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martedì, Dicembre 10, 2024
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Vite spezzate

Bruno Gemelli ci parla delle Fosse Ardeatine e del saggio di Mario Avagliano e Marco Palmieri sull’argomento

Mi sono occupato a lungo, anche su queste pagine, delle Fosse Ardeatine e dei martiri calabresi che, al di là di questa vicenda e insieme ad altri personaggi, furono protagonisti della “Roma città aperta”, tanto per citare la pietra miliare del neorealismo, ovvero dal 1943 al 1945 quando i nazifascisti avevano perso o stavano per perdere definitivamente la guerra. Roma occupata dai nazisti, mentre il Re fuggiva e Mussolini a Salò creava la Repubblica sociale italiana.

Ritorno sull’argomento perché, nel frattempo, è uscito un libro che colma una lacuna storiografica anche se, commette un errore come vedremo più avanti.

Il saggio è “Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine” di Mario Avagliano e Marco Palmieri (Einaudi, 2024, pagine 572). La novità consiste nel fatto che, per la prima volta in assoluto, scrivono gli Autori nell’introduzione, «Questo libro è una sorta di Spoon River che ricostruisce la storia personale delle vittime, tra cui si legge la storia politica, sociale, economica e culturale italiana al tempo del fascismo, dell’occupazione nazista e della guerra di liberazione».

L’errore consiste nel dire che i calabresi vittime delle Ardeatine fossero quattro. In realtà era cinque come vedremo di seguito. Gli autori del saggio non hanno considerato che Giuseppe Lopresti, dottore in legge, di 24 anni era nato a Roma il 31 maggio 1919 da Antonino, colonnello medico dell’esercito e Augusta Marchetti, entrambi originari di Palmi (Reggio Calabria), quindi calabrese. Beppe Lopresti era compagno di scuola del regista Carlo Lizzani. Era socialista e dopo l’armistizio dell’8 settembre era entrato nella Brigata Matteotti. Fu tradito da una spia. Eugenio Colorni, [noto come uno dei massimi promotori del federalismo europeo: mentre era confinato, in quanto socialista e antifascista, nell’isola di Ventotene, partecipò con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, anch’essi lì confinati, alla scrittura del Manifesto per un’Europa libera e unita, che poi da quel luogo prese il nome. In seguito, nella Roma occupata dai nazisti, curò l’introduzione e la pubblicazione clandestina del documento fondamentale per lo sviluppo dell’idea federalista europea n.d.a.], scrisse a caldo il necrologio di Lopresti, ”che uscirà postumo sull’«Avanti!», in cui si legge: «Egli era veramente – e non solo oggi dopo il martirio – il migliore, il più serio, il più sensato, il più profondamente puro dei nostri giovani»”.

Il libro ci parla dei 335 martiri, raccontandoci particolari inediti. Quelli calabresi e erano, in ordine alfabetico, questi: Donato Bendicenti di Rogliano. Francesco Bucciano di Castrovillari, Paolo Frascà di Gerace e Giovanni Vercillo di Catanzaro.

Bendicenti era un avvocato di 36 anni, suo padre Giacinto era farmacista e – scrivono gli Autori – «unico esponente della loggia massonica Telesio di Rogliano a non aver aderito al fascismo». Donato Bendicenti da giovane scrive per il giornale del Partito d’Azione di Cosenza. Trasferito a Roma per studiare giurisprudenza s’iscrive al Partito comunista d’Italia clandestino. Segue Giorgio Amendola e Mauro Scoccimarro, ma anch’egli è vittima di una delazione. Fu insignito medaglia d’argento al valor militare.

Francesco Bucciano di Castrovillari è un ragioniere di 49 anni. È membro del Movimento comunista d’Italia, noto come “Bandiera Rossa”. Ancora una volta è una spia a tradirlo. Viene torturato e trasferito a Regina Coeli prima di finire nella lista del famigerato questore Caruso che dà a Kappler i nomi per completare l’elenco di quelli che dovevano essere uccisi alle Ardeatine.

Paolo Frascà, di 45 anni impiegato alla Società anonima importazione bovini, di Gerace Superiore, sposato con due figli, viveva a Roma. Dopo l’armistizio dell’8 settembre entra nella Resistenza come aderente alle “bande” dei sui compaesani, Felice Napoli detto “Franco”, e Giuseppe Albano, detto “Il Gobbo del Quarticciolo”. Quest’ultimo, rinchiuso in Via Tasso, si salva perché nella prigione fa il garzone del barbiere, mestiere che aveva appreso a Locri prima di trasferirsi con la famiglia a Roma dopo aver frequentato la quinta elementare nella città di Zaleuco. Giovanni Vercillo, 55 anni, di Catanzaro, era un funzionario della Corte dei Conti e ufficiale dell’esercito. Anch’egli, dopo l’armistizio dell’8 settembre, aderì alla Resistenza diventando membro della segreteria centrale del gruppo militare della banda Fossi (organizzazione militare clandestina aderente alla Resistenza romana in Italia, in collegamento con le forze armate del Regno del Sud, durante la seconda guerra mondiale.), dipendente dal Fmcr  (Fronte militare clandestino della Resistenza). Insomma, un badogliano agli ordini del colonnello Giuseppe Lanza Cordero di Montezemolo, difensore militare della piazza di Roma e ucciso alle Ardeatine. Anche Vercillo, vittima delle spie, riceverà una medaglia d’oro al valor militare.

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