esisterà più nient’altro per te.

Tu non sei più tu, sei sua madre e la tua vita com’era prima te la puoi scordare.

I primi tre anni, l’infante vuole solo te

Almeno per i primi tre faticosissimi anni, durante i quali per lo più avrai a che fare con uno degli aspetti più logoranti della maternità: la privazione del sonno, che ti renderà una persona intrattabile specie con l’unico adulto con cui hai a che fare in questo frangente: lui, il fecondatore, il padre del pargolo. Lui ti aiuta sì, ma ad una certa come è giusto che sia si abbandona pesantemente al sonno, perché l’infante vuole solo te, perché tu nel frattempo hai quest’altra amorevole incombenza: l’allattamento al seno.

Tu non sei più nemmeno il tuo corpo, sei solo due mammelle giganti, doloranti, perennemente gocciolanti linfa di vita. Perché il latte materno, si sa, per il pargolo è linfa, oro colato, tutti gli anticorpi del mondo, legame, consolazione, sonnifero. Tutto molto bello, se non fosse che per te può essere anche: una o due mastiti, frustrazione perché non ci riesci subito, premiture dall’ostetrica, tiralatte, ragadi, dolori sparsi, schiena a pezzi, notti passate sedute nel letto, graffi sul petto, zero tempo per fare qualunque altra cosa. E soprattutto non puoi nemmeno bere un bicchiere di vino per alleggerire.

Ecco quel meraviglioso primo periodo ricco di emozioni mai vissute, sa anche trasformarsi in un’estenuante catena di giornate e nottate sacrificate sull’altare della maternità. Per questo, alla domanda che il malcapitato fecondatore si azzarda a rivolgerti a fasi alterne “Eh, ma perché sei così nervosa?”, l’unica risposta che vorresti dare è azzannargli la testa di scatto e ingoiarla intera, peggio di una mantide religiosa. Ma poi passa, tranquille.

Sei una mamma montessoriana o con il conto in rosso?

Ma la maternità dipende anche da come la vivi, da quanti anni hai e dal tuo conto in banca.

Quest’ultimo è elemento fondamentale che ti consente, se cospicuo, di stare a casa e dedicarti alla crescita e al primo imprinting della creatura, giocando anche tu a piedi scalzi, travasando farine montessoriane, colorando i rotoli di carta igienica e quant’altro.

Ma se il conto in banca langue e tu non vuoi/puoi rinunciare per un po’ al lavoro, la tua vita si scinde in due, con buona pace di pennelli e perline colorate da infilare.

Ogni mattina ti svegli e vai al lavoro, con un senso di colpa grande quanto un macigno, unito alla sensazione di angoscia di lasciare l’amore della tua vita nelle mani di una terza persona. Al lavoro non fai che pensarci, tra una cosa e l’altra, la testa torna sempre lì. Però noti anche che lì quasi quasi ti stanchi di meno. Il più delle volte abbracci la soluzione del part time e conti i minuti per tornare a casa, tra i sorrisetti snob dei colleghi che ti guardano come se stessi rubando il lavoro a qualcun altro e quelli del capo che ti tratta come se gli stessi rubando i soldi.

Una volta a casa, hai comunque da fare tutte le attività domestiche, quantomeno quelle fondamentali, che non hai fatto perché eri al lavoro.

La famiglia si allarga? Nessun problema lavori di notte

Perché poi magari i figli diventano due, crescono, vanno a scuola. E allora la tua giornata comincia di notte, ti organizzi, anticipi le mosse. Dopo la cena, hai già preparato la colazione per il giorno dopo, le merende per la scuola, gli zaini, controllato i compiti, scelto i vestiti che metteranno. A colazione, stai già cucinando il pranzo, avviato più lavatrici, lavato il bagno, steso panni. Dopo il pranzo, mentre carichi la lavastoviglie, pensi a cosa ti inventerai per cena, mentre è già cominciato il pomeriggio con i compiti, il corso di danza, la lezione di basket, la spesa, il cane, la bolletta, la differenziata, il latte che è finito.

Dopo un po’ ci fai il callo e non ti fermerà più nessuno, perché è sempre stato così e quindi tutti si aspettano che anche tu faccia così e che lo faccia perfettamente. Perché sei la mamma, quella che con una mano regge la culla e con l’altra governa il mondo.

E se cedi di un millimetro, se poco poco ti lamenti di qualcosa, se dici che sei stanca e che non ce la fai più, che vorresti un’ora di silenzio per raccogliere i pensieri e quel che è rimasto di te, o anche solo per poter fare finalmente una ceretta, arriva subito l’eterna risposta data, credo, a tutte le mamme del mondo: “L’hai voluta la bicicletta?”.

Ma tu gli altri non li calcoli nemmeno più, ormai sei avanti, sei una sopravvissuta, hai le spalle larghe, neanche rispondi.

Hai fatto e fai il lavoro più difficile e importante del mondo.

Sei una madre, hai dato forma ad una scintilla.

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