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Vito Pirruccio: “Mi sento gratificato, per aver fatto il mio dovere”

Abbiamo intervistato il Preside dell’istituto comprensivo “M. Bello – G.Pedullà – Agnana”, Vito Pirruccio, prossimo alla pensione.  Chi lo conosce, soprattutto chi ha collaborato con lui sa che persone gentile, colta e capace egli sia. In questa intervista ripercorre il suo percorso nel mondo della scuola e tanto altro.

 Preside, da quanti anni è nel mondo della scuola?

Questo è il mio quarantesimo anno effettivo nel mondo della scuola. Vado via con 42 anni e 10 mesi di attività.

Si ricorda il suo primo giorno di insegnamento?

Me lo ricordo benissimo: era il 21 novembre 1982, ad Elce della Vecchia, una scuola di montagna in provincia di Catanzaro. Esisteva una comunità scolastica in questa frazione, molto frequentata. Avevo 25 anni, ho vinto il concorso per la scuola primaria, quindi sono entrato come maestro. Successivamente, ho sostenuto il concorso per le Scuole Superiori e sono stato chiamato sempre nella provincia di Catanzaro.  Nel 1991, mi sono trasferito a Marina di Gioiosa Jonica, dove ho concluso la mia attività di insegnante e dal 2008 sono diventato dirigente scolastico.

Il suo primo ruolo da dirigente dove è stato?

È stato a Gioiosa Jonica, allora era solo scuola media con undici classi e si stava benissimo. È stata una bellissima esperienza, perché è una comunità scolastica molto partecipe, infatti, mi è costato molto andarmene.

Secondo lei, dal 1982 ad oggi, com’è cambiata la scuola?

È cambiata molto: in alcuni aspetti in meglio, in altre in peggio. Quello che registro nell’arco di 40 anni è il fatto che non ci sia una programmazione. Voglio dire, la scuola è un’istituzione facilmente programmabile, perché noi sappiamo i ragazzi che ci saranno da qui a 10 anni in base ai flussi demografici; invece, lo Stato non attua una programmazione né per quanto riguarda i termini delle assunzioni (io mi ricordo che quando sono entrato io ogni 3 anni c’era un concorso a cattedra che era anche abilitante, per cui non c’erano discrepanze all’inizio dell’anno, ma c’era un ricambio generazionale). Oggi, invece, c’è una non programmazione voluta. Lo Stato procede ad una serie di sanatorie su sanatorie e non ha in mente di fare una programmazione complessiva che attui anche un ricambio generazionale. Quello che io vedo in positivo, invece, sono l’introduzione delle nuove tecnologie, a partire dagli anni ’90, che hanno trasformato il volto della scuola. Ma se non ci stanno gli innesti giovanili non si ha una nuova linfa che entri nel mondo della scuola, soprattutto considerando il fatto che l’innovazione è più a portata dei giovani. Io penso che la scuola sia a passo con i tempi, ma non lo sono gli enti locali con le strutture. Oggi, per esempio, si parla della Locride come capitale della cultura 2025, ma immagina presentarsi con strutture scolastiche inadeguate, quando proprio le scuole sono il punto di riferimento della capacità culturale di un territorio.

Secondo lei, quindi, i problemi più gravi che affliggono la scuola quali sono?

 Il problema più grave è il processo di inclusione scolastica, vale a dire i tempi scuola così come sono programmati non sono più adeguati al processo che la scuola si porta in carico, cioè includere tutti nel processo educativo; invece, la scuola è rimasta strutturata alla vecchia maniera con la struttura mattutina d’insegnamento e così via. Invece, andrebbe fatto un quadro di riferimento che veda la scuola come luogo di permanenza dei giovani, come avviene negli altri paesi europei con orario 8-17, ma creando degli spazi, perché non si può ingabbiare secondo il modello tradizionale gli studenti, ma occorre farli respirare ricreando le strutture, offrire servizi: come trasporti e mense. Ma ancora le scuole della Locride non sono adeguate in questo aspetto.

Se diventasse Ministro dell’istruzione come risolverebbe il problema del precariato?

Allora il precariato si sconfigge con una programmazione adeguata. E questo si può fare. Vanno programmate le assunzioni, non fatte in maniera selvaggia come adesso. Così, allo stesso modo, le abilitazioni vanno programmate. Questo, però, non si fa, perché politicamente è impopolare, ovvero se tu vuoi l’effetto immediato popolare la programmazione non ti aiuta. I risultati non si possono vedere nell’immediato, invece è più facile sfornare dalla mattina alla sera concorsi quiz, che lasciano il tempo che trovano e che non premiano i giovani. Questa è una forma di reclutamento che fa rimanere indietro i giovani e dà adito a queste forme deleterie come le abilitazioni che arrivano dalla Romania, Albania ecc. ecc. Anche questi recenti concorsi non vanno bene, perché non sono stati programmati. Negli anni ’90 era stata programmata l’entrata della scuola primaria dei giovani che avevano intrapreso lo studio nella facoltà di Scienze della Formazione primaria, ma non si è dato attuazione piena, perché se si mantiene ancora la possibilità a coloro che si sono diplomati all’Istituto Magistrale di entrare in servizio, è chiaro che questi devono aspettare le calende greche. Ora, sarebbe opportuno che tutti i ministri dell’istruzione appartenessero al mondo della scuola, perché sarebbe un ottimo ministro qualsiasi persona avesse fatto prima un’esperienza scolastica.

Uno studente agli esami di maturità si è presentato con la scritta sulla maglietta: “La scuola italiana fa schifo”. Lei cosa ne pensa di questa provocazione?

Fermo restando che il mondo giovanile è suscettibile a queste ribellioni eclatanti, ritengo non sia giusto trattare le istituzioni così. Tuttavia, c’è un fondamento di verità, ovvero se un ragazzo non trova nella scuola il suo luogo di crescita è legittimato a lamentarsi, però allo stesso tempo deve essere responsabilizzato per vedere in che modo lui affronti il mondo della formazione e della scuola. Perché se è soltanto uno sfogo, allora è sufficiente farlo sui social che sono diventati un terreno di maleducazione; se, invece, la protesta è giustificata è corretto che i giovani si ribellino perché è il loro futuro lo devono conquistare anche in forma di ribellione, come lo abbiamo fatto noi. Oggi, la ribellione giovanile è più che giustificata, noi adulti in parte abbiamo ipotecato l’avvenire dei giovani, nel momento in cui non abbiamo costruito luoghi di formazione e di avvenire. Quando il giovane non ha prospettive di sogno, significa che la sua età giovanile è stata tagliata. Questa è una forma di sconfitta non solo per il mondo giovanile, ma soprattutto per noi adulti.

Lei è sempre stato, ed è un uomo di sinistra. Ha avuto qualche figura di riferimento?

Si, sono nato da una famiglia democristiana, ma sono entrato nel Partito Comunista a 15 anni, perché ho incontrato nella mia strada un uomo straordinario, Enrico Berlinguer. La mia generazione può dire di essere stata comunista per Berlinguer, perché è stata una figura che ha rappresentato un ideale di contenitore di serietà e di impegno, linearità nei comportamenti che io nella politica non ho più visto.

E di Mimmo Bova, cosa vuole raccontare?

Con Mimmo Bova abbiamo vissuto insieme diverse esperienze. La serietà era la connotazione ideale di quell’uomo. Non è stato molto apprezzato, era un tipo molto riservato e la riservatezza non fa notizia nel mondo giornalistico-politico. È stata una figura, per me, importante, ho collaborato con lui oltre dieci anni, ti posso assicurare che era un uomo di grande sensibilità e attenzione. A lui non piaceva gli sfarzi e mettersi in mostra, al contrario della politica di oggi. È stato la continuazione di quella politica di serietà che ho abbracciato da giovane.

Come si sente ora che è arrivato alla fine di questo percorso?

Mi sento gratificato per aver fatto il mio dovere. Naturalmente, il mio operato sarà giudicato dagli altri, però io con la mia coscienza me ne vado tranquillo. Certo anche con il magone di lasciare un ambiente, però questo sta nell’ordine naturale delle cose.

Ha qualche bel ricordo che vuole condividere con noi?

Ricordi tantissimi, in particolare quando ho insegnato a due ragazzi: Davide e Simone. Per Davide perché era un ragazzo difficile e da questi ragazzi si apprende sempre molto; invece, Simone è arrivato alla scuola superiore con una grande volontà, ma con grosse carenze di base, per cui mi ha chiesto di voler leggere e io gli ho suggerito dei libri che lui ha divorato, recuperando egregiamente; infatti, oggi è un laureato della Bocconi. Un esempio di come i sacrifici ripagano. A scuola, infatti, bisogna insegnare che la scuola è sacrificio, lo studio è sacrificio, non è piacevolezza.

Quali saranno i suoi progetti dal 1° settembre in poi?

L’età dei progetti non coincide con quella della maturità. Io mi prendo secondo il detto giovanile il “Carpe diem” e lo trasferisco su di me. Accetto, insomma, quello che la vita mi offrirà.

 

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